Cronache da Nordest #3. “operaprima” di Simone Salomoni

Homo sum, humani nihil
a me alienum puto[1]

Publius Terentius Afer, Heautontimorùmenos

La verità è brutta.
Noi abbiamo l’arte per non perire a causa della verità[2].

Friedrich Nietzsche, La volontà di potenza, 822

Un pittore trentottenne, che rimarrà anonimo, ha preso domicilio nella vecchia casa dei nonni, dove già vi passava le estati da bambino, in una zona decentrata dal paese di Monghidoro, nell’Appennino emiliano. Vive solo. E crea.

A turbare la quiete forzata delle sue giornate è l’arrivo, nella casa vicina di proprietà della cugina della madre del nostro pittore, di una famiglia composta da Marie Bertrand, donna sensuale e provocante, e da Simone Salomoni, affascinante diciottenne.

Il romanzo è la cronaca, raccontata dal pittore stesso, della relazione che egli instaura, dopo aver fuggito le avances di Marie, con Simone; un rapporto di interdipendenza, in cui la dinamica maestro/allievo prevale senza tuttavia esaurire né la realtà dei fatti, né la verità delle cose.

Eros, o del domandare

In questo suo operaprima, che è nomen omen anche del suo esordio narrativo, lo scrittore e docente di scrittura creativa Simone Salomoni ingaggia fin da subito un esplicito rapporto dialettico col lettore, sia per forza di disseminate apostrofi, sia per la smentita d’abbrivio secondo in virtù della quale la sospensione dell’incredulità  non è un’operazione necessaria né, soprattutto, vantaggiosa:

Perciò fate attenzione, narici aperte e occhi puliti, non prendete per buono niente, soprattutto il mio racconto; dubitate sempre delle mie parole, prendetele per quello che sono: parole; sfiduciate ciò che dico, non dirò nulla di falso, ogni mia parola sarà vera, ma anche se vera potrebbe non essere reale. Chiara la differenza?

È una nota che s’apparenta alle prime parole del romanzo: «La verità è una ferita profonda, non si rimargina mai»; e che ci deve far riflettere sulla istanza narrativa. Il narratore non dichiara di essere inaffidabile; non ha, ad esempio, la parodistica sfrontatezza di Luciano, in apertura della sua Storia vera[3]; nemmeno gli appartiene la furfantesca inattendibilità del Dottor Sheppard[4], né quelle a vario modo patologiche di Zeno Cosini, Mattia Pascal o Albino Saluggia.

Il narratore di Salomoni non si dichiara inattendibile, dichiara bensì la scollatura esistente tra verità e realtà, e la necessità che quanto è detto sia messo in dubbio; meglio: che ciò che è detto sia perciò (perché detto) messo in dubbio. Dichiara che è doverosa una collaborazione tra narratore/protagonista e lettore, perché ogni storia è un concorso di colpa, e un lettore passivo porta probabilmente al mancato raggiungimento dello scopo del discorso, che è estetico-letterario ma anche conoscitivo.

Se questa è la premessa, il seguito del racconto ne dà rappresentazione; le prime due pagine del libro, dalle quali abbiamo tratto le citazioni, assumono il compito che Aristotele nella sua Poetica attribuiva al prologo: anticipare il contenuto, illuminare la strada.

Così si potrà intendere che ciò che in qualche misura accade tra narratore e lettore nell’agonismo della letteratura, nel romanzo avviene tra i due protagonisti nell’intreccio di una relazione connotata da una forte tensione erotica che pure non genera alcun incontro sessuale. Siamo più propriamente nell’ambito della paideia, dell’educazione, cioè in quella relazione tra maestro e allievo dove le cose procedono per un infinito domandare e dove la quota prevalente è sensibile, non intellettuale.

Ogni presunzione di sapienza si scontra col dato immediato, preconcettuale, in un movimento di esperienza e indagine che sfocia, inevitabilmente, nell’aporia, nel paradosso. La conoscenza è un sapere incarnato, è un ascolto demonico, è una pratica dialogica che non smette a costo di farsi esausta.

