Scrittori arabi contemporanei, seconda puntata

selmi

La rubrica di Mario Valentini è dedicata alla letteratura araba contemporanea. Qui la prima puntata. (Fonte immagine)

Gli odori di Marie Claire, romanzo che è stato finalista del prestigioso Booker Prize arabo, racconta la storia d’amore tra Mahfudh, giovane tunisino che fa il docente universitario a contratto e il portiere d’albergo a Parigi, e Marie Claire, giovane donna francese che, a dispetto dei suoi studi in Storia, è impiegata in un ufficio postale.

Con quel po’ di ironia consentita dalla distanza rispetto ai fatti narrati e un lieve distacco che non esclude il rimpianto, Mahfudh ripercorre le tappe del suo rapporto con Marie Claire, raccontando in prima persona l’innamoramento, poi la disaffezione e infine la rottura. Habib Selmi, così, entra nelle pieghe minime della relazione amorosa, cercando di catturare la serie di eventi impercettibili che normalmente formano la sostanza tattile di un innamoramento. E tra questi gli odori, a cui il titolo accenna. Ci sono temi, come appunto la storia d’amore, trattando i quali scrivere significa prima di tutto esercitarsi a eludere una quantità infinita di trappole. Non è facile saltarne fuori senza essere inciampato in qualche caduta. Selmi ci riesce. Tu, lettore, segui le vicende di questa storia d’amore e ci stai dentro per lungo tempo. Passano le pagine e non ci fai caso. Poi però l’inizio di un capitolo te lo rivela: la donna in questione ha un che di rappresentativo, è l’ideale, una specie di icona. Non è solo la donna amata da Mahfudh. Il nome che porta non è casuale. Si chiama Marie Claire! Che sarebbe come ambientare un libro a Roma o a Milano e chiamare la protagonista del romanzo Gioia o Grazia o Annabella, giusto perché Donna Moderna non lo puoi usare, non è nome proprio di persona.

Quando ti accorgi allora che Marie Claire non è solo quella specifica donna amata da Mahfudh, che lavora alle poste, eccetera eccetera, ma è Marie Claire, il nome della più comune donna francese, che addirittura presta il suo nome a una rivista per donne comuni e ideali? Lo capisci quando, dopo che Marie Claire ha fatto fare a Mahfudh un mucchio di cose a cui lui proprio non era avvezzo per indole e per cultura, come andare a ballare per tutta la notte in una discoteca, cosa che non avrebbe mai fatto in vita sua perché per lui era proprio impensabile e che fa solo per compiacere la sua innamorata e convivente, dopo essere andato tante volte a cena in un ristorante, dopo essersi piegato tante volte (e volentieri) al desiderio di Marie Claire di uscire la sera, locuzione a cui lui proprio non riusciva a dare quel particolare valore liberatorio che intuiva dovesse avere per Marie Claire, Mahfudh fa un’altra cosa che non appartiene affatto alle sue abitudini: va in vacanza al mare con Marie Claire, a Creta. E ci va in campeggio. Che è proprio una tipica vacanza europea messa su con un budget limitato. È questo l’inizio della fine della storia d’amore e del romanzo: siamo dalle parti dell’epilogo. Comincia qui (non certo per il campeggio e per la vacanza ma per un senso di estraneità che forse nemmeno si riesce a spiegare e le cui motivazioni non è mai facile rintracciare in nessuna storia d’amore) la disaffezione reciproca.

Finora no, lo stile di Selmi era stato, in un certo senso, partecipato. E impegnato a rendere conto di tutti i piccoli gesti e incantamenti di un uomo innamorato, raccolti con una cura a volte minuziosa. L’attacco di questo capitolo riferisce invece di un deciso distanziamento. Ricorda un po’ quel tono che hanno certe relazioni di viaggio in cui i gesti delle popolazioni visitate dallo straniero ti sembrano opache e incomprensibili, assurde e del tutto campate in aria. Ed ecco che allora anche la Marie Claire del libro non è più quella Marie Claire che tu, lettore, hai in qualche modo imparato a scoprire. Diventa improvvisamente la Marie Claire della rivista: una donna a suo modo quasi programmata per essere come è, per avere i gusti che ha e i divertimenti che le piacciono. Diventa uso e costume. Siamo al capitolo 14, che comincia così: “Vacanze: credo sia questa la parola che Marie Claire ama di più al mondo. Il termine, su di lei, ha un effetto bizzarro, sembra che la incanti. […] Ogni anno Marie Claire si incaponisce a volere fare i bagagli e partire; perché, stando a quel che continua a ripetere, «non sono vacanze se non si fa un viaggio»”.

