Sterminati inferni mentali: “Azzardo” di Alessandra Mureddu

Giorni fa, passando per una via del centro di Roma, sono entrato in un tabaccaio per comprare una marca da bollo. Era un negozietto di pochi metri quadri, con un bancone ad angolo, sull’altro lato c’era un piccolo paravento di plastica dietro cui era seduto un uomo intento a giocare alla slot machine. Ho pagato alla tabaccaia la mia marca da bollo e sono uscito. Uscendo mi sono voltato a guardare per un attimo questi due: la tabaccaia e il giocatore. Benché in uno spazio tanto ristretto apparisse impossibile, il modo in cui si ignoravano era così sfacciato da far paura.

Esistono una miriade di posti come quello, lungo le vie dei quartieri cittadini, sulle strade provinciali, nei piccoli centri, nei mondi immateriali oltre gli schermi, in cui una persona può estraniarsi ed evadere dagli altri e dalla propria vita. Sale giochi, bische, bar, minuscoli angoli di mondo come la piccola tabaccheria del centro, o giganteschi hangar consacrati alla dea fortuna. Grandi o piccoli che siano, sono prima di tutto degli sterminati inferni mentali.

Da qualche giorno è in circolazione un potentissimo memoir che racconta proprio questa geografia psichica. È Azzardo, di Alessandra Mureddu, e l’ha pubblicato Einaudi nella collana degli Unici. “Il gioco è un lavoro, non c’è tempo da perdere, niente da commentare, è un tutti contro tutti alla ricerca della combinazione vincente, ciò che sta fuori dal monitor non esiste”. Questa frase compare a pagina 5 ed è già una convincente spiegazione all’assurda atmosfera che ho respirato l’altro giorno nella tabaccheria. Per il giocatore dietro al paravento di plastica io non esistevo, così come non esisteva la tabaccaia, che pure lo ospitava fisicamente nel suo negozio. La sola cosa esistente per lui era in quel monitor, era la slot.

Azzardo è il racconto di una donna che all’età di quarantuno anni prova a salvare il padre, avvocato e giocatore patologico. Fino a quel momento non le è mancato niente: ha un buon lavoro, un corpo attraente e un compagno che l’ha appena lasciata per il suo rifiuto di mettere su famiglia. Scopre così il mondo delle sale giochi, un mondo buio, spezzato solo dal bagliore dei monitor, in cui la moquette attutisce i passi del personale in divisa che offre da bere ai giocatori, senza attenuare il trillo continuo e ossessivo delle macchine, e ne rimane soggiogata. Così la figlia che voleva salvare il padre si ritrova a dover salvare innanzitutto se stessa.

Tutte le storie di giocatori sono simili, tutte declinano verso il disastro e non c’è nulla che possa arginare questa deriva. Ciò che si legge nel libro di Mureddu non è da meno. Ogni cosa viene intaccata in nome di questa brama ossessiva: il lavoro, i genitori, il corpo, l’amore, le vacanze estive in un casinò sloveno, i monili di famiglia, i contanti ottenuti nei compro oro da sperperare nella frenesia di un pomeriggio di gioco.

Ma fra le pagine di Azzardo ci sono tre elementi che lo rendono a mio avviso un lavoro unico nel suo genere, nonché l’opera con cui il mondo letterario italiano in questo 2023 dovrà fare i conti. Il primo è che a scriverlo è una donna; se il gioco infatti, nonostante la sua raggelante diffusione (i dati del 2022 ci dicono che sono oltre 1,3 milioni gli italiani malati patologici di dipendenza da gioco d’azzardo), è un tabù sociale, lo è ancora di più se a patirne le conseguenze è una donna. Il secondo è che non si limita a fare la radiografia del vizio, ma si estende a rappresentare una condizione che vorrei dire storica, quella connessa all’era delle New Addiction. La terza è che è scritto con una lingua implacabile, una voce rauca e tuttavia capace, in certi momenti, di vertiginose ascese liriche (un esempio: “La notte tutte le morti del mondo mi spingono sulle tempie”).

La questione intorno cui ruota tutto è il tema della fortuna. Se la fortuna è l’esposizione dell’uomo alla serie delle cause esterne, l’uomo non è altro che una creatura nuda e incapace di instradare se stesso e la propria vita. Un giocatore d’azzardo quindi è una persona che ha fatto a meno del libero arbitrio per affidarsi a un’idea più grande di sé.

Da dove arriva allora la salvezza? Dalla psicoterapia, dal programma di recupero per giocatori anonimi, dai ricoveri nelle case di cura, dall’amore per un cane, perfino dalla merda, sì, la merda che tracima nei bagni sporchi sognati per anni e puntualmente raccontati all’analista. Forse da tutto questo insieme.

 

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