Argonauti dell’Adriatico Occidentale. Rivista di letteratura italiana: proposta per un’antologia

di Lorenzo Alunni

Gentile Direttore editoriale,

Le scrivo per proporre alla sua Casa editrice un’antologia della rivista trimestrale che dirigo, Argonauti dell’Adriatico Occidentale.
La rivista si appresta a celebrare trent’anni dalla sua nascita, e io sessanta dalla mia. Ricordo ancora il momento in cui parlai per la prima volta ai miei amici dell’idea di fondare una rivista letteraria. Eravamo seduti sugli scalini d’ingresso a una banca, nella piazza centrale di Valastro. Non ricordo proprio quali motivazioni ci si fosse dati – una spinta politica? Urgenze artistiche? Niente di tutto ciò, per carità. Ricordo solo quanto fosse deserta quella piazza di provincia.

Roberto Busotti – Il bambino che voleva imparare ad avere paura
(n. 6, aprile-giugno 1986)
Il fotografo Henri Cartier-Bresson una volta disse che le coincidenze sono il sinonimo della grazia. Certo, come no. Mi basta pensare alla storia della nostra pubblicazione di questo racconto. Lo ricevetti per posta il giorno in cui mia moglie mi disse di essere incinta. Ero talmente felice e ubriaco che lo accettai senza leggerlo. Il postino portò la seconda bozza appena ero rientrato in ufficio dalla prima ecografia. Ricevetti dall’autore una lettera per alcuni chiarimenti il giorno in cui scoprimmo che sarebbe stata una bambina. Arrivò una terza versione con alcune modifiche il giorno della seconda ecografia, e poi il contratto pochi minuti dopo aver sentito per la prima volta, con la mano sulla pancia di mia moglie, un movimento della bambina. Ricevetti in ufficio un biglietto di ringraziamento dell’autore mentre stavo per uscire a comprare i primi vestitini e pannoloni. Nessuna di queste coincidenze mi sfuggì. Il numero della rivista uscì il giorno in cui Arianna nacque. È stata tanto in un istituto di recupero per tossicodipendenti, lontano da qui. Non ho mai voluto leggere quel racconto, e, soprattutto, non permetterò mai a mia figlia di farlo: ecco perché vorrei pubblicarlo nell’antologia.

Vera Paoli – Consenziente ignaro
(n. 39, luglio-settembre 1994)
È un pessimo racconto, quasi ridicolo, ma il postino me lo portò insieme alla notifica del Tribunale sul buon esito delle pratiche di divorzio da mia moglie, e il tema era più o meno quello. Come avrei potuto non pubblicarlo? E come non inserirlo nell’antologia? Ovviamente, di questa circostanza l’autrice non sa niente, né lo sa mia figlia Arianna, che non mi perderebbe (ma tanto non lo fa comunque). Credevo che il divorzio sarebbe stato per me una rinascita, e in effetti lo è stato, ma nessuno ti garantisce che rinascere voglia dire farlo in una nuova vita che andrà per forza meglio. È stato tutto un disastro, direttore, tutto. Non ho mai capito se gli altri redattori se ne rendessero conto o meno: usavo la rivista come una specie di diario personale. A me, dei contributi in sé, della loro qualità e della loro pertinenza con le cosiddette tendenze del tempo e i cosiddetti tempi che corrono non è mai fregato niente. A quelli delle altre riviste secondo lei sì? Non so, può essere, me lo dica lei.

Franco Blumis – La mia vita e quella di Franco Blumis
(n. 67, luglio-settembre 2001)
Blumis ci chiese di pubblicare le sue memorie a puntate. Se mi avessero chiesto qual è la persona con la vita più noiosa che io conosca, avrei fatto il suo nome, ma accettai per rispetto della sua età, del suo polveroso prestigio e perché era stato il padrino al battesimo di Arianna. E, soprattutto, accettai perché in cambio gli chiesi un aiuto per la carriera da studentessa universitaria di mia figlia, una carriera che non ebbe neanche mai inizio. Blumis fece in tempo a scrivere solo la prima puntata. Ma quel che è più notevole è che, quando ci arrivò il testo, lo trovammo pieno di fantasmi, spiriti, avventure improbabili, demoni e fatti storici mai accaduti. Gli telefonai per chiedergli con discrezioni qualche spiegazione in più e lui, senza lasciarmi parlare, mi disse di essere così felice di essere riuscito, per una volta nella vita, a raccontare la sua vita e la sua visione del mondo senza fronzoli né invenzioni. Morì il giorno dopo quella telefonata.

