Voce del verbo esistere. Su La Fonte Nascosta di Solms

di Mariachiara Rafaiani

Forse le storie – e dunque la letteratura – sono iniziate nel momento in cui qualcuno ha cominciato a chiedersi: chi sono? Cosa vuol dire esistere? Forse le prime storie nascono da questo: dalla risposta che i nostri antenati hanno provato a dare a questa domanda, da innumerevoli fantasie dell’origine. Anche oggi, d’altra parte, che pure di evidenze scientifiche sul nostro passato ne abbiamo parecchie di più, e conosciamo in modo molto più dettagliato l’enorme massa di materia in cui siamo immersi e chiamiamo universo, il sentimento del sacro permea ancora questo mondo e ne determina molte logiche. Si ha troppa paura nel restare nudi di fronte a questa domanda sempre aperta, e sempre irrisolta: il potere del pensiero e dell’immaginazione continua a essere l’unica nostra arma. Come scrive Lovecraft, riprendendo Kant: siamo in fondo abitanti di un’isola d’ignoranza, e intorno a noi si srotola imperscrutabile l’infinito – questo non può che terrorizzare. Inventare storie è il salvagente che abbiamo inventato per non essere trascinati via dalla paura, l’istinto narrativo è innato in noi come il senso di vertigini che ci impedisce, da bambini, di gettarci dalla finestra. Non c’è niente di più difficile che trovare un gatto nero in una stanza buia, specialmente se non c’è nessun gatto. Proprio contro questa possibile assenza, non verificabile, si scontra il pensiero razionale, tendendo perlopiù ad eliminare l’eventualità.

Scrive Mark Solms parlando del desiderio sessuale: “Quando abbiamo un rapporto sessuale, in genere non stiamo cercando di svolgere il nostro compito biologico di riprodurci: anzi, spesso cerchiamo di evitarlo. Come accade col sapore dolce dei cibi rispetto al loro contenuto energetico, la nostra motivazione soggettiva è la ricerca del piacere erotico, non il successo riproduttivo. Ancora una volta, cioè, siamo governati dai sentimenti. Gli organismi viventi tuttavia, devono riprodursi, almeno in media. È principalmente per questo motivo che il sesso, attraverso la selezione naturale, è diventato dal punto di vista del soggetto un’esperienza piacevole”. Un desiderio apparentemente inutile e scevro da necessità biologica, sarebbe dunque invece, sebbene mascherato, la normale e meccanica conseguenza di una necessità “animale”. Se dunque i “sentimenti” sono la manifestazione di pulsioni (nel significato freudiano) allora anche cercare di rispondere alla domanda: chi sono? non allontana, come sembrerebbe, l’uomo dalla sua condizione materiale, dalla sua esistenza biologica.

Proprio da questo grande interrogativo parte il neuropsicanalista Mark Solms nel suo libro La fonte nascosta. Viaggio alle origini della coscienza, appena uscito per Adelphi: non lo shakespeariano essere o non essere ma piuttosto: cosa vuol dire esistere? Solms racconta che, quando era bambino, il fratello maggiore Lee rimase coinvolto in un incidente: mentre stavano giocando cadde dal tetto dove si era arrampicato e subì un trauma cranico. Da quel giorno Lee non fu più Lee: “Quello che però mi turbava di più era il fatto che sembrava pensare in modo diverso da prima. Sembrava che Lee fosse presente e allo stesso tempo assente, come se avesse dimenticato la maggior parte dei giochi fatti insieme, quelli che avevamo fatto così tante volte”. Da quel punto la strada è segnata: comprendere in funzionamento della mente diviene la sua ossessione: “Ricordo di aver sempre pensato che l’unica cosa che valesse la pena fare nella vita era scoprire cosa significa esistere”.

Inizia così un lungo percorso di indagine e studio, che lo porta non solo fra i libri ma anche fra le corsie dei reparti di neurologia, laddove può studiare quelle menti che hanno subito qualche danno alla struttura fisica del cervello. Nonostante in questi pazienti il grado di “coscienza” risulti senza dubbio alterato, non sembra sia riconoscibile in alcuno un’assenza totale di questa. Scrive Solms: “Per quanto riguarda tutti i casi fin qui descritti, ovvero di pazienti o soggetti sperimentali che ho definito ‘non coscienti’ delle cause delle loro azioni, devo specificare che questo è solo parzialmente vero. Erano sì inconsapevoli di certe percezioni o di alcuni ricordi – in forma di rappresentazioni – , ma in loro rimaneva intatta la capacità di percepire i sentimenti. Vi era in loro quel ‘provare qualcosa’ che si esprimeva sotto forma di giudizi di valore. Erano coscienti dei propri sentimenti, ma al contempo rimanevano del tutto inconsapevoli della loro origine”.

Solms prosegue osservando come, sebbene i sentimenti siano difficili da indagare scientificamente – e anzi proprio su questo gli esperti della materia mantengano le posizioni più contrarie – è comunque impossibile ignorarli se si vuole studiare il cervello, risultando sempre imprescindibili per la comprensione del suo funzionamento. Un problema simile incontrano sistematicamente i pionieri nello studio delle sostanze psichedeliche come strumenti curativi di alcolismo e depressione: l’esperienza psichedelica non può essere prevista in modo esatto e scientifico, e ad influenzarla incorrono le più diverse specificità, tra cui le più importanti vengono definite set e setting1. Quando ci rapportiamo con il cervello siamo sempre in fondo di fronte ad un’esperienza della soggettività: il fatto che persista in alcune circostanze la variabile soggettività non vuol dire che non si possano trovare comunque delle strade o dei modelli in cui imparare a utilizzarla a proprio vantaggio. Come gli psichedelici devono continuare ad essere considerati un’alternativa possibile nella cura di alcune patologie, così i sentimenti devono rimanere sul tavolo per provare a rispondere alle domande cruciali sul funzionamento della coscienza. Secondo Solms, i sentimenti sono alla fonte della nostra coscienza senziente, sono proprio ciò che riportano le rappresentazioni inconsce alla “vita mentale”.