Una maculata concezione

Nel suo romanzo Salomoni mostra che le forze in gioco sono, da un lato, il desiderio, che è giocoforza arbitrario, immediato, bestiale e senza ragione; e, dall’altro, l’astrazione che soggiace e ad ogni creazione artistica. Il pungolo, che è anche il medium, di questo nesso dialettico è dato dall’altro, cioè da quell’esistente che improvvisamente appare e ingaggia con noi il rapporto di reciproco riconoscimento.

È inevitabile che il centro gravitazionale del romanzo sia il corpo: martoriato, negato, penetrato, ricomposto, immaginato, rappresentato. Il corpo è il campo di tensione del desiderio perché in esso e per esso si configura l’ineluttabilità dell’individualità e dell’attimo presente, la coazione del confine e, di conseguenza, l’impossibilità di realizzare il sogno ancestrale e fondamentale che ogni desiderio sottende: la identificazione con il suo oggetto, sia essa per fusione o per incorporazione. Per quante siano le soglie, le ferite, i tagli – originari o creati all’impronta – dal corpo non si esce, non si mestrua, non si evacua e tale rimane l’armatura che siamo e con cui, essendo, ci conteniamo.

La relazione tra l’innominato artista/narratore (non si può evitare questa diade per definire inemendabilmente il personaggio, creato da Salomoni sia come testimone e cronista della realtà, sia come creatore e correttore di finzioni) e il giovane Simone, attraverso la trasmissione di sapere e potere da una parte all’altra e, in direzione contraria, grazie al riconoscimento del proprio bisogno e del proprio formantesi debito, è una dimostrazione narrativa del fatto che ciascuno è, a causa della presenza dell’altro e del suo desiderio, vulnerabile.

L’incontro tra i due è fulminante:

Sono a cavallo della ringhiera quando noto un corpo giovane disteso su una sdraio, a suo agio dentro un libro. […] La giovinezza, mi conosco, potrei ammirarla per la vita: pertanto ho la certezza di essere rimasto incantato per un tempo importante, ero impressionato dalla potenza di quel corpo disteso, sia per la posizione sia per la compattezza muscolare ed epidermica, la giovinezza è un colpo mortale per chi la osserva dopo averla attraversata […].

Tutto e niente in questo primo incontro, vagamente lolitiano, dove a battere e rilucere è lo sproposito di un corpo giovane, nient’altro che giovane e bello, che tuttavia non scatena alcuna bramosia (di possesso e godimento), né inscena l’oscenità di pensieri e tentazioni.

Conta molto questo aspetto di tensione casta, di scioccata ineccitante ammirazione, per comprendere cosa nel corso del romanzo si dispiega e come il corpo dell’altro sia indiscutibilmente un corpo per procura, preso in prestito per azioni di sotterfugio altrimenti negate, mentre l’innominato (o innominabile?) artista collabora con la propria nemesi alla produzione dell’opera d’arte, che sarà opera prima: nel senso di ciò che, come opera, è originario; e nel senso di ciò che è all’opera prima dell’opera stessa.

Per speculum et in aenigmate

A conclusione, operaprima è un romanzo frutto anzitutto di un estremo lavoro sulla lingua, da intendere come atto performativo/estetico, come ostacolo adombrante, come codice di comunicazione e, mai certa, comprensione.

A conferma di simile acribia basta l’esempio della costruzione del personaggio di Simone, che viene caratterizzato in modo neutro (privo di genere) per lasciare rilucere un’ambiguità che appartiene di fatto sia al personaggio, sia alla lingua che lo fa esistere. Ecco che quel rapporto a cui si accennava sopra tra il narratore e il lettore qui si esaspera, e ciascuno interpreta le parole a proprio modo, pensando (volendo pensare) Simone come maschio o come femmina, anche inconsapevolmente. Parlando della fascinazione che, in quanto artista visivo, gli specchi stradali esercitano su di lui, il narratore dice:

…siamo poco abituati a vedere, così poco abituati che al primo sguardo deformato non riconosciamo neppure casa nostra, neppure il nostro volto.

In questa straniante e traumatica deformazione accade il fatto narrativo (drammatico e linguistico) di operaprima. Quando, alle fiere, sostiamo davanti alla casa degli specchi, siamo presi dal riso nel vedere chi è dentro non trovare la strada, vittima di illusioni visive, di passi falsi, di trabocchetti. Salomoni con il suo romanzo sembra metterci in guardia sul fatto che il nostro è in fondo un riso amaro: quanto dentro alla casa degli specchi si mostra (si racconta, si rappresenta) è, sovraesposto, ciò che accade ogni giorno a ciascuno di noi. Inevitabilmente.

