García Lorca in New York

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Questo pezzo è uscito in versione ridotta sul Venerdì di Repubblica.

Dal palco della Bowery Ballroom, nel Lower East Side di New York, lo scorso 5 giugno Patti Smith ha intonato il suo Happy Birthday all’amatissimo Federico García Lorca. Era un concerto tributo organizzato dalla stessa cantante per festeggiare il compleanno del poeta scomparso, uno dei tanti eventi che dal 5 aprile al 21 luglio si susseguono ininterrotti in vari spazi della città. Lorca in NY: A Celebration il titolo della rassegna organizzata dalla Fundación Federico García Lorca con il supporto dell’Acción Cultural Española per riportare in città il manoscritto ritrovato di Poeta a New York e celebrarne al meglio l’autore. Sorta di diario in versi scritto da García Lorca tra il 1929 e il 1930, durante la sua prima e unica permanenza in America, venne più volte letto pubblicamente dal poeta per diventare libro soltanto postumo, se vogliamo anche in coerenza con l’idea che García Lorca aveva della poesia. Per Federico García Lorca la poesia doveva essere orale più e prima ancora che scritta, costantemente capace di risorgere, mai definitiva, soprattutto performativa, letta ad alta voce. È esattamente quello che fanno sul palco della Bowery Ballroom Patti Smith e i suoi amici: poeti, musicisti, o semplicemente gente trovata per strada, uno dopo l’altro, chiamati a ridare vita alle parole di García Lorca.

Per capire la poesia secondo Federico García Lorca bisogna iniziare spiegando cos’è il duende. Teorizzato e raccontato dal poeta spagnolo nel 1930 in una delle sue preziose conferenze (Gioco e teoria del duende nella traduzione italiana), il duende è l’energia sprigionata dall’artista al momento dell’esecuzione dell’opera. Il duende è potenza e sentimento. Scriveva García Lorca: “Il duende non si ripete, come non si ripetono le forme del mare in burrasca”. E ancora, citando un vecchio maestro di chitarra: “Il duende non sta nella gola; il duende monta dentro, dalla pianta dei piedi”. Il duende è in Patti Smith, per esempio, che di García Lorca legge Pequeño Vals Vienés (tradotta da Leonard Cohen in Take This Waltz) e poi senza fermarsi canta la sua Going Under e poi dice che la distanza tra García Lorca e le Pussy Riot o i giovani che manifestano oggi a Istanbul non è poi tanta e che “dobbiamo difendere il diritto alla parola perché è l’unico diritto che ci hanno lasciato”. Il duende è in John Giorno, prima con la sua Thanks for nothing a un reading alla New York Public Library, e il giorno dopo con Muerte di Lorca sul palco della Bowery Ballroom.

Dal palco Patti Smith dice: “Con García Lorca non ci sono gran finali”. Dice: “Con García Lorca c’è solo una serie di finali. E di sipari, che si aprono, e qualcuno li chiude, e loro si riaprono, e qualcun altro li chiude, e si riaprono”. Scrisse lungimirante García Lorca: “Un morto in Spagna è più vivo da morto che in qualsiasi altro luogo del mondo”. E di fatto è vivissimo anche qui e ora a New York, in una sala affollata di persone e sentimento. Uscendo di lì sembra quasi di camminare sollevati da terra.

Qualche anno fa il quotidiano spagnolo El País aveva scritto: “Patti Smith si dichiara discepola di Lorca”. E poi nell’intervista che seguiva Smith aveva spiegato: “Nella vita ci sono due tipi di retaggio, quello che si trasmette con il sangue, e poi c’è il retaggio dell’arte. Io mi sento un’erede artistica di Lorca”. L’articolo era uscito a ridosso di un reading concerto organizzato a Granada, nella sede della Fundación Federico García Lorca, su iniziativa della nipote del poeta Laura García Lorca. Sul palco della Bowery Ballroom legge anche lei una poesia, presentata da Patti Smith che dice: “La mia cara amica Laura che ha gli occhi dello zio, e guardarla negli occhi è come guardare gli occhi del poeta”. Di Laura García Lorca l’illuminata idea e l’organizzazione della rassegna “Lorca in New York”, per mostrare le ritrovate pagine del manoscritto dello zio. La mostra, ospitata alla New York Public Library, si chiama “Back Tomorrow: Federico García Lorca / Poet in New York”, citando quel “back tomorrow” (torno domani) rimasto annotato insieme al manoscritto di Poeta a New York sul tavolo dell’amico scrittore e editore José Bergamín.

Di fatto Federico García Lorca non sarebbe più tornato da nessuna parte, assassinato da ignoti nell’agosto del 1936. Di New York nei suoi versi raccontò la condizione emotiva, la propria e quella della città. Raccontò la bellezza di Harlem e le brutture di Wall Street. Collezionista di parole, preoccupato dai limiti e mai dalle distanze, temeva più il non potere fare delle infinite possibilità. Contemporaneamente, ad arginare la mancanza (della famiglia, degli amici, di Granada), da New York scriveva lunghe lettere, chiedendo in cambio che gliene scrivessero di altrettante lunghe, e protestando quando non lo erano abbastanza.

Di Poeta a New York oggi Patti Smith dice: “Dentro c’è la bellezza, e l’avarizia, le cose che lo terrorizzavano, quelle che l’ossessionavano, quelle che lo disgustavano. Ed è un vero libro americano. Un piccolo libro scritto da un poeta che nel proprio paese non aveva nessuna libertà e che in America sentì di potersi esprimere, regalandoci una visione unica e speciale di New York e di quegli anni. Dopo New York tornò in Spagna, tornò a Granada, e tornò da persona politicamente scomoda e con una consapevolezza sessuale impopolare in Spagna, come dappertutto in quegli anni. Ma lui andò comunque. Venne arrestato, portato su un campo, e fucilato. Il corpo venne gettato in una fossa comune. È così che hanno trattato uno dei più grandi poeti di ogni tempo”.

García Lorca non tornò mai in America. Nel 1940, all’indomani della pubblicazione postuma dell’opera, il manoscritto di Poeta a New York andò perduto, per poi riapparire nel 2003 in un’asta da Christie’s. “Abbiamo fatto immediatamente causa, convinti di vincerla”, racconta oggi la nipote Laura, “e invece l’abbiamo persa. Siamo stati costretti a ricomprarlo da chi l’aveva messo in vendita e finalmente possiamo esporlo qui a New York”. In mostra oggi nelle teche della New York Public Library, queste pagine incantano per quel loro essere fatte di parole messe costantemente in discussione. Scritte, cancellate, e ancora scritte. Ogni tanto c’è qualche disegno. Su un foglio un elenco delle foto che, insieme a disegni e cartoline, García Lorca avrebbe voluto illustrassero il libro. Sono diciotto in tutto, la prima è la Statua della Libertà, e l’ultima è il paesaggio dell’Havana. In mezzo folle, deserti, studenti che ballano vestiti da donne, neri, maschere africane, Wall Street, la testa di Walt Whitman con la barba piena di farfalle, l’oceano. Così per lui era New York. Nella poesia “New York (Oficina y denuncia)” scrisse: Pero yo no he venido a ver el cielo. Ma non sono venuto a vedere il cielo.

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