Il popolo di legno

pinocchio

Da qualche giorno è in libreria Il popolo di legno (Einaudi), il nuovo libro di Emanuele Trevi, testo sorprendente, di potenza kafkiana. Di seguito ne pubblichiamo un estratto, ringraziando l’autore e l’editore.

di Emanuele Trevi

Nel paese dove il Topo era nato e cresciuto si entrava percorrendo una lunga strada in discesa, che portava alla piazza principale. Visibile fin dall’inizio del pendio, dominava gli altri edifici della piazza, piuttosto modesti, una grande casa a due piani con i balconi di ferro battuto, il tetto di tegole e il portone di pietra.

Ma ad incutere un certo timore a chi entrava in paese, molto più delle pretese signorili della casa, era una grande scritta a caratteri maiuscoli neri sulla parte destra della facciata:

MOLTI NEMICI

MOLTO ONORE

Era un relitto dell’età fascista, quando migliaia e migliaia di muri in tutta Italia erano stati decorati da citazioni, più o meno memorabili, dei discorsi di Mussolini.

Il paese del Topo ne era pieno. Alcune di queste frasi, già poco lungimiranti al momento di essere pronunciate, col passare del tempo erano diventate incomprensibili come le farneticazioni di un mentecatto. Sulla strada che portava al cimitero, per esempio, si poteva leggere:

LO STATO E’ UNA VOLONTÀ DI POTENZA E DI IMPERIO

Dopo il fascismo, ci si era affrettati a cancellare tutte queste pittoresche idiozie: dai muri, e possibilmente dai cuori. Non c’è spettacolo più ridicolo di un popolo che si affretta a ricoprire di vernice fresca le tracce delle sue vergogne: che al contrario dovrebbero rimanere lì per sempre, come una specie di antidoto o cura omeopatica.

Queste premure di decoro civico, com’è noto, sono tipiche della gente del Nord. In quella irripetibile miscela di surrealismo e disincanto che è la mente meridionale, la vergogna si concentra tutta sulla vita privata, ed essere zoppi o duri d’orecchio o impotenti è un problema sociale molto più spinoso dell’aver inneggiato al Duce e costretto qualche povero maestro di scuola a tagliarsi la barba.

In Calabria dunque, anziché nascondere le tracce del passato, si aspettò che la vernice dei motti mussoliniani sbiadisse sotto la sferza feroce del sole, come accade a tutte le opere e i pensieri umani. Ma nei paesi di mare come quelli del Topo, per le sparate di Mussolini al posto della vernice era stato usato il catrame delle barche, che non sbiadisce mai, e fu così che decenni dopo la Liberazione le tracce del DUCE (avvolte nella forma di DVX) accompagnavano gli umili gesti della vita quotidiana minacciando i passanti con le loro nere lettere a stampatello.

I visitatori occasionali e i primi turisti scambiavano la presenza di queste scritte come un segno di fedeltà all’era fascista, una sfida orgogliosa a leggi e sanzioni. A suggerire questa interpretazione era un totale fraintendimento del carattere calabrese. Quelle testimonianze di un’epoca ormai remota parlavano di un linguaggio ben diverso.

Ci avete costretto a scrivere quella roba di cui non c’importava nulla. E adesso dovremmo cercare il modo di cancellarla, come se ce la fossimo inventata noi? Ma per noi è stato sempre lo stesso: quando le scritte non c’erano, quando c’erano ed erano giuste, e adesso che ci sono e sono diventate sbagliate.

Solo un bambino prende sul serio una cosa scritta su un muro dove pisciano i cani. E noi non siamo bambini. Noi non abbiamo nulla da scrivere sui muri e nulla da cancellare.

Per il Topo, infastidito dalla sola esistenza di ogni idea politica, c’era più senso civico in questa mentalità che in tutti gli articoli della Costituzione. Considerata la fine che avevano fatto il DVX e quella sciagurata della sua amante, nutriva per entrambi un vago disprezzo. Tanta potenza, tanto imperio, e poi non sei nemmeno capace di morire con un’arma in mano, portandoti all’inferno la tua donna, prima che qualcuno ci metta le mani sopra.

Poi, per quello che vale, anche un imbecille può dire una cosa giusta. Le idee passano per qualunque tipo di testa, non escluse le teste di cazzo.

In un certo senso, il Topo aveva imparato a leggere compitando quella scritta:

MOLTI NEMICI

MOLTO ONORE

e gli era rimasta impressa nella memoria, con tutta la sua camurrìa, ancora più stabilmente che sulla facciata della vecchia casa, danneggiata dal terremoto del 1980 e ridipinta di un’innocua tinta azzurrina.

Commenti
Un commento a “Il popolo di legno”
  1. giorgio ha detto:

    che noia, il senso didascalico della scrittura trevigiana forse è un mio problema… comunque grazie che l’avete condivisa, ci si fa un’idea di ciò che aspetta chi s’imbarca alla lettura.

Aggiungi un commento