Circondati dal brutto? Intervista a Auroro Borealo

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di Fabio Ciancone

Auroro Borealo è cantante, ha pubblicato il suo ultimo album Aurora Boreale a marzo 2023, gestisce la pagina Instagram Libri brutti, in cui pubblica e cataloga libri che escono dal canone estetico e contenutistico dell’industria letteraria, e il blog Orrore a 33 giri, dedicato, con lo stesso scopo, alla musica. È la stessa persona che, nel 2012, ha pubblicato su YouTube 10 minuti di fettine panate, un video creato tagliando e montando in loop i frame di un episodio del telefilm Kiss me Licia nel quale, per qualche strano motivo, i protagonisti ripetevano svariate volte nel giro di poco tempo “fettine panate”. L’ho intervistato prima del live show di Libri brutti a Firenze, uno spettacolo costruito esclusivamente su una sessantina di slide in Power Point con transizioni degne delle migliori – peggiori – presentazioni delle scuole medie. La stanza era troppo piccola per contenere il pubblico, che infatti ha scelto di sedersi a terra o rimanere in piedi. Le persone che entravano nella stanza durante lo spettacolo (molte, anche dopo svariati minuti) erano costrette a passare davanti al proiettore, impallando l’immagine. Chiunque era libero di interrompere lo show con domande, commenti e considerazioni. Tutti questi elementi, che normalmente sarebbero considerati disturbanti, erano tenuti insieme dalle premesse dello spettacolo – che infatti funziona perfettamente. Abbiamo fatto una chiacchierata per indagare il suo rapporto estetico con la bruttezza.

Per entrare nella conversazione partiamo da due versi di una tua canzone, Brutto dappertutto. Il primo è “ho sbagliato, tutto giusto” e il secondo è “ognuno fa schifo come può”. Mi sembra che sintetizzino bene i tuoi progetti: da una parte l’ossimoro di un’estetica del brutto senza alcuna sovrastruttura, dall’altra la naturalezza e la normalizzazione del fare schifo.

Viviamo in un mondo circondato dal brutto, la bruttezza ha una sua dignità e una sua funzione sociale. C’è un sacco di brutto – che è quello su cui impernio i miei progetti – che ci racconta della nostra epoca molto più del bello. Negli anni ’80 ad esempio c’era questa cantante, Giorgia Fiorio, che era il clone spaccato di Gianna Nannini. Ecco, sapere che esistesse il clone di Gianna Nannini, che ci fosse una ragazzina con la voce da tabagista a cui i produttori chiedevano di imitarla, ti racconta di quanto fosse celebre Gianna Nannini. È più interessante dal punto di vista culturale, anche se non necessariamente artistico. Le cose che vengono cestinate raccontano di un’epoca di più delle cose che vengono celebrate. Non è un caso se molto spesso gli archeologi vanno a rovistare nella spazzatura per studiare le abitudini delle persone. Lascia stare, poi, che a me le cose brutte piacciono proprio.

“Ognuno fa schifo come può” è una frase che diceva sempre il nonno di un mio amico in Umbria, quando ero al liceo. Quanto a questo concetto c’è da dire che viviamo tutti periodi complicati e cerchiamo di dare il massimo, ma se non riusciamo va bene lo stesso. Una cosa che ci hanno insegnato la pandemia e le grandi dimissioni è che è ok fare schifo, ovvero non riuscire a raggiungere le aspettative che tutti hanno su di te. È una wave gigante della cultura mondiale: non a caso tutti stanno lasciando il lavoro perché non vogliono sottostare a un modello, anche per una specie di meccanismo di copying, per far pace con quello che non ti piace. In fondo la cultura del trash teorizzata da Labranca è quello: il tentativo di emulazione di un modello alto che fallisce clamorosamente, a volte involontariamente. A me piace da sempre, quindi non faccio fatica ad abbracciare questa cultura. Abbracciare le cose più brutte ti fa stare bene.

Willie Peyote trasforma questo discorso dicendo in una canzone che “fare schifo è un dovere morale”.

Ecco, su quello non sono d’accordo, sono molto più garantista. Fare schifo volutamente può portare a delle derive che non sono ok. È il momento di abbracciare quello che siamo; dirci, da un punto di vista etico, “io arrivo fino a qua e non devo per forza dare di più. Posso essere tranquillamente quello che sono”. Poi stai comunque parlando con uno che spinge come un matto, ma dovremmo semplicemente essere quello che siamo e ci sta se non siamo tutti dei vincenti.

Tu in quale scena ti sei formato, quali sono stati i tuoi riferimenti culturali e quanto ha influito la provincia sulla tua formazione?

