La bolla

di Viola Valéry

In una mattina benedetta dal sole, tendevo il copripiumino sul filo che attraversa il mio giardino, quando mi accorsi che al suo interno si era appallottolato qualcosa, forse una maglietta, in fondo a una delle estremità. Provai a tirarlo su dall’esterno facendolo uscire dal lato aperto, ma niente, quindi infilai tutto il braccio al suo interno, ma la mia mano incontrava solo strati e pieghe. Allora entrai, prima con la testa e poi con il busto. Si stava bene lì dentro, nella luce del sole filtrata dal cotone. Rimasi ferma, serena, per un attimo, inspirando il profumo di marsiglia. Non pensai a niente. Poi continuai a farmi strada tra i teli e la vidi. Non era un ammasso di calzini, bensì una bolla. Emanava un’aura positiva e innocua. Cedetti a quella necessità che sentivo e allungai le dita.

“Cosa hai fatto!”

Mi sentivo come se avessi sbattuto la testa. Provai a mettere a fuoco. Ero in un buio melmoso, ma c’era un tremolio lucente e verde vicino a me.

“Chi parla?”

“Siamo le tre fiere”

Non capii subito, poi mi illuminai.

“Siete il leone, la lupa, la lonza?”

Udii un sospiro stanco.

“No, siamo il Salone del Libro, più Libri più Liberi e il Book City”

“Ah”

Ci fu un breve silenzio, durante il quale percepii dell’ imbarazzo generale.

“Superbia!” enunciò all’improvviso e a voce un tantino troppo alta uno dei blob luminosi, tanto che sussultammo tutti.

“Caratteristica propria a così tanti scrittori…avarizia! Quella delle riviste che promettono di pagare i contributors esterni e poi non lo fanno…lussuria! Generatrice di diversi contratti editoriali.”

Anche se l’ultima mi sembrava un po’ un luogo comune, non dissi niente. Stavo iniziando a preoccuparmi.

“Cosa ci faccio qui?”

“Non fare la santa ora, pensi che non lo sappiamo che ti stai affacciando al mondo dell’editoria e del giornalismo culturale italiano? Hai scoppiato la bolla, che manteneva saldo l’equilibrio. Hai generato il caos”

“Come posso rimediare a tutto questo?”

“È troppo tardi. Non abbiamo tempo per te, vattene, torna a scrivere le tue brutte poesie sulla notes app dell’i-phone!” quello mi ferì un po’. Risero. Il volume delle loro risa si fece sempre più alto e metallico. Era come se mi stessero stuprando il cervello.

“Seguimi” mi sentii prendere per la mano e trasportare via.

Avanzavamo in quello che somigliava ad un bosco. Ci fermammo ed ebbi modo di vedere chi mi aveva salvata. Era un uomo sulla cinquantina: aveva i capelli brizzolati, un solo orecchino d’argento e una lunga tunica color porpora, che indossava in modo piuttosto casual.

“Sei Virgilio?”

“Sono Stefano, autore Sellerio.”

“Stefano, per favore ho visto abbastanza, riportami a casa” lui non rispose. Lo guardai negli occhi.

“Stefano”

“Hai detto qualcosa cara? Scusami soffro di acufene…ero un dj acid jazz negli anni ‘90”

“Ti chiedevo se c’è modo di tornare nel copripiumino”

“Possiamo solo andare avanti adesso, o meglio, indietro ma avanti all’indietro. Nel passato che è anche presente e futuro. Unica cosa non c’è molto tempo, questo tour l’ho strutturato come una laurea alla Holden-da un annetto o due do corsi di scrittura creativa lì- quindi è breve, spettacolare ed efficace -se sai farti notare ovviamente-.”

“Sono all’inferno?” chiesi con la voce spezzata.

“Non ancora, ci siamo quasi. Seguimi”

Mentre camminavo a fianco di Stefano, autore Sellerio, il mio corpo era attraversato da sensazioni indecifrabili. Non potevo impedire niente di quel che mi stava accadendo, e questo mi faceva sentire stranamente rilassata, libera. Forse perché da tempo non mi prendevo qualche ora solo per me, visto che i miei pomeriggi erano dedicati a mandare email senza risposta e scrollare la home di Instagram. Mi sentivo come quando vado dal dottore dopo tanto tempo, e mi abbandono al suo prendersi cura di me. Quando vado dal dottore e lui mi parla di me e dei miei mali, mi sento come se mi stessero accarezzando con una grande piuma. Comunque, c’era qualcosa di morboso nel mio desiderio di farmi trasportare all’ inferno e vederlo in faccia. Perché indugiare nel fondo che avevo già toccato? La presenza di Stefano in quell’improvviso viaggio mi rassicurava. Dalla fine dei miei studi in letteratura comparata mi ero sentita molto confusa, non avevo desiderato altro che qualcuno mi prendesse nelle sue mani e mi…

