Le tasche piene di parole: “Gita al fiume” di Olivia Laing

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«La donna segnata, l’amore perduto» sono due elementi fondamentali del primo libro di Olivia Laing. La donna che, nel tentativo di superare la fine di una relazione, intraprende un viaggio per recuperarsi e riconnettersi al suo io più profondo attraverso il contatto con la natura e la morbosa contemplazione che ne scaturisce. Ma ridurre a questo Gita al fiume (pubblicato da poco dal Saggiatore con la traduzione di Francesca Mastruzzo e Giulia Poerio) sarebbe limitante, perché il pretesto amoroso non totalizza né inquina la scrittura: se mai, contribuisce a generarla. E così anche la donna – spezzata e abbandonata – è sì il motore dell’opera, ma al contempo soltanto uno dei molteplici elementi che la compongono: una ricchissima indagine sul paesaggio in forma narrativa, un saggio botanico, storico e antropologico, un memoir e uno studio sulla scrittura.

Come in Viaggio a Echo Spring – altro pregevole lavoro in cui Laing rifletteva sul rapporto tra letteratura e alcolismo ispirata dalle vite di alcuni celebri autori americani che si intrecciavano alla sua – Gita al fiume si serve dell’analisi del processo creativo come strumento e ideale punto di partenza per fare l’ingresso in un universo reale e immaginario di ben più profonda complessità.

«Sono ossessionata dall’acqua», scrive, ed è proprio questo legame ossessivo, questa romantica forma di «idrofilia», l’ideale punto d’accesso al suo racconto, che si snoda lungo il corso del fiume Ouse, nel Sussex – lo stesso in cui, il 28 marzo del 1941, Virginia Woolf si suicidò entrando in acqua con le tasche del cappotto piene di sassi dopo l’ultimo di una serie di esaurimenti nervosi. La nevrosi come processo creativo, ma anche come fonte di ispirazione, trova nel libro (e in tutta la poetica di Laing) una sua forma di legittimazione, in questo caso proprio a partire dall’analisi retrospettiva della figura di Woolf e della sua cifra stilistica, fortemente legata e influenzata dal contesto naturale (le case, i giardini, le sponde dove la scrittrice londinese visse, scrisse e s’innamorò).

Quando Virginia parla della scrittura, cioè spesso, le immagini che utilizza sono liquide. Lei è inondata oppure galleggiava; lei prende la corrente. Quando i libri vanno bene si tuffa, felice come una nuotatrice, nell’elemento marino del pensiero individuale.

La figura di Woolf è centrale ed è l’unica che accompagna costantemente tutta l’opera insieme al fiume, e quindi all’elemento naturale. Questa compresenza – la donna che scrive e che osserva e studia la scrittura altrui mentre la natura le fa da controcanto – è l’elemento fondamentale di Gita al fiume, «un viaggio sotto la superficie» ideale e materiale che attraverso il paesaggio racconta l’esistenza di chi lo abita o lo ha abitato. Percorrere, studiare, osservare il fiume significa quindi non solo immergersi e purificarsi, ma anche sublimare la dolorosa esperienza di una fine attraverso la contemplazione di quella propria o altrui. Gita al fiume non è soltanto un resoconto di viaggio, né una semplice esplorazione del territorio e o una sterile analisi dei suoi cambiamenti: è una simbiosi che disfa e rigenera l’autrice inglobandola al suo interno, è un viaggio indietro nel tempo – un tempo che può essere anche antichissimo – che armonizza quelle voci antiche e recenti che sullo sfondo del paesaggio hanno imposto la propria presenza o modellato la propria vita.

Laing disseziona la storia intima di Woolf, soprattutto attraverso il resoconto delle vicende artistiche e private degli ultimi anni, gli anni più “liquidi”, in cui la tragedia che l’avrebbe colpita – nonostante la lettera ambiguamente serena che l’autrice scrisse al marito prima di uccidersi – si presagisce come un inevitabile destino, dando vita a una dimensione d’incantesimo in cui insieme al resoconto privato e al presente di chi scrive coesistono battaglie storiche, scoperte archeologiche, disastri naturali, immersioni purificanti o, nel caso di Woolf, letali. Ed è attraverso quest’esperienza così vasta, popolata dai personaggi più disparati, che Laing, camminando come una moderna Sebald, disegna una mappa intima e sentimentale di un paesaggio che le è familiare, riscoprendolo nei suoi più vividi dettagli (impossibile non intuire la sua preparazione botanica nella descrizione minuziosa di piante e fiori) con una lingua che sembra attingere costantemente dalla poesia.

In che modi strani trascorriamo le nostre vite: a mappare l’architettura dell’Ade o l’ornamentazione di un granulo di polline. La gente non dimentica mai niente. È tutto ammucchiato qui da qualche parte, in superficie o sottoterra. Non si ferma mai, è questo il problema. Continua ad arrivare, come quel vento d’oro che si nutre dei suoi stessi resti.

Proprio come Gli anelli di Saturno, che Sebald scrisse dopo essere partito dalla contea di Suffolk per «sfuggire al vuoto che si stava diffondendo dentro di sé», Gita al fiume è un’ideale ricerca che parte dal bisogno interiore per arrivare a toccare la dimensione collettiva, e rappresenta quindi un’eredità ideale e modernizzata del romanzo dello scrittore tedesco: il paesaggio tappezzato di vicende umane mirabolanti e insieme devastato dalla guerra da un lato, il territorio plasmato, ribelle e compromesso del Sussex attraverso lo studio dei cambiamenti climatici, delle deforestazioni, dei tentativi di domare il fiume con tutte le tragiche conseguenze dall’altro. E se nel ’95 Sebald scrisse una «storia naturale della distruzione», Laing crea invece quella di una ricostruzione – sentimentale, emotiva ma soprattutto umana, un libro dove l’umano cerca di riconciliarsi alla natura per celebrare la fine e la rinascita.

Commenti
Un commento a “Le tasche piene di parole: “Gita al fiume” di Olivia Laing”
  1. Magazzino M. ha detto:

    Leggervi è sempre un puro piacere! Grazie!

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