Intervista a Simone Salomoni

Inizio con una domanda che faccio spesso. La scrittura è una indagine, uno strumento di conoscenza del mondo. A muoverla è spesso il reiterato presentarsi di domande ineludibili, alle quali la scrittura non cerca risposte, semmai di complicarle in ulteriori dissezioni interrogative. Per te cosa c’è stato alla base dell’intenzione di scrittura? Quali desideri, quali domande?

Luigi Malerba diceva qualcosa tipo: scrivo per capire cosa penso. Per un po’ ho creduto fosse anche il mio perché, ma in realtà, mi sono reso conto in seguito, non è così o non lo è più. Non scrivo per capire cosa penso, ma per capire cosa sento, cosa ho sentito, a livello fisico, corporeo, in determinate circostanze, spesso le più difficili, provanti. Scrivere è per me un gesto sempre meno intellettuale e sempre più corporale, il dato sensibile è quello che più vorrei emergesse dalla mia scrittura. Scrittura come riscrittura di un’esistenza, possibilità di verità, di salvezza, come possiamo pensare di conoscere gli altri, il mondo!, se sopprimiamo noi stessi, rifiutiamo di sentire noi stessi? Se non cambiamo le domande otterremo sempre le stesse risposte, la letteratura ha il compito di formulare domande nuove.

Nel libro assume un ruolo importante la dicotomia tra vero e reale, nonché tra vero e finto (o finzionale). A livello diegetico e simbolico, queste categorie si concretizzano nel peso che rivestono elementi quali la scrittura (i racconti di Simone), l’opera d’arte (i lavori del narratore), il corpo (una presenza diffusa). Qual è la dialettica a cui hai pensato nell’architettare il romanzo?

Il corpo come presenza che penetra, impregna le esistenze possibili, hai colto un aspetto fondamentale nella mia scrittura e della mia sensibilità. Quando ho capito che il narratore sarebbe stato un pittore e che il romanzo sarebbe stato impregnato (ancora) di ecfrasi mi sono sentito disonesto verso il lettore: un dipinto, un’opera d’arte visiva in genere deve essere vista, non letta, mi sono chiesto: come posso risarcire il mio lettore? Inserire i racconti, che in qualche misura mettono in scena l’evoluzione e la messa a fuoco di una scrittura, di uno stile (ma non di un immaginario, si fermano cioè al dato tecnico e quindi più oggettivo), all’interno di un romanzo – che per sua natura è scrittura – mi è parsa un’equa forma di risarcimento.

Tu insegni scrittura creativa, per usare un cappello definitorio accogliente e generico. Soprattutto, nel tempo, ti sei specializzato nella doppia veste di conoscitore e studioso, da un lato, e di insegnante dall’altro, di quel genere che va sotto il nome di scritture del sé, intendendo diari, biografie e autobiografie romanzate, autofiction e così via. Quanto ha influito questo aspetto professionale sia nella scelta del genere del tuo romanzo, sia anche nella temporalità del tuo esordio narrativo, che arriva forse come coronamento dello studio e dell’insegnamento?

Alexander Lowen pone l’io e il sé in antitesi, l’io è per lui un’organizzazione mentale e il sé è un’entità corporea, sensibile. Non sono sinonimi, non sono la stessa cosa. L’io percepisce il sé, ma non lo determina. Se manca il senso del sé, il senso della propria identità finisce per essere legato all’io e quindi a un’immagine che ci siamo costruiti, ma che nulla ha a che fare con il nostro corpo e la nostra sensibilità e corpo e sensibilità finiscono per divenire oggetti che l’io osserva, studia nell’interesse di una prestazione che sia all’altezza dell’immagine che l’io ha edificato. Un procedimento narcisistico, una contraffazione e una contraffazione per sua natura è artisticamente irrilevante: per questo preferisco parlare di sé. operaprima, credo di potere dire, è la conseguenza di ciò che sono, è un romanzo che solo il mio sé poteva scrivere, non mette in scena il mio io che in quanto costruzione potrebbe anche coincidere con quello di un altro, ma – appunto – il mio sé. Pertanto ho potuto scrivere e di conseguenza esordire solo dopo essermi sentito. Non ho avuto fretta, non ho sentito l’esigenza di essere riconosciuto come scrittore, già sapevo di esserlo. Ciò che ha importanza per avere spazio necessita di tempo.