“Non distrarti” la voce mi riportò coi piedi per terra, o insomma, ovunque io fossi: “So che questo per te è un percorso introspettivo, ma devi osservare e ascoltare con attenzione, eccoci.” Mi ero guardata i piedi per tutto il percorso, non mi ero quindi accorta che eravamo arrivati di fronte a una porta, in cima alla quale c’era una targa di marmo con un’iscrizione:

La letteratura è un s

Il resto era illeggibile. Stefano accanto a me fumava.

“Cosa c’era scritto?”

“Onestamente non me lo ricordo” spense la sigaretta su un sasso, sotto il quale nascose il mozzicone. Poi estrasse dalla tunica un mazzo di chiavi e aprì la porta.

Eravamo in un ufficio. Due scrivanie bianche erano state avvicinate per creare un tavolo da buffet. C’erano dei vassoi di bignè umidicci e diversi tipi di insalate di riso. Un po’ di persone gironzolavano guardandosi intorno, tenendo stretti bicchieri di plastica pieni di prosecco. Tutti bisbigliavano ma non riuscivo a capire cosa esattamente. I bisbigli generavano un ronzio compatto e lagnoso. Stefano si avvicinò al tavolo e versò due bicchieri.

“Cosa stanno dicendo?” gli chiesi. Lui non rispose, quindi mi avvicinai discretamente a un gruppetto…

“Ho sempre tenuto un diario…mi sarebbe piaciuto scrivere. Ero anche bravo al liceo. Poi che vuoi, bisogna pur guadagnare; è così che ho iniziato col copywriting” disse un ragazzo dal sorriso triste.

La persona di fronte a lui guardava dietro le sue spalle, con gli occhi vuoti, e gli parlava sopra:

“Scrivevo sì….ma poi mi sono detto “se non posso trasformarlo in lavoro perché farlo?”

Mi voltai verso Stefano, e penso che dalla mia espressione capì che quel breve scambio era stato più che sufficiente, perché mi fece segno di seguirlo verso l’ascensore.

“Mi è chiaro in cosa abbiano peccato, ma non non capisco quale sia il contrappasso qui” sussurrai.

“Il copywriting è l’insalata di riso della letteratura” rispose lui serio.

Ci stringemmo nell’ascensore. Selezionò un piano: “Acheronte è in pensione” disse ridacchiando tra sé e sé, ridacchiai anche io per cortesia perché non faceva molto ridere. Quando le porte si aprirono, ci trovammo in cima a un cucuzzolo. Mi sporsi verso il basso e rabbrividii. Ci affacciavamo su di una gola senza fondo, ricoperta da ragnatele. “Questo è uno dei gironi del litweb”

Un rantolo agghiacciante ci interruppe. Non lo avevo notato ma c’erano degli esseri umani al centro della tela. Uno in particolare veniva tirato verso uno dei cunicoli nelle rocce e chiedeva pietà. Stefano mi sussurrò come per non disturbare lo show: “ Questi sono quelli che aggiungono chiunque scriva o lavori nell’editoria su Facebook senza conoscerli. Sono soprattutto maschi etero laureati alla Sapienza…”

“…Cercano di tessere una solida rete come biglietto da visita per le nuove amicizie, poi se li aggiungi iniziano a commentare qualsiasi cosa come se a tutti interessasse la loro opinione” dissi concludendo la sua frase, con aria assorta. Da uno dei cuniculi emersero due enormi zampe di ragno pelose, che pazientemente iniziarono a tirare i fili giusti per avvicinare la vittima.

Rientrammo nell’ascensore e scendemmo di un piano.

Eravamo in un campo da tennis, una donna e un uomo giocavano impetuosamente. Ci avvicinammo per permettermi di decifrare le parole che sputavano urlando, ogni volta che colpivano la palla. Avevano l’aria esausta, ma sembravano attaccarsi alla racchetta come ci si attacca alla vita: “ Vorrei dire due parole sulla questione…”

“Da Lacaniano….”

“Abbiamo fatto una cosa bellissima con persone splendide…”

“Non volevo prendere parte al dibattito, ma dopo aver visto, per puro caso, almeno tre post a riguardo, mi vedo costretta a precisare che…”

“Sì, sono i post della bolla su FB. La condanna è un’infinita partita senza vincitore” mi disse mettendomi una mano sulla spalla. “E quelli sugli spalti?” erano tutti al telefono. “Sono quelli che commentano i post della Bolla.”

