Bangkok e ½

di Marco Piazza

Verso la fine di Ottobre la stagione delle piogge volge al termine. Ancora qualche scroscio violento allagherà le strade e i sotterranei, ma a fine giornata l’aria è più fresca. Come questa sera, mentre percorro Rama IV per tutta la sua lunghezza, fino alla Samyan House. Poi, dopo un brevissimo inverno – se così si può definire – tornerà il caldo, un caldo asfissiante e ostinato.

Federico Fellini – il nostro Federico Fellini – non credo si sarebbe trovato a proprio agio, qui. Lo immagino sudato nella camicia, appiccicata dove passano le bretelle. Tutt’al più si sarebbe perso in quei viaggi onirici che sono le visite ai templi lungo il Chao Phraya. Ne avrebbe apprezzato le architetture, le linee oblique dei tetti spioventi e i pennacchi dorati agli angoli. Si sarebbe perso nel labirinto claustrofobico dei motivi geometrici che rivestono le pareti. Avrebbe infine incontrato nuovi sguardi e volti scolpiti con armonie inusuali: ragnatele di rughe sugli zigomi degli anziani e giovani labbra che sbocciano su visi dorati. Li avrebbe guardati con un senso di inadeguatezza, di non appartenenza. Ma non è forse così che è sempre stato il suo sguardo?

Fatico a immaginarlo a proprio agio a queste latitudini, ma qui tutti gli vogliono bene. Un amore nato già negli anni settanta, quando alcuni dei suoi film-icona sono usciti dal circolo dei cinema d’élite e hanno raggiunto un pubblico più esteso: film come La strada, La dolce vita, Amarcord, fanno ormai parte dell’immaginario collettivo. Non a caso vengono organizzati festival cinematografici dedicati al Nostro nelle più importanti metropoli del sud est asiatico. Ancor di più quest’anno, nel centenario della sua nascita, Fellini è ovunque: allo Shanghai international film festival in giugno, al Festival cinematografico di Taiwan in agosto, e poi a Tokyo, a Hong Kong e finalmente qui, all’Italian film festival di Bangkok.

Ipnotizzato dalle quattro corsie per senso di marcia cerco di scacciare certi pensieri che hanno la forma di nuvole grigie e immagino i titoli di coda di un suo film sulla caduta di Saigon: la carovana della troupe che avanza lungo il sentiero di Ho Chi Minh. Cosa ne avrebbe fatto Fellini dei colori tenui del mattino in un campo di riso pochi giorni dopo il raccolto? Potrebbe sembrare la pianura padana, fino a che non si scorge la cupola dorata di un tempio birmano e poco distante, come puntini, le sagome di monaci che camminano in fila avvolti dai loro sacri princìpi e da vesti color porpora.

Questa è la sera di Otto ½, mi metto seduto in fondo e mi dimentico di dove sono. La scena di apertura, fumosa e claustrofobica, tiene tutti con la schiena dritta. Verso metà film, quando Snaporaz raggiunge l’apice del suo smarrimento, devo aver chiuso gli occhi, cullato dall’affresco onirico di Fellini. Il film prosegue con le sue scene in un chiaroscuro ipnotico e così anche io, forse per proteggermi dai miei dubbi e dalle mie incertezze, cado in un sonno profondo.

Mentre scorrono i titoli di coda vengo svegliato da un uomo che mi accompagna verso l’uscita. La sala è ormai vuota. Mi alzo ed esco velocemente, stretto in un rigido contegno. Sono tutti nel foyer, gli occhi incollati alle litografie appese alle pareti. L’esposizione si intitola “David Lynch: Dreams – A Tribute to Fellini”. David Lynch, a cui brillano gli occhi quando racconta di aver visto Fellini pochi giorni prima della sua scomparsa. David Lynch con il suo ciuffo d’argento dice che ognuno ha la sua stella e che la sua, da sempre e per sempre, è Fellini.

Cammino lentamente fra la gente mentre i condizionatori soffiano un getto d’aria fredda che gela il mio collo sudato. Mi fermo alcuni secondi davanti ai quadri appesi alle pareti. Indugio di fronte a una litografia che ricrea la scena finale, quella della spiaggia con l’uomo che porta il basso tuba in spalla e l’impalcatura sullo sfondo. Mi stropiccio gli occhi, mi fischiano le orecchie ed ecco la melodia, la colonna sonora di Otto ½ mi avvolge e scompiglia i miei capelli. Senza pensarci troppo mi unisco alla sfilata finale insieme al produttore, all’intellettuale, alla moglie e all’amante, ai prelati e alle donne coi cappelli piumati. A passo di marcia lascio la sala e torno al caldo. In strada è ormai scesa la notte.

Un tuk-tuk color lillà è fermo al bordo della strada, mi stava aspettando? Salgo e mi faccio portare a casa, chiudo ancora gli occhi e mi slaccio la cintura dei pantaloni. Dove sono? Riapro gli occhi solo per un istante ed eccomi sulla Via del Mare. Gioisco al pensiero che tra pochi minuti, a Ostia, incontrerò Fellini, perfettamente a suo agio seduto a un tavolo con la tovaglia a quadretti, pronto per la  cena.

(Foto)

Commenti
Un commento a “Bangkok e ½”
  1. Auto F. ha detto:

    Bangkok: oramai, purtroppo, un lontanissimo ricordo. Incantevole senza dubbio. Grazie per articolo!

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