La vita segreta delle iene

Pubblichiamo un testo di Isabella C. Blum, traduttrice per Adelphi del libroLa vita segreta delle iene di Marcus Baynes-Rock.

di Isabella C. Blum

Quando Adelphi mi ha commissionato la traduzione di un libro di Marcus Baynes-Rock – adesso in uscita nella collana Animalia con il titolo La vita segreta delle iene – io non conoscevo l’autore e avevo vissuto i primi 65 anni della mia vita eurocentrica ignorando Harar, la città in cui è ambientata l’azione. Quanto alle iene, ne sapevo poco di più: le informazioni risalenti agli studi universitari e quello che avevo appreso sulla loro strana sessualità traducendo un libro di Natalie Angier. Mi suscitavano peraltro un’istintiva antipatia. Non che avessi mai avuto a che fare con loro direttamente, ma credo che il mio primo pensiero sia stato – ma tra tutti gli animali di cui possiamo parlare… insomma… proprio le iene?

Nell’accettare il lavoro, pensai che sarebbe stato un perfetto banco di prova per verificare quanto vado predicando nei miei corsi di traduzione. Come si possono reggere mesi di convivenza con un testo il cui argomento non ti appassiona, anzi ti respinge? Semplice, dico sempre io: non è che devi per forza innamorarti del testo. A trascinarti dev’essere proprio il tradurre, il processo. Adesso mi si presentava un’ottima occasione per dimostrare la fondatezza di quel mio precetto. Ero determinata: sarei sopravvissuta a trecento pagine in compagnia di quelle bestiacce perché comunque mi sarei divertita a tradurre.

Tuttavia… appena metto mano al lavoro, ecco che il libro mi sorprende. Baynes-Rock non sorvola sui rapporti tesi da sempre esistiti tra iene ed esseri umani, non ignora diplomaticamente i miei pregiudizi: fin dall’introduzione, mentre mi porta ad Harar, parla di quell’ostilità, me la spiega, la smonta e la rimonta sotto i miei occhi. Già dopo le prime pagine mi ritrovo coinvolta – irretita nel labirinto dei vicoli di Jugol, la Città Vecchia.

Le iene: elusive, misteriose, inquietanti presenze che, con la complicità della notte, filtrano dentro le mura di Harar per ricevere il cibo offerto dagli abitanti. Selvatiche, selvagge, non addomesticate, ma comunque abituate alla presenza umana: qualcosa che accade ad Harar, solo ad Harar, perché altrove l’ostilità e la tensione sono a doppio senso. Fuori da quelle mura, le iene temono gli esseri umani, non si avvicinano e non si fanno avvicinare. Ma ad Harar è diverso. Nelle mura ci sono varchi aperti appositamente per loro: aperture basse, scomodissime per un uomo, ma perfette per le iene, che entrano ed escono da lì. E la sera, all’imbrunire, visitano un paio di luoghi dove, con uno strano rituale, viene loro offerta della carne. La situazione è talmente singolare, talmente fuori dalla norma, che è diventata un’attrazione turistica. La gente venuta da fuori va ad assistere al pasto, va a vedere l’uomo delle iene che in modo più o meno teatrale (a seconda dei casi) offre cibo alle belve avvicinando pericolosamente la faccia al loro muso, ai loro denti, denti spaccaossa. Le iene non sono solo creature necrofaghe, sono anche formidabili predatrici. Non cercano solo carogne, mangiano anche capi di bestiame; e se capita possono divorare bambini – azzannano e uccidono esseri umani. Ma non qui. Ci si chiede allora quanto vi sia di autentico in questa relazione tra la gente di Harar e le iene – quanto sia circo e quanto sia spontaneo. Se lo chiedeva anche Baynes-Rock, intenzionato a scriverci la sua tesi di dottorato.