Anonima – Gli aghi di Pino
(n. 80, ottobre-dicembre 2004)
A lei, caro direttore, posso dirlo: l’autrice di questo memoir sulla vita di una tossicodipendente è lei, mia figlia Arianna. Scoprii che si faceva di eroina. Eroina, mica qualche canna o una pasticca di speed ogni tanto: eroina. Era fra il 2001 e il 2002. Io non mi ero mai accorto di niente, ma un tizio a cui avevo rifiutato un racconto me lo volle dire, per vendetta. E sa come le dissi di averlo scoperto? Le chiesi direttamente di scrivere un pezzo sulla sua esperienza di drogata. Un diario, un resoconto à la Christiane F., qualcosa del genere, le dissi. Glielo chiesi per sfidarla, sicura che quella richiesta sarebbe solo servita a farle capire che ormai sapevo tutto. Ma lei, sempre per sfidarmi, accettò e lo fece davvero. E lo fece bene. Pubblicare un testo di mia figlia in Argonauti dell’Adriatico Occidentale è l’atto più violento che io abbia mai fatto contro la mia famiglia. Me ne rendo conto solo ora. Forse di peggio c’è solo includere il pezzo nell’antologia. Ecco perché le propongo di farlo.

Nino D’Angelus Novus. Un inedito di Walter Benjamin
(n. 85, gennaio-marzo 2006)
C’è ancora chi non crede che pubblicammo in esclusiva mondiale un inedito di Walter Benjamin. Nel 1934-35 e nel 1938-39, Benjamin trascorse lunghi soggiorni a Sanremo, nella pensione Villa Verde, gestita dalla sua ex moglie Dora Pollack. Riflettendo su questa circostanza storica, in redazione ci siamo detti che dev’essere impossibile che Benjamin non abbia avuto nessun ruolo nella nascita del Festival della canzone italiana, che sarebbe avvenuta nel 1951. Volevamo chiedere a qualche giovane studioso di nostra fiducia di andare lì e fare qualche ricerca in proposito. Scelsi di mandarci Arianna, che pensò bene di farsi una vacanza in Riviera a spese della rivista. Di Benjamin non gliene fregava niente ma, fra i libri a disposizione degli ospiti dell’albergo gestito da Cingalesi che le pagavamo, trovò un quaderno impolverato, lo aprì per noia e capì di avere fra le mani un suo manoscritto. Il titolo non c’era e glielo abbiamo messo noi. Si trattava di un saggio in cui prevedeva la nascita del Festival come prodotto diretto degli allora imminenti periodi oscuri della storia d’Europa. Subito dopo la pubblicazione, ad Arianna cominciarono ad arrivare continue telefonate anonime. Le minacce erano tutte violente e credibili. Lei aveva una gran paura, ma a me non importava, perché per la rivista era un’occasione unica per farsi conoscere. Finì che Arianna mi denunciò e che venni costretto a ritirare e distruggere tutte le copie di quel numero. Mi convinsero a non ristamparlo mai più e a non approfondire la cosa. Le sto offrendo la possibilità unica di pubblicare quel saggio: Arianna non ne sarà felice, ma ormai cosa cambia?


Ottavio Tosi – Le idee correnti e le mentalità che nascono durante una fase di decadenza della società non possono essere veramente comprese e analizzate se si fa ricorso alle categorie analitiche prodotte da quella stessa società e da quella stessa decadenza. Un saggio filosofico sulla letteratura italiana ai tempi di Berlusconi, ovvero: quella macchina che brucia al posto della fiamma accanto al Milite ignoto.

(n. 95, luglio-settembre 2008)
Non ci è mai fregato niente di tenere il passo con i tempi che correvano. Volevamo che la nostra fosse una rivista sempre inattuale, ma nel senso più superficiale e acidamente disinformato del termine. Eppure ogni tanto a dire la nostra ci provavamo. Quel Tosi ci sembrava un giovane critico letterario promettente. Lo abbiamo invitato in redazione e abbiamo discusso con lui della possibilità di scrivere per noi un saggio su berlusconismo e letteratura italiana. Dopo un anno, un contratto firmato e numerosi solleciti, ci mandò un foglio con il lungo titolo in cima a un foglio A4. Sotto il titolo niente, tranne un post-it in cui Tosi scriveva a matita che non gli venivano altre idee oltre a quelle che esprimeva in quel titolo, e che ci chiedeva di pubblicare quello. E così facemmo. Più della metà degli abbonati ci scrisse chiedendo di rispedirgli una copia, perché evidentemente c’era stato un errore di stampa e mancavano le pagine di uno dei contributi. Fu un disastro finanziario degno di essere ricordato nell’antologia.

