Scrivere di cinema: Ritratto della giovane in fiamme

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di Lorenzo Gineprini

“Anch’io avevo creduto per un momento che il cinema autorizzasse Orfeo a voltarsi senza far morire Euridice. Mi sono sbagliato. Orfeo dovrà pagare.” In Ritratto della giovane in fiamme Céline Sciamma ha messo a frutto questa lezione di Jean-Luc Godard, attribuendo perciò una posizione simbolica centrale al mito di Orfeo. Sedute intorno a un tavolo la domestica Sophie e Marianne, pittrice con il compito di ritrarre Héloïse affinché il futuro marito possa vederla per la prima volta, ascoltano Héloïse leggere il mito di Orfeo.

Al termine del racconto Sophie reagisce come molti di noi hanno fatto ascoltando questo mito per la prima volta: è incredula e arrabbiata, non si capacita del perché Orfeo non abbia trattenuto la passione e aspettato ancora pochi istanti prima di riabbracciare Euridice. Le altre due donne, amanti in segreto, offrono però una chiave di interpretazione differente. Forse, suggerisce Marianne, Orfeo si è voltato consapevolmente, ha scelto il gesto del poeta a quello dell’amante, ha preferito la contemplazione alla vita. Forse, sostiene Héloïse, è stata la stessa Euridice a dirgli di voltarsi, per lasciarsi guardare e suggellare il loro amore in un istante destinato all’eternità piuttosto che lasciar sbiadire il sentimento nella vita quotidiana.

Lo sguardo è quindi il tema intorno a cui ruota il film di Sciamma. Esso può diventare un meccanismo di potere, un modo di esercitare il nostro controllo sull’Altro per costringerlo ad essere così come noi lo vediamo. Come insegnava Sartre, lo sguardo può trasformare l’Altro in un oggetto imponendogli le nostre categorie interpretative, impedendogli di essere sé stesso. Per questo Héloïse inizialmente si rifiuta di essere ritratta, di vedere sorgere sulla tela la sua immagine di ragazza bella e composta, pronta a compiacere le aspettative del suo futuro e ancora sconosciuto marito.

Marianne si finge perciò una dama di compagnia e la scruta di nascosto per “rubarne” l’immagine. Presto però la pittrice confessa la verità e tra le due ragazze si crea una fiducia che non deriva solo dal nascente sentimento d’amore, ma anche dalla reciproca comprensione della propria condizione di donne dipendenti dall’autorità maschile (il futuro marito di Héloïse e il padre di Marianne, pittore che le ha insegnato il mestiere).

Anche se non compaiono quasi mai sullo schermo, gli uomini rappresentano un Altro la cui influenza aleggia sull’universo femminile, che se ne protegge creando un nido sospeso nel tempo e nello spazio. Al suo interno le due amanti mutano il significato dello sguardo: non più mezzo di controllo e costrizione, bensì gioco e svelamento, spazio in cui lasciarsi guardare per come si è davvero. Cosicchè Héloïse decide di lasciarsi osservare e partecipare alla creazione del proprio ritratto, è una Euridice che non subisce il proprio destino ma contribuisce a crearlo.

Il film riflette quindi anche sul significato dello sguardo nel processo artistico, sul legame tra percezione e memoria e sulla capacità dell’arte di trasfigurare lo sguardo. L’arte (quella pittorica di Marianne e quella di Sciamma nella narrazione della storia delle due ragazze) viene mostrata non come strumento capace di riprodurre fedelmente la realtà, bensì di conservarla, di incastonare un attimo e regalarlo all’eternità, evitando così l’esaurirsi di un amore mai pienamente compiuto. Quando Orfeo si volta a guardare Euridice non la condanna, bensì la salva, sospende la sua immagine e il suo amore per lei, lo trasporta nel regno di una possibilità estetica che sarà per sempre più forte della necessità della morte e dell’invecchiamento.

L’opera di Sciamma segue coerentemente questa suggestiva linea di pensiero soprattutto nella prima parte, la più interessante nella tensione creata da un sentimento latente e non ancora esplicitato. Nella seconda invece la regista si abbandona ad una narrazione più convenzionale, dove l’amore tra Marianne ed Héloïse si realizza seguendo un copione tradizionale, come nella scena a letto in cui le due cercano di indovinare quale sia stato il primo momento in cui si sono accorte del sentimento dell’altra. L’esplosione della passione rimane tuttavia fredda, poiché stereotipata e mal armonizzata con il precedente tono del film, prima concentrato sulla sottrazione e sull’ambiguità piuttosto che sull’esplicitazione plateale. In questo senso delude anche il finale, che invece di aprirsi all’indefinito sceglie la via più facile per colpire emotivamente lo spettatore (con un primo piano che ricorda da vicino l’ultima scena di Chiamami col tuo nome, con cui il film di Sciamma condivide il tema dell’amore effimero).

Nel complesso Ritratto della giovane in fiamme promette più di quanto mantiene, comincia come narrazione non convenzionale dove una classica storia d’amore si lega a tematiche femministe e riflessioni sul ruolo dell’arte. E soprattutto dove l’amore non è mostrato solo come passione ma anche come contemplazione, come spazio in cui costruire la propria identità abbandonandosi ad uno sguardo non reificante. Ma tali intuizioni rimangono parziali, piegandosi sul finale agli stilemi già visti del film sul grande amore impossibile.

Commenti
Un commento a “Scrivere di cinema: Ritratto della giovane in fiamme”
  1. Beel ha detto:

    Ottima scelta per il fine settimana, consiglio a tutti di vedere

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