Insisto su questo per approfondire una suggestione che ho colto in una pagina del romanzo. A un certo punto il narratore espone le sue idee estetiche e le ragioni del suo lavoro a Marie, che gli ha fatto visita. Dice:

Gli specchi stradali sono lenti magiche: se guardiamo l’immagine riflessa dentro uno specchio stradale siamo costretti a vedere con occhi puliti, puri; lo specchio stradale non restituisce l’immagine alla quale il nostro occhio è allenato, sono lenti convesse che ingrandiscono e deformano e rovesciano l’immagine, e per questo li trovo interessanti. […] siamo poco abituati a vedere, così poco abituati che al primo sguardo deformato non riconosciamo neppure casa nostra, neppure il nostro volto […].

Vorrei allora interrogarti su questo. Sbaglierebbe chi vedesse nel personaggio Simone proprio una possibile immagine deformata dell’autore Simone, col quale spartisce una omonimia quantomeno letterale?

Scrivere significa deformare, ma anche ampliare le possibilità dell’esistenza. Io sono differente da Simone Salomoni personaggio, ho avuto un’adolescenza diversa, un corpo e delle possibilità differenti. Mi sono interrogato sulla mia identità sessuale, ma non ho mai avuto dubbi rispetto al genere. Simone Salomoni è personaggio ambiguo, androgino. Molti lettori lo hanno immaginato come un ragazzo, molti altri come una ragazza, con il nome da leggere alla francese. Le descrizioni del corpo e la neutralità della lingua da me utilizzata consentono la duplice lettura. Io per primo mi sono chiesto, scrivendo: che adolescenza avrei vissuto, fossi stato una ragazza? Quindi hai ragione: Simone è una mia deformazione o meglio: una mia deformità. Anche il pittore è una mia deformità.

Chiudo con una domanda acuminata.

Il tuo romanzo ha per protagonisti principali due artisti, che impersonano, sciolte le minuterie diegetiche, il ruolo drammatico del Maestro e dell’Allievo. Alla base di questa particolare relazione c’è, lo dici tu stesso in un’intervista per la RAI, il necessario reciproco riconoscimento del ruolo dell’altro. Affinché funzioni, deve esserci reciproco riconoscimento. Ne parlo nella recensione. Ma qui ti chiedo una cosa diversa, che ci porta un passo a lato, o oltre: dopo averlo scritto e pubblicato, nel momento in cui questo tuo romanzo che gioca con le categorie della scrittura del sé, ha iniziato a girare, è forse accaduto che abbia avuto degli effetti reali nella tua vita e segnatamente nella tua possibilità o capacità di riconoscerti come possibile maestro?

La relazione maestro allievo è dal mio punto di vista una delle relazioni più profonde e viscerali che si possono instaurare. Insegno da sei anni, comincio ad avere un discreto numero di ex partecipanti a corsi e laboratori, ma il riconoscimento è avvenuto con pochissime persone: due più una. Un giorno non sarò il loro maestro, potrei non esserlo di già, un giorno non saranno miei allievi; non importa: io sarò loro maestro e loro saranno miei allievi. Maestro e allievo rappresentano un legame indissolubile, un matrimonio di sorpresa, un cazzotto al volto. Ricordi le parole di Agnese a Renzo, nel capitolo VI de I promessi sposi?: “non istà bene; ma, dato che glielo abbiate dato, né anche il papa non glielo può levare”. Riconoscersi maestro allievo è la stessa cosa: non sta bene; ma.

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[1] Sono un uomo, niente di ciò che è umano mi è estraneo

[2] Trad. di Angelo Treves

[3] «Scrivo dunque di cose che non ho vedute, né ho sapute da altri, che non sono, e non potrebbero mai essere: e però i lettori non ne debbono credere niente», Luciano, Una storia vera e altre opere scelte da Alberto Savinio, Trad. di Luigi Settembrini, Adelphi, Milano, 2018

[4] Agatha Christie, L’assassinio di Roger Ackroyd, Mondadori, Milano, 2020

 

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