Per cominciare, avventurandoci nel libro, diamo uno sguardo al territorio – Harar si trova sull’altopiano etiopico, a 1885 metri sopra il livello del mare. Siamo in Africa, non troppo distanti dall’equatore, ma di notte fa freddo. Ci addentriamo nella storia di questa regione: conosciamo usanze e tradizioni, le case harari, l’infernale burocrazia, i mercati del qat, i taxi a tre ruote, le feste, i riti, il crogiolo di etnie, culture e religioni. E poi le persone: un’intera umanità, che entra nella vita di Baynes-Rock durante il suo soggiorno laggiù. Persone aperte a grandi amicizie e a sinceri affetti, bambini invadenti, gente ostile, funzionari disponibili, mendicanti, lebbrosi, custodi di sapienza antica, madri a cui una iena ha strappato un figlio o una figlia – e il suo amore, la donna che sposerà. Infine, tutta un’umanità mai vista, conosciuta solo ascoltando racconti passati di bocca in bocca; e naturalmente, gli spiriti.

Baynes-Rock è un gran narratore e la sua scrittura ha qualcosa di cinematografico, nel senso che, quando parla di ambienti a te del tutto sconosciuti, non si limita a mostrarteli, lui ti ci cala dentro: i suoi vagabondaggi nel labirinto notturno di Harar te li fa vivere in soggettiva. I suoni, gli odori, il lerciume, la bellezza struggente di certi scorci, le discariche, i templi, le presenze umane e animali che ti si parano davanti nel buio quando meno te l’aspetti, i trasalimenti: tutto questo scivola ai lati, mentre le iene corrono, corrono… e Baynes-Rock le insegue col fiato grosso (o magari ad ansimare sei tu). Non importa.

Per la sua ricerca, un’indagine antropologica che prende in esame l’interazione tra due specie, l’autore è interessato ad accompagnare le iene nel loro girovagare notturno; le abitua gradualmente alla sua presenza, e alcune finiscono per accettarla. Pattugliano insieme le stradine, e la iena è sempre avanti – sempre avanti; lui la segue e ogni tanto si ferma a prendere fiato. E allora la iena si blocca e si volta. Niente smancerie, niente corse festanti di stampo canino. La bestia si blocca, si volta e gli lancia uno sguardo interrogativo – Ci sei? Vieni? Ti dai una mossa? Sguardi scambiati da un capo all’altro di un vicolo, che sottintendono una relazione. Un contatto.

Contatti che nulla hanno a che vedere con quelli a cui ci hanno abituati cani e gatti domestici. Niente contatto fisico se non, in qualche caso, durante il gioco violento: ma allora “contatto” significa “morso”. Qualcosa di meno brutale, qualche sfioramento  andato a buon fine senza l’uso dei denti, alla fine sarà possibile, ma solo con un paio di animali più disposti alla novità. Un segnale di amicizia profonda, per le iene, è sedersi l’una accanto all’altra guardando nella stessa direzione. Condividere uno spazio senza toccarsi e comunicarsi la vicinanza, l’autentica intimità, puntando il muso verso lo stesso orizzonte.

Il libro parla di relazioni. Relazioni in cui esci da te, ti protendi verso l’altro. Solo che qui l’altro non è un essere umano, è una creatura controversa, capace di amicizia, di regalarti fiducia, ma anche di azioni che noi percepiamo spietate, una creatura verso cui ti senti attratto, ma con cui non puoi abbassare la guardia. Baynes-Rock ci parla di luoghi, di culture, di iene, ma soprattutto di questo: di relazioni in cui esci da te e vai verso l’altro; relazioni che ti cambiano, nelle quali ti specchi e ti vedi – vedi te, diventare altro.

Come tutti i libri importanti, questo di Baynes-Rock può essere letto su più piani. Ci troviamo la geografia dell’altopiano e la topografia di Harar, la storia e le tradizioni delle popolazioni locali, l’etologia delle iene, il racconto di un viaggio e di un’esperienza umana che cambierà la vita dell’autore; ma c’è anche la possibilità di alzarsi al di sopra di questa visione caleidoscopica per considerare le nostre relazioni con gli esseri umani e con le altre creature: perfino, benché non soltanto, in circostanze improbabili come quelle descritte da Baynes-Rock. Un invito a riflettere sui varchi che le relazioni aprono nelle mura della nostra esistenza, su quello che possono svelarci del mondo e di noi stessi.  Riflessioni oggi più che mai necessarie, in un mondo che tende sempre di più a chiudersi e a negarsi.

 

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