Denaro e letteratura

Pubblichiamo una recensione di Carlo Mazza Galanti, uscita su «Alias», su «Resistere non serve a niente» di Walter Siti (Rizzoli).

Non conosco altri scrittori che abbiano raccontato in maniera così documentata l’ambiente dell’alta finanza internazionale e i suoi addentellati criminali, aggiungendo inoltre quel tocco “glocal” che la tecnica di cut-up sul parlato dialettale tipica della scrittura di Siti è così appropriata ad esprimere e che difficilmente un romanziere americano (un Easton Ellis, per dire), dall’alto del suo centralismo linguistico e culturale, saprebbe riprodurre. Come spiega il narratore: “se c’è una superiorità che Morgan sente come liberatoria è aver potuto constatare di persona quanto la periferia non sia più periferica: conosce il progetto spaziale ucraino in Brasile, la mini-Beirut commerciale e godereccia a Ciudad del Este, le banche iraniane in Albania e la maxifonderia cinese in Uganda” (dietro il nome di Morgan si nasconderebbe un personaggio centrale dell’ampio Sistema che controlla buona parte del mercato planetario, fine teorico dell’inevitabile, strutturale, porosità esistente tra finanza e violenza, tra globalizzazione economica e reti clandestine, tra legale e illegale).

Personalmente non so nulla di “operazioni off-shell”, di SIV, PIC, di “future”: prendo atto della presenza di più che affidabili consiglieri che l’autore ringrazia nella nota finale e ammiro la tessitura di tecnicismi e la sua capacità di saldare in profondità l’idioletto, o meglio il socioletto, al carattere dei suoi personaggi. Vale lo stesso per quanto riguarda le peripezie politico-finanziarie di questi ultimi, che non sapendo giudicare nel merito apprezziamo nel metodo, limitandoci a contemplare gli strani prodotti di un mondo lontano ma da cui, a quanto pare, dipendiamo molto più di quel che pensiamo. Straniamento che comunque Siti non si preoccupa di impedire, semmai favorendolo con svisate espressionistiche e visionarie che per brevi istanti sollevano l’impianto romanzesco dal suo ancoraggio empirico, lasciandolo fluttuare in spazi dove l’immaginazione surriscaldata di un Ballard (“Non dico il denaro, ma la proiezione olografica del denaro emette feromoni che ubriacano le menti digitalizzate” pare venuto fuori dalla Mostra della atrocità) si accoppia con la fanta-politica del Petri più metafisico (l’operazione occulta al corpo morto berlusconiano di pag. 246).

Resta una sfasatura alla quale, anche fatta la tara dei dubbi intorno allo statuto del testo (Vero? Falso? Fiction? Non-fiction?) che abbiamo fra le mani e preso per buono trattarsi proprio di un “romanzo realista” – con tutte le complicazioni che ha sempre incontrato qualsiasi dichiarazione di realismo (“le réalisme c’est l’impossible… pare l’abbia detto Picasso” cita il personaggio Walter Siti verso la fine del libro) – anche prese le giuste distanze e consegnato questo testo a un ipotetico lettore del 2200 che vi troverà senz’altro materiale utilissimo per un ricerca etnografica sulla nostra epoca, resta una sottile sfocatura che a volte disturba la visione, non per forza negativamente. “Ti ho delegato a vivere temi che sono miei” confessa il personaggio dello scrittore al suo amico finanziere di cui questo libro ricostruisce la vita, aggiungendo: “in pratica scriverò un romanzo per procura”. E in effetti i suoi temi ci sono tutti, ma i suoi temi sono anche temi di tutti, temi in qualche modo “classici”: l’ambizione e l’affermazione sociale come tentativo di riscatto da un’infanzia minorata (il protagonista è stato un bambino obeso, cresciuto in un ambiente umile); il culto della bellezza fisica contrapposto al valore etico della bellezza morale (eros e agape, incarnati nelle due figure della giovane Gabry, fiammante modella, e Edith, più attempata e poco avvenente poetessa) altrimenti aggiornato secondo la più puntuale dicotomia: culto dell’immagine vs esperienza ruvida della realtà.

Infine la riflessione intorno al denaro come prodotto seminale di un processo di progressiva e onnipervasiva astrazione-mercificazione dell’esistente. Tutto ciò costituisce la matrice immaginaria che ha dato vita a ogni romanzo dell’autore: all’autobiografia è stata qui sostituita la narrazione in terza persona (molto oscillante, tuttavia), all’omosessualità l’eterosessualità, all’astrazione dell’immagine e dei corpi anabolizzati dei bodybuilders quella più impalpabile dei flussi finanziari. Se c’è una peculiarità di questo scrittore è quella di sapere saldare un molto privato discorso sentimentale alla rappresentazione accurata di specifici ambienti sociali: l’università (quello che  meglio aderiva al suo vissuto, e forse anche perciò Scuola di nudo resta il suo libro migliore), la televisione, le borgate romane, ora la finanza. Mappare le stratificazioni della realtà contemporanea utilizzando come sonda le proprie idiosincrasie è un operazione a cui Siti non ha rinunciato neppure in questo nuovo romanzo, dove si è tuttavia ben guardato dal correre il rischio di scrivere “un libro per froci”, secondo la definizione ormai famosa tra gli addetti ai lavori (e pure citata dallo stesso Siti in apertura del libro) che diede Antonio Franchini, editor di Mondadori, del suo precedente romanzo.