Dimitri Marmi – L’ultimo Estathè in città
(n. 103, luglio-settembre 2010)
Di questo ragazzo avevo letto un racconto a un concorso letterario di provincia della giuria del quale accettai di far parte perché sapevo che nella città ospite si mangia bene. Il racconto di Marmi mi colpì, e alla premiazione del concorso dissi di fronte a tutti che di lui avremmo risentito parlare. Gli chiesi un racconto per Argonauti dell’Adriatico Occidentale e mi mandò L’ultimo Estathè in città. Qualche anno dopo, uscì un certo film e Dimitri Marmi mi scrisse un telegramma in cui diceva che era senz’altro tratto dal suo racconto e che si trattava di una palese violazione dei suoi diritti. Da quel giorno, Marmi non scrisse più nient’altro che recensioni di quel film: solo quelle. Pensai che in effetti fosse un lungo e complesso esercizio di stile à la Queneau, e invece era la strada per l’ospedale psichiatrico, dove fu rinchiuso a due anni dalla prima recensione.

Aa.Vv. – Otto orazioni funebri per otto scrittori viventi
(n. 91, luglio-settembre 2007)
Il dottore vide le mie analisi del sangue e mi spedì a fare una serie urgente di esami, molto preoccupato. Era la prima volta che mi capitava di pensare seriamente alla morte, e mi divertii a immaginare il mio funerale e l’orazione funebre che magari qualche amico avrebbe fatto per me, o che forse avrebbe fatto per me Arianna. E allora mi venne l’idea di una commissione per alcuni reverenti e giovani scrittori. Visto che le riviste più importanti dedicano spesso dossier a questo o quell’altro scrittore, pensai di commissionargli un omaggio agli otto scrittori più in vista di quegli anni: le orazioni funebri per la loro scomparsa. Un po’ come quella arcinota di Moravia per Pasolini. Il risultato fu che negli ambienti letterari di tutta Italia, non appena qualcuno pronunciava il nome di Argonauti dell’Adriatico Occidentale, i presenti si toccavano subito fra le gambe e facevano le corna. Credo lo facciano ancora.

Gianni Erteni – Tutta la vita d’avanzi
(n. 117, gennaio-marzo 2014)
Quando venni a sapere che la mia ex moglie era molto malata e che avrebbe resistito ancora per poco, la mia unica reazione fu quella di contattare quattro aspiranti scrittori che si erano precedentemente manifestati per pubblicare un racconto in Argonauti dell’Adriatico Occidentale. Chiesi a ognuno di loro di scrivere un racconto che parlasse di un marito che assiste la moglie malata dopo aver passato tutta la vita insieme. Questo è uno di quei racconti. Mia moglie morì prima dell’uscita del numero, senza che io mi fossi mai deciso ad andare a trovarla. Al funerale arrivai in ritardo, e Arianna chiese al custode di allontanarmi, e che se non mi fossi allontanato da solo avrebbe chiamato lei i Carabinieri ad accompagnarmi fuori. Mantenne la parola.

Scommetto che non le capita spesso di ricevere proposte per un’antologia della disfatta, vero? C’è chi dice che a pubblicare il lavoro degli altri c’è più soddisfazione che a pubblicare il proprio. Non è vero. Lei ha mai sentito più parlare degli autori apparsi nella nostra rivista? Io no, ma mi dica lei, io l’attualità letteraria non l’ho mai seguita. È tutta gente che aspirava ad esistere e che, nonostante questo, si è abbandonata alla tentazione suicida di pubblicare in Argonauti dell’Adriatico Occidentale. E consideri in questa antologia che i contributi migliori mi sono ben guardato dall’inserirceli. Che ce ne facciamo di quelli? Del resto, come avrà capito, tutto ciò non è mai stato la mia principale preoccupazione. Quella è un’altra. Direttore, sento di dover dirle in tutta franchezza perché ho bisogno che lei accetti di pubblicare questa antologia, e perché la sto implorando di farlo. Ho bisogno di poter dedicare il libro a mia figlia. Una dedica sobria, breve quanto vuole, una frasetta che passerà inosservata a chi non conosce la mia vita privata, ma la prego: ho bisogno di farlo. Pensavo a qualcosa come “All’Argonauta Arianna, mio destino perduto”, niente di più. E se per caso i miei colleghi di redazione la contatteranno nei prossimi giorni per chiederle di me, gli dica pure che possono considerare questa mia lettera come la mia lettera di addio. Non mi piace mischiare le cose: stanotte, accanto al mio corpo appeso non lascerò scritti di nessun tipo. Direttore, mi lasci scrivere questa lettera in forma di antologia a mia figlia, la prego.

Con i miei miglior saluti.
(La prego).

Commenti
2 Commenti a “Argonauti dell’Adriatico Occidentale. Rivista di letteratura italiana: proposta per un’antologia”
  1. Serafino ha detto:

    Bravissimo, davvero, è un racconto perfetto

  2. dario ha detto:

    grazie!

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