L’ideologia del protagonista
Riprendiamo un testo dal blog Il primo amore.
di Tiziano Scarpa
Sono morte le ideologie, hanno trionfato le storie. Che sono ideologie mascherate. Ma se questo è vero, in che cosa consiste il nucleo ideologico delle storie? Perché una narrazione dovrebbe essere di per sé ideologica? Non sto parlando delle narrazioni palesemente false, manipolatorie, ma di tutte le storie. Perché una narrazione è ideologica, anche quando è accurata e in buona fede?
Ci pensavo in questi giorni; tutte le cose che mi succedevano intorno sembrava che mi parlassero, dicendomi la stessa cosa.
L’ideologia della narrazione prevede una gerarchia tra la figura e lo sfondo. Contano solo i personaggi. L’ambiente in cui si muovono è un pretesto per allestire le loro faccende.
Elmore Leonard, scrittore di noir, nel suo decalogo per scrivere buona narrativa ha messo al primo posto il divieto di parlare del tempo che fa:
“1. Mai iniziare un libro parlando del tempo. Se è solo per creare atmosfera, e non una reazione del personaggio alle condizioni climatiche, non andrai molto lontano. Il lettore è pronto a saltare le pagine per cercare le persone.”
Il lettore è pronto a saltare le pagine per cercare le persone. L’ideologia della narrazione addestra i lettori a saltare lo sfondo per cercare le figure.
Dopo l’alluvione in Sardegna, mi sono chiesto: che cos’è stata la Sardegna, per me, in questi ultimi mesi? Che notizie mi interessavano, quando leggevo di cose sarde? Di recente avevo seguito la narrazione dell’avvicinamento alle elezioni regionali che si terranno nel 2014. Avevo seguito anche le vicende del Teatro Lirico di Cagliari, le contestazioni al sindaco Zedda. Saltavo lo sfondo, cercavo le persone, le figure. Dopo l’alluvione dei giorni scorsi, ho letto la denuncia di Ettore Crobu, Presidente della Federazione Regionale dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali della Sardegna:
Il problema del degrado e degli eventi alluvionali che spesso comportano perdita di vite umane, come è avvenuto in questi ultimi anni e giorni, è sostanzialmente dovuto all’uso irrazionale del suolo e all’inadeguato governo del territorio. Le recenti politiche comunitarie adottate nel campo agricolo stanno portando ad un impoverimento delle aziende agricole ed un progressivo abbandono delle campagne.
Nel saggio Applauso, contenuto in Forme contemporanee del totalitarismo, Davide Tarizzo sostiene che i grandi cataclismi (cita gli tsunami e l’uragano di New Orleans) mettono alla prova lo Spettacolo:
un cataclisma naturale non ha volto. È uno schianto col reale, che disgrega il nostro sguardo, che spegne il nostro applauso, che arresta ogni risata […] È in occasioni come queste che lo Spettacolo dispiega tutto il proprio potenziale, cercando di dare un senso al non-senso del reale, cercando cioè di trasformare il non-senso del reale in un assenso allo Spettacolo. Ma come farlo? […] Per esempio, costruendo e rilanciando scenari di finzione incentrati su azioni eroiche, che strappano l’applauso […] Si tratta di tessere una trama, una storia incentrata sulla persona dell’eroe, che alla fine storni lo sguardo dal non-senso del reale e ci riconduca all’assenso puro, all’applauso senza condizioni
Questi tipi di storie sono al servizio dell’ideologia del consenso (o dell’assenso, come lo chiama Tarizzo, con maggiore pertinenza), sono dispositivi che, nel prevedere obbligatoriamente trame, eroi, protagonisti, modellano lo sguardo, lo concentrano su una figura.