La sensibilità dello scrittore modenese “tiene” perfettamente anche in ambiente etero, per così dire, e proprio quella sottile sfasatura tra realtà documentaria e fantasmi personali che percepiamo (anche) in questo romanzo è ciò che lo distingue nettamente da un saggio o da una ricostruzione affidabile dei rapporti tra criminalità e “finanzcapitalismo”. A chi piace, Siti piace non solo per i suoi temi ma anche per il lirismo che tende le sue parole, per il mai appagato bisogno di frugare in zone dello spirito poco conosciute (bassifondi o alte sfere) ficcando le dita nei punti più dolenti. E per il vitalismo che attraversa, nonostante tutto, le sue più cupe esternazioni, le più sornione dichiarazioni di impotenza, i suoi lamentosi sarcasmi. Questa energia può venire meno nel momento in cui i pretesti narrativi si logorano per eccesso di frequentazione, com’è successo in Autopsia dell’ossessione (e non perché troppo sessualmente connotato). Non succede in questo libro, che riporta la scrittura di Siti al massimo della sua intensità e che personalmente collocherei tra le sue opere più convincenti. Se ci coinvolge così direttamente, se ci chiama in causa in maniera così urgente, ci dev’essere qualcosa di robusto, in questo autore, che regge in alto la sua ostentata disperazione permettendole di vedere lontano.

Azzardo: Siti è l’autore più religioso della nostra letteratura contemporanea. Andate a controllare quante volte le parole dio, dèi, assoluto, fede, sacro, onnipotenza ricorrono in questo e negli altri suoi libri. Il morto che circola tra le pagine di questo romanzo è forse la vittima di quel “delitto perfetto” di cui parlava Baudrillard, ovvero la realtà. Ma un corpo si intravvede, comunque, sotto un sudario che (in copertina) potrebbe benissimo ricordare la sacra sindone. È forse da una simile, febbricitante, tensione ideale, solo apparentemente demolita dai miti d’oggi e “deviata” (diceva René Girard, pensatore cui Siti deve molto) sull’immanenza della “magnifica merce”, che può emergere il soprassalto necessario a pensare altrimenti, scuotersi di dosso la mediocrità. Questa potenzialità percepiamo nelle sue pagine, alla faccia dell’apocalisse o della tabula rasa postumana in cui lo scrittore, per sua stessa snobistica ammissione, gode a immaginarsi. Quando chiudi Resistere non serve a niente potresti anche avere voglia di imbracciare il fucile (o di andare a vivere sui monti).

Commenti
5 Commenti a “Denaro e letteratura”
  1. cristiano ha detto:

    a margine: perché alcuni “addetti ai lavori” ancora non hanno capito che non ha senso scrivere easton ellis o foster wallace senza il primo nome e che il middle name è legato al nome e non al cognome? bravo comunque carlo mazza.

  2. Valentina Cavagnoli ha detto:

    Buono l’articolo.

    A mio parere Siti è un gran bravo scrittore. E’ assurdo che non sia tradotto all’estero, mentre le librerie americane e spagnole abbondano di Baricchi e Ammanniti. Siamo i peggiori esportatori delle nostre merci, perfino quelle culturali.

    Un limite però (che i suoi fan secondo me non vedono benissimo) Siti lo ha, ed è quello di spiegare troppo. Di teorizzare troppo. Sono teorizzazioni interessantissime (da qui, credo, anche, l’amore di molti addetti ai lavori, critici, e la mia notevole stima) ma ho l’impressione che ci sia molta più teoria in una postura del corpo o in un’azione banale di Raskolnjko’v che in una lunga spiegazione di Siti su come va il mondo.

    La letteratura è fatta di Amleti che si fingono pazzi più che di speculazioni foucoltiane sulla storia della clinica. Non credete?

    Da ragazza mi facevo molto sedurre dalle teorie, da qui il mio amore per autori come Nabokov. Con il passare del tempo sto cambiando idea. No, sto cambiando sensibilità. Ciò non toglie che Siti rimarrà uno degli autori più interessanti degli ultimi anni. Che si conservi bene e continui a scrivere.

    Tornando al pezzo in questione. Perché nessuno dopo la lettura – questa, e molte altre – imbracci il fucile o vada a vivere sui monti (fosse anche secondo l’antico principio di elaborare una nuova “regula”) è la vera domanda dell’epoca.

  3. antonella ha detto:

    per cristiano: foster non è il second name di wallace, è il “second surname”, è quello di sua madre

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  1. […] Mazza Galanti ha scritto una volta che Siti è l’autore più religioso della nostra epoca. Un’affermazione che […]



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