La sfida di Marlon James con “Leopardo nero, lupo rosso”

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Pubblichiamo un pezzo uscito su Repubblica, che ringraziamo.

C’è una “quest”, come usa nei romanzi fantasy. Un uomo dotato di olfatto finissimo – diremmo soprannaturale – viene ingaggiato per ritrovare un bambino smarrito. Pur essendo il classico lupo solitario, “Inseguitore” si crea per l’occasione una piccola compagnia malassortita, fra cui spicca un uomo-leopardo mutaforma. La banda lascia dietro di sé una scia di sangue. Attraversa mondi bizzarri. Prima di ogni sezione c’è una mappa. Le descrizioni, le invenzioni letterarie sono appassionanti, i dialoghi appesantiti dal gergo da fantasy (“sono semplicemente un uomo che qualcuno ha chiamato lupo”… “Era troppo sconvolto per implorare che lo risparmiassi”…).

Il libro va letto se si è appassionati di fantasy o di Thomas Pynchon, Gabriel Garcia Marquez e Salman Rushdie (per la proliferante costruzione di mondi) o di Quentin Tarantino (per il pop della violenza) o del Black Panther portato al cinema di recente (per il tentativo di de-occidentalizzare il racconto dell’Africa a favore di un pubblico occidentale). Ma c’è dell’altro.

Quando si scrive un romanzo, si raccontano due storie: una è quella nel libro; l’altra è esterna al testo e comincia così: “Siete disposti a credere che questo sia un romanzo?” Nel caso di autori di talento e ambizioni “letterarie”, la domanda diventa: “Siete disposti a credere che questo sia un romanzo letterario che spinge nel futuro la forma?”

Non c’è libro migliore di Leopardo nero, lupo rosso, oggi, per riflettere su come i romanzi raccontano e negoziano questa seconda storia. Per questo libro, che è solo il primo episodio di una trilogia fantasy in lavorazione, più che la trama è affascinante raccontare quali sfide pone alla scena letteraria.

James, primo Booker Prize giamaicano con Breve storia di sette omicidi, sta giocando una partita piena di rischi con il mondo letterario: ha già scritto della tratta degli schiavi – sempre in modo ultraviolento – e del più grande mito giamaicano importato in occidente – Bob Marley. Ora vuole strapazzare il fantasy trasformandolo in una schidionata di storie di sesso e violenza con sinceri elementi queer: «Noi siamo quelle bestie dove è la donna a decidere i compiti e l’uomo a svolgerli. E dato che gli uomini hanno stabilito che chi ha il c… più grosso comanda il cielo e la terra, non è forse logico che sia la donna ad avere il c… più grosso?»

Si sente il gusto antioccidentale di deturpare il mondo tolkeniano, tutto valori e senso, e allo stesso tempo si vede il modus operandi occidentalissimo di ridurre la violenza ad alienante intrattenimento, come vediamo, a campione, in questa descrizione della “Casa di piacevoli beni e servizi della signorina Wadada”. “Una volta aveva permesso a un mutaforma di s… una delle sue ragazze come leone, solo che all’apice dell’estasi lui le aveva dato una zampata, spezzandole il collo… La signorina, veniva dalla terra della luce d’Oriente, il che significava che un emissario aveva violentato e ingravidato una ragazza, lasciandola poi con il bambino per tornarsene da sua moglie e dalle sue concubine. La ragazza aveva affidato il bambino alla signorina Wadada, che ne guardò la pelle e ogni quarto di luna gli fece il bagno nella crema di latte e burro di pecora…” È una miscela ipnotica.

Marlon James viaggia su queste contraddizioni approfittando di un talento sicuro. Qualcuno lo stronca, qualcuno lo esalta, e non è ancora chiaro se il capolavoro sia la storia raccontata nel libro o lo storytelling esterno, il ritratto che James fa di se stesso lanciando questa sfida metaletteraria. Ma è una sfida avvincente. Marlon James vale il suo grande appetito: vuol essere lo scrittore che disperde in centinaia di storie gli schemi convenzionali del fantasy, ma pure colui che si imbuca sul carro di Trono di Spade e Black Panther. Vuole la gloria e vuole i soldi. Vuole l’impenetrabilità, il racconto come labirinto di bugie, e vuole la chiarezza lampante della tradizione che detesta, del “lupo solitario”, della “compagnia”. Vuole Rushdie e vuole Marvel. Al lettore forse basterà quest’ultimo accostamento per decidere al volo se lo leggerà o no.

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