Venezia, storia di un suicidio

Pubblichiamo un intervento di Tomaso Montanari apparso sul Fatto quotidiano. Vi segnaliamo che oggi Montanari è a Napoli, ospite di La Repubblica delle Idee per un incontro con Gustavo Zagrebelsky dal titolo Cultura vuol dire esercizio della democrazia. (Fonte immagine)

Massimo Cacciari – tra i cui non molti meriti di sindaco di Venezia c’è quello di essersi sempre opposto al Mose – ha detto che le radici della corruzione vanno cercate nell’urgenza. Vero, ma il Mose sarebbe criminogeno anche se i suoi lavori andassero lentissimi. Perché è un progetto sbagliato in sé: frutto di quella vocazione al suicidio da cui Venezia non sembra capace di liberarsi.

Spinelli, rinuncia

Forse, e per fortuna verrebbe da dire, qualcuno non lo sa; ma nella Lista Tsipras c’è un po’ di discussione: il motivo è che Barbara Spinelli (ispiratrice della Lista e una di quei garanti che sono riusciti a creare e guidare questa esperienza neonata non solo verso l’agognato e complicato 4,03 % ma anche in una campagna elettorale vitale, franca, capace di discutere di temi e non di vedersi ridotta al derby Grillo-Renzi), dopo aver chiaramente affermato che avrebbe lasciato la sua poltrona di parlamentare europeo in caso di elezione a chi veniva dopo di lei nelle preferenze, e dopo aver per questo ricevuto non poche critiche, e dopo aver anche risposto e difeso i motivi di questa scelta, ora pare averci ripensato: forse andrà a Bruxelles. E quindi forse non ci andrà uno dei due trentenni che erano arrivati secondi nella circoscrizione centrale e in quella meridionale: Marco Furfaro e Eleonora Forenza. Che si erano già fatti le foto di rito.

Sulla vittoria di Renzi

«Matteo Renzi è il leader ideale del partito cui vorrei fare opposizione, nel senso che – secondo una logica un po’ anglosassone – lo considererei una ragionevole alternativa di centro-destra a quella che io vorrei che fosse la mia forza di centro-sinistra». Ogni volta che in questi dieci giorni qualcuno mi ha chiesto cosa pensassi del trionfo del Pd di Renzi, mi è rimbombato in mente questo passaggio della mail che il mio amico Tullio mi ha mandato all’indomani del voto. Mi pare proprio così: abbiamo passato vent’anni a lamentarci che, per colpa dell’anomalia di Silvio Berlusconi, in Italia non esisteva una destra democratica, moderata, civile, europea: e ora eccola qua. Certo, magari non avremmo voluto che – come in Alien – uscisse dalla pancia della sinistra, fagocitandola. Ma è andata così.

Domani si vota in Islanda, ovvero come nell’Europa del futuro il progressismo sta diventando razzista

Haukur Már Helgason è uno scrittore e filmmaker, nato a Reykjavík 1978. Ha pubblicato un romanzo: ‘The Advanced 20th Century’, nel 2006. Durante la protesta dell’inverno 2008–2009 è stato fondatore ed editor del quotidiano di informazione “Nei”. I suoi saggi critici sono stati pubblicati su The London Review of Books e Lettre International. Il suo primo documentario, “Ge9n”, è uscito nel 2011. Vive a Berlino.

di Haukur Már Helgason

Domani ci saranno le elezioni comunali in Islanda. La settimana scorsa, dopo le elezioni europee, la campagna elettorale del partito Progressista a Reykjavík ha preso una strana piega, quando la leader locale ha dichiarato che, se fosse stata eletta, avrebbe cancellato l’impegno a destinare un lotto di terreno per costruire la prima moschea della città. I Progressisti, a partire dai primi del XX secolo, sono per tradizione il secondo partito dell’Islanda: si definiscono liberali e sono attualmente al governo.

Motivi per cui ha stravinto Renzi

Nessuno si aspettava un risultato così clamoroso per il PD. Figuriamoci io, che scrivevo due giorni fa un articolo in cui dicevo che era spompato. Nessuno tranne Matteo Renzi stesso che nel 2012, nella corsa alle primarie contro Bersani, dichiarava: “Il mio Pd può arrivare al 40%, il loro al massimo al 25”. Ha avuto ragione, e altri – molti, mi ci metto nel mucchio – hanno avuto torto. Ma i motivi (i meriti e le fortune, del resto occorre essere golpe et lione) per cui Renzi ha stravinto sono molteplici, proviamo a elencarne solo i primi che saltano all’occhio.