Qualche giorno fa Maria Gianola e io abbiamo fatto un incontro alla biblioteca Querini, a Venezia, di fronte a tanti bambini (sto mettendo insieme fatti enormi e fatti minuscoli, lo so, ma, come dicevo, ci sono momenti in cui la vita sembra dirti la stessa cosa in forme diverse, da diversi fronti). La lettura scenica della nostra favola è durata una mezz’ora, poi ci siamo trasferiti in una stanza a colorare, ritagliare e incollare. Maria (che ha fatto Laguna l’invidiosa insieme a me, illustrando il libro) ha avuto l’idea di far costruire ai bambini un teatrino, molto semplice da realizzare. Ha distribuito un foglio bianco con i personaggi da ritagliare: sole, luna, casa, pompiere del ghiaccio. Ma la protagonista, la laguna, era disegnata su un altro foglio, di celeste intenso. Era la carta con cui costruire il teatro. La protagonista coincideva con la scenografia.
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Christian Raimo (1975) è nato a Roma, dove vive e insegna. Ha pubblicato per minimum fax le raccolte di racconti Latte (2001), Dov’eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro? (2004) e Le persone, soltanto le persone (2014). Insieme a Francesco Pacifico, Nicola Lagioia e Francesco Longo – sotto lo pseudonimo collettivo di Babette Factory – ha pubblicato il romanzo 2005 dopo Cristo (Einaudi Stile Libero, 2005). Ha anche scritto il libro per bambini La solita storia di animali? (Mup, 2006) illustrato dal collettivo Serpe in seno. È un redattore di minima&moralia e Internazionale. Nel 2012 ha pubblicato per Einaudi Il peso della grazia (Supercoralli) e nel 2015 Tranquillo prof, la richiamo io (L’Arcipelago). È fra gli autori di Figuracce (Einaudi Stile Libero 2014).
A me sembra un racconto un po’ confuso , e’ difficile cogliere il senso della narrazione… Peccato !
l’avevo letto sul primo amore e avevo pensato: che peccato leggerlo così di rado.
quando scarpa è ispirato non ce n’è per nessuno.
Decisamente un bell’articolo quello di Tiziano Scarpa, e un tema senza dubbio affascinante. Mi permetto di aggiungere una riflessione ‘a margine’ ma che ritengo di per sé ‘non marginale’. La ‘narrazione’ che mette al centro la figura spingendo sullo sfondo il ‘paesaggio’, in tutti i suoi aspetti, naturali e sociali, in cui si muove, viene da lontano come portato della cultura che abbiamo ereditato: quella che ha visto come unico soggetto della storia dotato di un ‘Io intellegibile’, volontà e senso morale, il sesso maschile (v.Otto Weininger, “Sesso e carattere”) e la donna confinata sullo sfondo come natura e materia informe. Se cominciassimo a riflettere sull’origine dei nostri schemi interpretativi, ci accorgeremmo di quanto rimanga ancora da scoprire sul peso che ha avuto e che ha ancora oggi il rapporto uomo-donna nello sviluppo delle civiltà finora conosciute.
…una citazione da Sibilla Aleramo (“Il Passaggio”):
“L’uomo mi si erge dinanzi come se veramente io facessi parte dell’inconsapevole: come se fossi fiore, nido, stella: e di tutto il suo interno travaglio, dell’assalto ch’egli mena temerario alle ragioni e alle forme, d’ogni concetto e d’ogni architettura, neppur in minima guisa io son complice: donna sotto la specie dell’eterno, immota, contemplante, lontana”
io faccio fatica a capire dove voglia arrivare
un altro grande artista che ha analizzato il rapporto uomo-paesaggio in modo
astratto e allo stesso tempo molto umano è il fotografo luigi ghirri, i cui lavori
erano presenti alla biennale appena conclusa
quello che per me conta è il rapporto tra figura e paesaggio, la relazione (anche simbolica) tra dentro e fuori;
oppure, come dice bene Scarpa, la figura che diventa paradigma di qualcos’altro (ossessione ecc), che diventa la soglia da varcare