“Poverini, ma sono finiti tutti all’inferno?”

“No solo quelli che commentano in modo sagace e post-ironico” annuii comprensiva. Restammo un po’ in silenzio. “È desolante vero?” Stefano adesso stava facendo stretching.

“No…cioè…diciamo solo che non è quello che mi aspettavo quando da ragazzina sognavo di diventare una scrittrice”

“E cosa ti aspettavi? I salotti di Anais Nin? Le feste di Eve Babitz?”

“No semplicemente…qualcosa di più puro, di più vivo”

“Il prossimo girone sarà ancora più duro da digerire per te allora. Sappi che comunque non sei costretta e possiamo anche passare direttamente al purgatorio”

“No. Voglio vedere. E poi tutto questo casino l’ho creato io, non posso tirarmi indietro”

“A dir la verità puoi. Mi pagano comunque quindi per me non è un problema”

“Sì, questo l’avevo capito” lo guardai storto mentre fletteva il gomito intorno al collo per stirarlo.

Mi fece segno di seguirlo verso l’ascensore.

Procedemmo con qualche breve sosta in altri gironi: vidi le brave scrittrici finite a fare marchette ai brand su Cosmopolitan o Vogue. Si tenevano stretta la vescica con le mani sotto ai tavoli, perché costrette in eterni aperitivi in bar milanesi dove non c’era il bagno; Facemmo un salto nel girone degli editor delle riviste che avevano rubato le idee dai pitch di giovani giornalisti, legati come salami e torturati con plug anali di carta vetrata dagli stessi esordienti derubati; scrutai il vuoto nel fondo del fondo degli occhi degli scrittori finiti a fare gli opinionisti per trasmissioni trash alla TV, costretti a battere festosamente le mani durante un perenne stacchetto di Malgioglio. Ad ogni girone, la mia guida verificava le mie reazioni con la punta dell’occhio, e non sembrava soddisfatto.

“Stiamo arrivando dove volevo portarti” disse Stefano all’improvviso solenne.

Il viaggio verso l’ultimo girone fu molto silenzioso. L’ansia mi stava montando dalla stomaco fino alla punta delle dita. Le porte si aprirono.

Ci trovavamo in una grande libreria dalle luci tenui, dove gruppetti di persone parlavano tra di loro. Si capiva che era il momento successivo alla presentazione di un libro o qualcosa di simile, il momento che tutti aspettano, quello per cui tutti vanno alle presentazioni dei libri. Quei momenti in cui vengono finalmente stappate le bottiglie di vino biodinamico, per risollevare gli spiriti. C’erano camicie beige, pantaloni kaki, lunghe gonne nere, t-shirt grigie, camicette verde spento, cardigan marroncini, colletti e sandali. Tantissimi sandali. Eravamo nel covo di scrittori e scrittrici. Parlavano tra di loro di cose che sapevano solo loro: erano inaccessibili, composti, sapienti, asettici. Per farla breve: erano noiosi. Non c’era davvero niente che mi ricordasse i lussuriosi salotti di Anais Nin o le feste spumeggianti di Eve Babitz. Stefano mi scortò verso tre di loro. “Vi presento X. è una giovane scrittrice in erba…” iniziò a parlargli di me. Fino ad allora avevo scritto solo per qualche giornale locale, e sui miei canali social. Non c’era molto da menzionare. Ascoltavano Stefano senza interromperlo, per buona educazione, ma quando i loro occhi intelligenti si posavano su di me, non riuscivano a nascondere una certa aria di scherno. Mi chiesi se avessi qualcosa in faccia, non mi guardavo allo specchio da ore. Abbassai lo sguardo sul mio corpo, e notai con orrore che indossavo soltanto un bikini succinto. Stefano aveva smesso di parlare nel frattempo. Non trattenni le lacrime, e coprendo la mia nuda carne di scrittrice e giornalista esordiente, voltai le spalle al gruppetto e alla mia guida alla ricerca dell’uscita da quel luogo infausto, che odorava prepotentemente di incenso Masala. Feci slalom tra i sandali, scansai il libraio con l’orecchino al naso che riordinava lo scaffale delle graphic novel e uscii.

Ero di nuovo nel buio. Sentii dei passi dietro di me, Stefano mi aveva seguita.

“Cos’era quello?”

“Tutti questi gironi, tutto quel che hai visto, corrisponde alla tua idea di inferno.”

“E quella libreria? Questo bruttissimo bikini? Mi sembravano tutti piuttosto a loro agio, per essere all’inferno”

“Perchè la peccatrice eri te, e quello era il tuo personale girone.”

“E in cosa avrei peccato?”