La piazza della solidarietà

Questo è il discorso di chiusura della campagna elettorale, a favore di Tommaso Grassi sindaco e della Lista Tspiras, che Tomaso Montanari ha letto l’altroieri in Piazza della Santissima Annunziata a Firenze.

Con la prepotenza e la furbizia che ben conosciamo, stasera Matteo Renzi si è preso la piazza del potere. La piazza della Signoria.
Ma gli lasciamo di buon grado la Signoria: noi siamo felici di essere nella piazza della solidarietà. Qui, sei secoli fa, sorse il primo edificio del Rinascimento: ebbene, quell’edificio – lo Spedale degli Innocenti, di Pippo Brunelleschi – non era al servizio della politica intesa come potere. Ma al servizio della politica intesa come accoglienza, solidarietà, cura degli ultimi. Quel palazzo così bello era per i meno potenti di tutti: i bambini che nessuno voleva. Perché il senso vero della bellezza è la giustizia.

Come conservare un’idea di utopia nelle depressive elezioni di domani.

Domani si vota, io voterò Tsipras. Ieri si sono concluse le campagne elettorali; e andarsi oggi, con calma, a riascoltare i comizi finali, a leggere le dichiarazioni d’intento, e spulciare i programmi, è quello che farà forse una parte piccola di quell’immensa folla di tuttora indecisi. Viste in differita, le ultime fasi, le ultime piazze lasciano una sensazione, un’impressione sottocorticale di delusione. Al di là degli appelli alla speranza, all’emozione, alla rabbia buona, l’aria che si respira è quella di dismissione, di risentimento, di passioni tristi, di depressione di massa: un senso anticlimatico per cui sembra di assistere a un processo ineluttabile di crisi irreversibile. Il linguaggio politico è fatto di piccolo cabotaggio, frecciatine, riferimenti pop. Le battute finali di Renzi e Grillo (il derby che nessuno auspicava) sono tutte in minore, un dai! dai! dai! contro una cupio dissolvi.

In difesa di Corona

Non avrei mai pensato di far parte di una nicchia di persone, di una nicchia sempre più ristretta del resto, composta essenzialmente di persone di destra. Ma il pezzo di Guido Vitiello oggi sul Foglio e l’articolo di Filippo Facci sul Post, giornalista di una testata che ho per anni considerato un fogliaccio come Libero, convergono su una verità tanto evidente che la loro disillusione non è più nemmeno provocatoria: in Italia il garantismo è morto. “In galera! In galera!” è l’unico valore condiviso sul quale, in quella ottusa cultura politica che è stato l’antiberlusconismo, abbiamo trovato a sinistra un collante comunitario. (Andate a rivedervi le immagini del 2009 del No Berlusconi Day, per vedere qual è stato in tempo recente il milieu di questa anti-educazione politica). Così il garantismo – diventato a sinistra una cultura ultraminoritaria, ancora di più nel Pd azzerato dalla canonizzazione dei pm da Tangentopoli in poi e da vent’anni di deriva persecutoria di giornalisti che hanno trovato erotizzante la mostrificazione degli indagati – viene di fatto associato con la connivenza.

Il nostro bisogno di polizia

di Christian Raimo Non c’è nemmeno bisogno di citare René Girard e la sua psicologia delle folle (i suoi capri espiatori, la sua violenza mimetica…) per provare a commentare la narrazione tossica che ha avuto il suo incipit sabato 3 maggio con le notizie degli scontri vicino l’Olimpico ed è proseguita con la telecronaca Rai […]

Reinfetazione: la “nuova arcadia democratica”

Questo pezzo è uscito su Artribune.

Stiamo vivendo un momento italiano che è stato paragonato utilmente a quello dell’8 settembre: di sbandamento e di ripiegamento. Vivere un cambiamento senza esperire questo cambiamento, senza adottarlo nella propria testa e nella propria vita, è del resto – come la rimozione, che nutre questo processo – una delle nostre passioni inveterate.

È la reinfetazione di cui scriveva nel dicembre scorso Barbara Spinelli, un imbozzolarsi individuale e collettivo, una regressione guidata dalla paura e dallo sconforto: “Reinfetazione è quando ti rifai feto: torni nella pancia, il cordone ombelicale ti tiene al guinzaglio. Finché non nasci, resti stabile tu e anche chi comanda: «Con annunci drammatici, decreti salvifici, complicate manovre, la classe dirigente si presenta come l’unica legittima titolare della gestione della crisi» (Censis)” (Il vizio dell’8 settembre, “la Repubblica”, 11 dicembre 2013)…