Da adolescente sono cresciuto in una scena musicale inesistente. In provincia di Brescia non c’era niente, quello che mi ha cambiato la vita sono stati gli Skiantos, Frank Zappa e i primi dischi dei Litfiba. Poi altri riferimenti sono Jannacci, Paolo Conte, gli Sparks, il punk. Sono passato da un paesino a un paesotto, perché durante il liceo sono stato in Umbria, e poi sono arrivato a Milano. Le cose che avevo in nuce però me le sono formate prima. Non ho mai frequentato nessuna scena se non quando, da outsider, ho iniziato a fare musica con i Pay, un gruppo punk rock di fine anni ’90-inizio 2000, che però erano molto ironici, infatti eravamo visti come cretini dalla scena punk dura e pura. Di quell’esperienza mi è rimasto lo stage diving e l’approccio artistico. A Milano non c’è una scena vera e propria da mai, forse dagli anni ’80, per assurdo la scena milanese sono io con la mia etichetta, una microbolla di dieci artisti che fanno festival.

Perché dici questo?

La scena a Milano non esiste più perché ci sono le major e c’è il business. Dove ci sono le major non ci può essere la scena, perché appena nasce qualcosa di buono viene subito preso, quindi non fa in tempo ad attecchire niente di davvero indipendente e autoprodotto, soprattutto in un momento storico in cui tutti vogliamo fare i progetti per fare i soldi.

In una tua intervista recente parlavi dell’importanza che ha per te la musica brutta e della serietà con cui la affronti. Parlando sia di musica sia di libri, come arriva un prodotto artistico ad assumere rilevanza in quanto oggetto brutto, se partiamo dal presupposto che nessuno fa volutamente una cosa brutta, a meno di non metterci sopra la lente della critica o della parodia?

Si tratta sempre di quello che dice Labranca, è l’imitazione di un modello alto che fallisce. Ciò che trasforma un libro brutto in uno rilevante è il clash che si crea dalla sua pubblicazione. Ad esempio, il libro di Gianni De Michelis sulle 250 migliori discoteche italiane, validate e testate da lui, pubblicato mentre era vicepresidente del consiglio, genera una simmetria incredibile, infatti il libro è diventato rarissimo: un libro di un vicepresidente del consiglio che recensisce le discoteche, fa festa e spende un sacco di soldi. È un unicum, un prodotto che ti racconta di per sé un’epoca. Quello, in maniera silente, è culto, perché genera uno scarto tra quello che vorresti ottenere e quello che ottieni e a partire da quello scarto impatti sulla cultura in termini di rilevanza. Più un oggetto è una cartina tornasole di un’epoca, più è rilevante.

A quel punto l’essere di culto annulla l’essere brutto, si passa da una questione estetica a una culturale. Si rompe ogni logica del canone.

Corretto. Infatti, nella pagina Libri brutti c’è scritto “brutti per gli altri, bellissimi ai nostri occhi” proprio perché, per definizione, brutto e bello è soggettivo. Per me, nel momento in cui posto un libro, o è già rilevante o lo sto rendendo tale io. La mia è un’operazione archivistica.

Quindi tu non fai del tuo lavoro un progetto di ricerca o artistico.

No, per me è un archivio, alla base c’è un’intenzione documentaria. A me piace essere considerato lo Scaruffi della musica brutta o dei libri brutti. Sto archiviando per le future generazioni. I libri sono libri, io non faccio niente, la selezione per me non è arte.

E allora come prendi il fatto che io, intervistandoti, ti stia dando rilevanza in quanto ideatore di questi progetti?

Non me ne frega niente.

Forse non dovrei intervistarti.

Forse non dovresti intervistarmi, dovresti semplicemente scrollare su Instagram. Tutte le cose che stiamo dicendo sono un contorno a delle cose che parlano da sole. Poi è ovvio, ci sono tanti livelli di lettura, ci sta che tu voglia dare un livello di lettura ulteriore ai miei progetti, ma tanti libri parlano da sé. I commenti che arrivano sulle foto quando le posto sono di tutti i tipi. Prima qualcuno contestava il fatto che alcuni libri che postavo non fossero brutti, ora quasi nessuno. Ho quasi settantamila follower, che per l’editoria sono tanti, e tra questi non c’è quasi nessun autore e quasi nessun editore, forse perché hanno paura di finire sulla mia pagina. Le cose di adesso, della letteratura mainstream, non le pubblicherei mai, non posterei mai un libro vincitore dello Strega, che me ne frega di dare giudizi sul canone o sul masscult.

È per questo che vai spesso a ritroso nelle pubblicazioni?

No, cerco anche molto nel contemporaneo, per esempio il self publishing di Amazon è una miniera d’oro. Scrollo continuamente cercando cose appena uscite. La bruttezza che cerco è nell’inconsapevolezza, l’editoria italiana è mega consapevole.

La tua ricerca come funziona?