La presenza dell’Europa e l’incontro tra un giovane arabo e una coetanea europea sono situazioni più che ricorrenti nei romanzi arabi anche di inizio Novecento: elementi fondanti nel percorso che conduce scrittori e intellettuali a mettere a fuoco un modello praticabile di modernità. Una modernità che si impara quasi sempre in Europa, ma non per pura imitazione, bensì da un’operazione di ripensamento del proprio contesto sociale attraverso un confronto serrato con l’altrui. E ciò che si accoglie, dalla società altrui, è equipotente rispetto a ciò che si critica e si scarta. Ora, non saprei dire sinceramente se qualcosa di simile lo faccia anche Habib Selmi attraverso la storia di Mahfudh. Certo è che, innamorandosi di Marie Claire, adattando la propria vita a quella della donna francese, rinunciando in alcuni casi a se stesso e alle proprie inclinazioni per poterne esserne accolto, Mahfudh si confronta radicalmente con le proprie radici più profonde. E non si tratta in questo caso di notazioni di costume tutto sommato innocue, come nel brano della vacanza sopra riportato. È la sua mascolinità, per come l’aveva forgiata nel suo Paese sin da ragazzo, secondo modalità che ogni tanto vede affiorare in sé da una coscienza quasi fantasmatica, ciò contro cui ingaggia la vera battaglia.

E una sera, verso la fine del romanzo, torna a casa ubriaco, sfatto e piuttosto disperato. Ha un litigio furibondo con Marie Claire, pieno di insulti, che degenera quasi in una colluttazione violenta. Allora Mahfudh si chiude a chiave in cucina e non ne esce più, attuando l’unica contromisura possibile per tenere sotto controllo la propria rabbia irrazionale, per disciplinarla e non farla degenerare. Affinché l’uomo che coscientemente ha scelto di essere non sia sopraffatto da un altro tipo d’uomo, che potrebbe benissimo diventare se lasciasse spazio a una sorta di antica memoria personale (che nel corso del romanzo ogni tanto riaffiora, agendo dall’interno quasi al di là della sua stessa volontà). “Ho avuto paura che mi picchiasse – dice Mahfudh allora- perché, di rimando, l’avrei picchiata anch’io e tutto sarebbe andato a scatafascio: sono corso in cucina, ho chiuso la porta a chiave. Mi sono steso sul pavimento e ho rivisto ogni fotogramma di quello che era accaduto”.

Mahfudh dunque non ha la reazione definitiva. Chiude la porta della cucina per frapporre uno schermo tra sé e la sua ira: per mettersi al riparo da se stesso.

Cosa dire invece di Marie Claire? Le sue motivazioni non le conosciamo. Le possiamo solo intuire dietro l’evidenza dei gesti. Le sue frasi sono riportate, filtrate dalla voce di Mahfudh. E quando lei inizia a umiliarlo e a disprezzarlo, non sappiamo mai del tutto di che natura sia quel disprezzo. Se sia rabbia, rancore, snobismo o che altro. E se sia veramente umiliazione e disprezzo o se è la particolare sensibilità di Mahfudh a interpretare gesti e parole in tal senso, deformandoli. Quello che arriva è comunque l’immagine di una donna europea che sceglie e desidera. Decide di accogliere, amare e poi lasciare. Una che a un certo punto non ne può più e inizia a passare le notti fuori, forse in compagnia di un altro uomo, e si compra una moto di grossa cilindrata quasi come segno di radicale autonomia o di definitivo passaggio a un’altra stagione di vita. Come segno di un completo allontanamento. E per la quale, quando l’amore finisce, come diceva il poeta, la vita continua. Anche senza di lui. Lo può accettare Mahfudh, maschio arabo, tutto questo? Sì, pare di capire, con un certo lavoro su di sé, contraddicendo una (solo nostra?) opinione diffusa, veniamo a sapere che lo può accettare.

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