“In libreria ti sentivi esclusa per la tua apparenza, ma a nessuno frega un cazzo della tua apparenza, non è questo il punto. Il tuo peccato è di aver perso il tuo amore per la letteratura. Sei disincantata, ti limiti alla superficie delle cose. Vedi solo il male di tutto questo, ma c’è molto di più oltre al tuo freddo giudizio”

“Ma come faccio a non vedere il male? Una laurea, due master, anni di gavetta, di scuole di scrittura, di lavoro intellettuale e culturale non pagato o pagato in rimborsi spese, non ti sembra abbastanza per perdere l’amore per la letteratura?”

“E allora perché faticare così? Perché farlo, se non per amore? Cosa credi che abbia mosso tutte quelle persone che giudichi, se non l’amore?”

Non seppi rispondere. Intorno a noi, solo buio e silenzio, che Stefano ruppe:

“Se hai scoppiato la bolla è perché eri pronta ad andare in fondo alla faccenda. Tu sei pronta ad amare ancora. You got the love”

“Pensavo che fosse questo il fondo della faccenda, e non c’è molto da amare”

“Ma l’hai letta la Divina Commedia?”

“Certo, al liceo come tutti. Devo dirtelo questa tua riscrittura non è mi è parsa molto meticolosa”

“Senti splendida, vuoi tornare a rosicare mentre correggi le bozze per il Reporter o vuoi concludere questo tour e tornare a casa con una morale?” volevo la morale. Ne avevo un bisogno viscerale.

“Voglio la morale della favola”

“Ok vuoi che ti porti in paradiso?” Annuii, esausta.

Mi tese la mano, la presi e camminammo nel buio. Iniziai a percepire un chiarore lontano, che addolciva quell’oscurità informe e minacciosa: era la bolla, come la ricordavo dal copripiumino. Stefano lasciò la mia mano: “non c’è più bisogno di me, quello è un posto in cui si va da soli.” Mi rivolse un sorriso dolce, lo abbracciai.

“Grazie Stefano. Avrei fatto la Holden se avessi saputo che gli insegnanti erano come te”

Portò il pugno al petto, all’altezza del cuore, e poi fece il segno della pace, mentre spariva nel buio. Mi avvicinai alla bolla e la toccai.

Il primo impatto con la bolla, quello che mi aveva portato all’inferno, era stato come una botta in testa. Stavolta fu come respirare per la prima volta. Il paradiso si manifestò a me come un’esplosione, una compresenza perfetta di sensazioni; aveva la chiarezza di un bicchier d’acqua, e le mani calde e buone; era una nota musicale perfettamente eseguita, un rintocco, il riverbero di un gong universale; non erano plug anali di carta vetrata, non erano Birkenstock; erano le prime serate con Dostoevskij; era il parlare concitato di chi sta leggendo qualcosa che lo entusiasma e non riesce a spiegare; era il senso di gratitudine che si prova dopo aver parlato di letteratura con qualcuno che ci capisce; era il coraggio che si ha nel cancellare paragrafi macchinosi, e la gioia che si prova nel vedere un testo rinascere e respirare dopo quella potatura; era l’emozione crescente nel vedere che quando si scrive c’è alchimia tra una parola e quella che segue; era il dirsi: “quel che ho scritto è potente”; era la speranza che la propria fermata dell’autobus non arrivi mai per poter finire il capitolo che si sta leggendo.

La luce di quei cieli fu così accecante che dovetti stropicciarmi gli occhi, e quando li riaprii, mi ritrovai in un luogo fisico.

Indossavo ancora il bikini, ma non mi sentivo più in imbarazzo. Una signora sulla cinquantina, con un pareo da spiaggia, ciabattò con le proprie flip flop argentate accanto a me e si mise a studiare il reparto riviste scandalistiche, giusto accanto allo scaffale dei secchielli e le palette da spiaggia. Ero nell’edicola libreria di una località marittima. Profumava di carta, e la luce era quella dei sogni. Vidi mia madre di spalle che spulciava riviste di moda. Era giovane. Con la punta dell’occhio mi vide, e disse: “lì ci sono i fumetti e anche qualche librino, li hai visti? Se poi non trovi nulla possiamo fare un salto alla Mondadori qui accanto” e prima che potesse finire avevo già il volto rigato da lacrime di gioia, perché avevo capito. Mi ero ricordata il principio. Lunghe ore felici e indisturbate di lettura: l’amore che move il sole e l’altre stelle.

Commenti
Un commento a “La bolla”
  1. SuperSoul ha detto:

    Questa Viola Valery è una fuoriclasse dello storytelling, indeed, e qualità tra le qualità, ha il cuore puro.

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