Per il self publishing è molto semplice, ci sono delle keyword che tengo d’occhio ogni settimana: amore, sesso, cesso, cuore, culo, cazzi, tette. E poi comincio a cercare per collane, tipo Bestemmie da colorare, quella roba lì. Ormai ce ne sono mille, infatti tiro fuori solo quelli più clamorosi. Poi il meccanismo dei consigliati su Amazon è imprevedibile, segue traiettorie strane neanche fosse una canzone di Battiato. Scoreggiare meglio è un libro su cui gli autori avevano investito talmente tanti soldi che se tu cercavi su Google Il fu Mattia Pascal ti usciva quello. Mentre su Ebay è molto più semplice, basta salvare le ricerche, così appena qualcosa esce ti arriva la notifica. Poi, ormai, tramite la mia pagina sono i libri brutti che arrivano a me. E io li compro tutti. La mia libreria è composta solo da libri brutti. Quelli belli li tengo nascosti.

Scrollando la tua pagina in effetti si notano dei temi ricorrenti come la sfera sessuale, quella emotiva, il basso corporeo, la cucina. Secondo te è sintomatico anche degli aspetti culturali dell’epoca da cui provengono?

No, perché sulla mia pagina posto tendenzialmente contenuti che cattureranno l’attenzione. Posto i libri anche in funzione di quanto spaccheranno su Instagram. Di sesso si parla in continuazione attraverso le epoche. Kamasutra a Napoli è un libro del ’95, il Libro del sesso totale è degli anni ’80, di questi argomenti si è sempre parlato, L’arte di petare è degli anni ’10 del 2000. Questi libri “a effetto” mi servono anche a preparare il terreno anche per altri più “off”, meno interessanti a primo impatto.

Cerchi il comico in quello che fai?

Non lo so se sono un comico. Sono cresciuto professionalmente alla corte di Piero Chiambretti, non lo puoi definire un comico: è un presentatore con una vena ironica che ogni tanto chiude qualche bella gag. Ma non è un comico, vive di trovate. Io mi definisco un performer, un intrattenitore con un’infarinatura di tante cose, mi ritengo un dilettante come Freak Antony, mi piace intrattenere. Per tanti anni ho tenuto in scaletta una canzone che si intitolava Il piromane di Lundo, che è la storia vera di mia nonna che si è fidanzata con un piromane che ha dato fuoco a mezzo paese. Quel tipo di cosa lì mi piace.

Come affronti la transmedialità dei tuoi progetti? Su YouTube hai usato la ripetizione nonsense quando hai pubblicato 10 minuti di fettine panate, le tue canzoni hanno testi più lineari e “narrativi”, Libri brutti è un progetto archivistico, Orrore a 33 giri è un blog di ricerca su cui scrivi anche articoli. A seconda dell’oggetto della tua ricerca sulla bruttezza mi sembra che cambi il modo in cui lo affronti.

Quanto alla multimedialità, essendo io una persona flessibile mi sforzo a trovare il modo giusto per far arrivare un certo contenuto in una certa maniera. Fettine panate è stata forse la cosa più vista tra quelle che ho fatto, ma ho cominciato a dire che ero io dopo che ha preso piede la cosa musicale di Auroro Borealo, mi faceva ridere dire che ero anche quello di Fettine panate. Quel video è nato per caso, è stata pura velocità di esecuzione. In quel periodo andava di moda fare i “dieci minuti di”, è diventato virale questo pezzo di Kiss me Licia in cui per qualche ragione dicevano tantissime volte “fettine panate”, io ho unito le due cose ed è diventato virale. Come quando ho preso lo spezzone della Vanoni intervistata da Costanzo che storpia la parola jazz. Il mio cut è stato più visto dell’originale, fine.

Pensi che la tua attività possa essere definita meglio dal concetto di trash o da quello di camp?

È difficile dirlo. Diciamo che da quando è morto Labranca e da quando c’è YouTube, o più genericamente i social, non ha più senso usare la categoria “trash”. Diprè non è trash, è circonvenzione di incapace. Il camp, d’altro canto, per come lo intendo io, è involontario. Io direi solo “brutto”.

Accanto al tuo Libri brutti c’è la tendenza all’estetizzazione del bello, ci sono i booktok. L’arte è bella, fare cultura è bello, i libri sono belli e così via. In questo mercato editoriale il tuo progetto sembra produrre una sorta di schizofrenia memetica. Lo consideri un progetto schizofrenico?

No, perché fa gli stessi numeri dei Booktoker. È assolutamente nello Zeitgeist e i libri brutti non passeranno mai di moda.

Però anche i meme sono nello Zeitgeist…

Io estetizzo la bruttezza e proprio per questo motivo sono esattamente come tutti gli altri booktoker, non c’è differenza. Parlano i numeri sui social, faccio gli stessi numeri se non di più di uno che parla di un libro in modo normale o critico. Se io faccio 220 mila visualizzazioni con un reel di un libro del 1988, in termini di numeri sono come un booktoker. Il contenuto è irrilevante perché sappiamo che c’è, è tutto contenuto.

 

Commenti
Un commento a “Circondati dal brutto? Intervista a Auroro Borealo”
  1. Bandini ha detto:

    Auroro Borealo maître-à-penser del millennio.

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