Scrivere di cinema: La Llorona

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di Giuseppe Fadda

In tempi recenti si è parlato molto spesso di rinascita del genere horror, forse impropriamente dal momento che l’horror non ha mai smesso di offrire film stilisticamente ricchi e tematicamente complessi. Ma sicuramente si può dire che il genere, negli ultimi anni, abbia sfornato alcuni prodotti particolarmente significativi: un esempio è The Babadook di Jennifer Kent, in cui la storia dell’orrore cela una profonda riflessione sul dolore e sulla perdita; un altro è Hereditarydi Ari Aster, in cui l’elemento paranormale non è che una metafora per il trauma e per la sua capacità di disintegrare una famiglia; ed è impossibile non citare i film di Jordan Peele, Get Out e Noi, in cui l’horror diventa uno strumento per muovere una feroce critica al razzismo e al classismo che permeano la società americana.

Purtroppo,La Llorona – Le lacrime del male non si inserisce in questo filone di horror politicamente, intellettualmente o emotivamente impegnati: l’opera di Michael Caves, infatti, spreca la leggenda folkloristica, potenzialmente interessante, che sta alla sua base e fa invece affidamento a stereotipi scontati e jumpscarespoco efficaci.

Il problema principale del film è la sceneggiatura, fatta di dialoghi risibili e caratterizzazioni deboli. Nessun personaggio risulta credibile o tridimensionale: anzi, a dire il vero quasi tutti costituiscono archetipi horror (il prete che difende gli eroi dalle forze oscure, ad esempio), riproposti senza originalità né personalità.

Il cast può fare ben poco per elevare la qualità del copione, malgrado gli sforzi encomiabili della sempre brava Linda Cardellini. Quello che infastidisce in particolar modo è il fatto che la storia avrebbe potuto offrire interessanti spunti di riflessione: i tre personaggi materni del film, ovvero la protagonista Anna, la disperata Patricia e la stessa Llorona, avrebbero potuto fondare le basi per un fruttuoso confronto e una ricca riflessione sulla maternità e sul lutto.

Ma non c’è alcuna profondità nelle emozioni di questi personaggi. Il villain in questione è particolarmente deludente: la leggenda vuole la Llorona come il fantasma vendicativo di una donna bellissima che uccise i suoi figli e sé stessa in seguito all’abbandono del marito, ma nel film questo personaggio è banalizzato all’estremo perdendo di conseguenza la sua componente tragica. E come può un film fare paura se in esso non si trova nessuna traccia di umanità, nessuna figura in cui ci si possa identificare o che si possa almeno comprendere?

Caves ha qualche idea riuscita: la scena in cui la Llorona lava i capelli dell’ignara figlia di Anna, per esempio, è genuinamente inquietante. E l’estetica, per quanto debitrice di molti altri film del genere, è senza dubbio curata. Ma lo stile non può sopperire alla totale mancanza di atmosfera e di tono de La Llorona – Le lacrime del male.

È proprio questo il più grande fallimento dell’opera: non solo non riesce ad andare oltre al livello più superficiale della storia, ma non riesce nemmeno a intrattenere o spaventare. Quando ormai la storia si avvicina al suo climax (che è probabilmente la sua parte più riuscita), lo spettatore ha ormai perso qualsiasi interesse nelle vicende e nei personaggi. E come biasimarlo?

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