“Lo schermo bianco”, speranza e libertà nell’esordio di Enrico Pinto

Uno dei fumetti più interessanti dell’ultima Lucca Comics and Games è senza ombra di dubbio Lo schermo bianco di Enrico Pinto, pubblicato da Coconino Press. È un esordio ed è meraviglioso. Innanzitutto perché Pinto sembra aver già trovato il suo stile e la sua voce, con un bianco e nero leggero, quasi tremolante, un tratto che semplifica ma non banalizza, che arricchisce e – nella sua accezione più alta e positiva – riempie. E poi perché, proprio come suggerisce il termine “meraviglioso”, è capace di sorprendere, di migliorarsi e di andare in posti inattesi e imprevedibili.

La storia che Pinto racconta è una storia di finzione, che però ha tanti punti di contatto con il nostro presente. Siamo in un futuro prossimo, in Francia, dove una presidente è decisa ad allontanare “terroristi e immigrati” con una nuova legge. Da una parte c’è la polizia, che non si fa problemi a usare la violenza, dall’altra ci sono i manifestanti dello Schermo Bianco, che usano i cellulari per difendersi e che sono pronti a tutto pur di fermare l’avanzata del nazionalismo.

Il protagonista, Salvo, è un italiano. Parla un francese stentato (e per questo viene continuamente preso in giro, da tutti), e lavora nello studio di un famoso architetto. È innamorato, e questo suo amore, alla fine, lo porterà al centro di una cospirazione. È un fumetto attualissimo, Lo schermo bianco. Per i suoi temi, per la continua contrapposizione tra libertà e sicurezza, tra paura e speranza; tra futuro e passato. Ed è un fumetto sul disegno.

Le prime pagine, in particolare, permettono a Salvo – e, di conseguenza, a Pinto – di parlare di nasi, mani, del tratto che cerca e che ricostruisce, dell’esercizio continuo di osservare e mettere a fuoco gli estranei in metropolitana. In questo modo, il fumetto assume quasi un altro significato: è un mezzo per esprimersi, sì, e per dire cose che, altrimenti, non verrebbero mai dette. Funziona come uno specchio, come un ponte e allo stesso tempo come un estensione fisica.

Quindi abbiamo il genere, il thriller, la cospirazione. E l’amore. C’è la Francia e c’è pure, anche se indirettamente, l’Europa. Quello che Pinto racconta è solo uno dei futuri possibili che ci aspettano, ma appare così concreto e così credibile da essere addirittura sconcertante. Non c’è l’angoscia di Stacy di Gipi. E non c’è nemmeno la potenza visiva di Entra. di Will McPhail, pubblicato da Tunué. C’è qualcos’altro. C’è, per esempio, la visione di Pinto, con il suo tratto, la sua matita e la sua ironia. Ci sono le sagome messe insieme linea dopo linea, attorcigliate, spesse, avvolgenti. Quasi nodose come il tronco di un albero.

Ci sono gli occhi, e sono piccoli spiragli: punti, puntini, cerchi più grandi. Ci sono le sagome che si piegano, che s’allungano e che si fanno liquide e dinamiche. La divisione delle singole pagine, scandita e a tratti addirittura rigida, permette una lettura veloce, non superficiale, ma attenta ai vari elementi – quelli che Pinto, ovviamente, vuole esaltare e far risaltare.

Lo schermo bianco rappresenta una doppia vittoria. Per un autore che è al suo primo fumetto, certo, ma pure per un editore come Coconino che continua a puntare sulle novità, sulla ricerca di voci e firme originali. C’è, tra le pagine di questo fumetto, la freschezza che tutte le opere dovrebbero avere: quella voglia di dire senza nascondere, quella passione nel rimarcare i passaggi; quella brillantezza nelle battute e nelle interazioni.

Non mancano piccole imprecisioni, e sarebbe assurdo non dirlo: a volte, Pinto insiste troppo con l’aspetto tecnologico della protesta e rischia di perdersi tra visori e applicazioni che si attivano quasi automaticamente, schermi luminosi che riprendono (ma come? Sono una lente, enorme, di una fotocamera?) e realtà virtuali ricreate in blu, pizzicando i colori, usando gli spazi bianchi, accennando e mai contestando l’altra dimensione del racconto.

Va letto con cura, Lo schermo bianco. Specialmente per dare al disegno, che è così particolare, personale e nuovo, la giusta considerazione. Pinto non prova a copiare o a riprendere i maestri; non mette in scena una storia totalmente, o fintamente, autobiografica. Non si limita allo strato più intimo, e per questo più superficiale, della vita del protagonista. Si concentra, e lo fa intelligentemente, pure sul mondo circostante, sugli altri personaggi, su quello che può essere e che rischia di diventare.

Si tiene aperto costantemente alle due direzioni: quella verticale, che si focalizza sul singolo, e quella orizzontale, che si allarga a tutto il resto. Ha il tono di chi sa esattamente cosa vuole dire e come vuole dirlo. Si notano le pause, i respiri, il ritmo della narrazione. Ha una sua musica, Lo schermo bianco. Ed è una musica che parla di noi, di ciò che siamo e della nostra fragilità.

 

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