Ricalcando la traccia segnata da Freud – che per Solms aveva già compreso meglio di tutti, pur non possedendone le adeguate verifiche scientifiche, il funzionamento del cervello – che definiva la pulsione “una misura della richiesta di lavoro avanzata dalla mente in conseguenza alla sua connessione con il corpo”, Solms la collega agli affetti, notando come essi rappresentano la manifestazione soggettiva delle pulsioni: “Gli affetti rappresentano la modalità con la quale diventiamo consapevoli delle nostre pulsioni; ci dicono se stiamo procedendo bene o male in relazione a un bisogno specifico rilevato. Le emozioni, negative o positive che siano, costituiscono la bussola con il quale ci orientiamo nel mondo: senza di esse saremmo perduti”.

Nel chiedersi dove ha luogo lo scatto dai riflessi automatici ai sentimenti che dominano tutte quelle che potrebbero essere definite le nostre azioni coscienti e le determinazioni del comportamento volontario, Solms parte dagli studi di Jaak Panksepp, seguito da Antonio Damasio e infine da Biörn Merker, per arrivare infine a concludere che per comprendere la connessioni che legano aspetti fisiologici e psicologici della coscienza è necessario compiere un salto ulteriore, superando le barriere disciplinari tra psicologia e fisiologia per approdare nella fisica. E, in particolar modo, nella fisica dell’entropia.

“L’entropia misura il grado di disordine di un sistema. È un dato di comune esperienza che, se si lasciano le cose a se stesse, il disordine tende ad aumentare.”, così la definisce Stephen Hawking2. Solms, riprendendo Karl Friston – “il neuroscienziato oggi più influente al mondo” – scrive: “Tutti i sistemi che si auto-organizzano, compresi voi e me, hanno un compito fondamentale in comune: continuare ad esistere. Friston crede che noi assolviamo a questo compito rendendo minima la nostra energia libera”. Prosegue dicendo che anche “rimanere all’interno dei limiti consentiti per le nostre emozioni richiede un dispendio energetico, come quando vogliamo mantenere una stretta vicinanza con chi ci è caro o ci protegge, fuggire dai predatori o liberarci da ostacoli che ci frustrano e così via. Oltre un certo livello di prevedibilità il lavoro per fare queste cose è regolato dai sentimenti”. A questo punto Solms, in disaccordo con Damasio, arriva a concludere che la coscienza è un processo omeostatico, e dunque come l’omeostasi3anche la coscienza può essere ricondotta alle leggi della fisica. La coscienza dunque, come l’omeostasi, oppone resistenza all’entropia, ponendo dei limiti all’infinità di stati e di condizioni in cui potremmo trovarci. “L’entropia associata all’espansione di un gas e quella legata all’aumento delle possibili scelte sono la stessa cosa. Non tutte le cose che esistono in natura sono visibili e tangibili, ma tutte soggiacciono alle leggi della probabilità”, scrive Solms, mostrando come anche le informazioni immateriali processate dai nostri sistemi neuronali rispondono al principio dell’entropia.

Solms riprende Friston per dire che tra le quattro proprietà fondamentali comuni a tutti i sistemi biologici autorganizzati, la più importante è senza dubbio l’autoconservazione: dovremmo dunque credere che anche i moti che sentiamo agitarsi in quella che chiamiamo coscienza volgano tutti a questo scopo unanime. Il cervello, in questo senso, è costantemente intento alla selezione delle informazioni utili, in modo da poterne elaborare la minor quantità possibile: solo, appunto, quelle necessarie. Dunque la nostra percezione del mondo sarebbe così la nostra migliore scommessa, la nostra ipotesi di risposta alle domande che continuamente poniamo al mondo per cercare di sopravvivere.

Di fronte ad alcune domande siamo dotati fin dalla nascita di risposte innate: beneficiamo continuamente del successo biologico delle generazioni passate. Invece di fronte alle domande “Chi siamo? – da dove veniamo? Dove andiamo?” – siamo ad ogni esistere spiazzati come il primo uomo. Non troviamo conoscenze accumulate a cui attingere, non abbiamo conoscenze di base che ci proteggano: semplicemente, da millenni, non lo sappiamo. E dato che le richieste delle nostre pulsioni più profonde sembrano essere inesorabili e possono essere saziate solo attraverso la morte o il soddisfacimento, siamo forse condannati a vivere in questo perenne stato di desiderio e insoddisfazione. “La coscienza”, scrive Solms, è “questo procedere a tentoni attraverso i problemi inattesi della vita, agendo intenzionalmente”. Spiega anche come la nostra percezione del mondo sia tutta influenzata e determinata dai nostri bisogni, così come lo è quella delle altre specie: da questo assunto deriva l’idea che tutto ciò che percepiamo del mondo è soggettivo e che la realtà è un concetto pressoché inesistente. Per citare Einstein: “La realtà è una semplice illusione, sebbene molto persistente”.

Partendo dagli studi di David Chalmers e dalle sue posizioni in merito al problema difficile, Solms scrive: “Dal mio punto di vista una teoria ‘non riduzionista’ è buona se con questa s’intende che rinunciamo all’impossibile compito di dedurre i fenomeni psicologici da quelli fisiologici e viceversa. I fenomeni psicologici non possono essere dedotti da quelli fisiologici, esattamente come il tuono non può essere dedotto dal lampo, anche se i due fenomeni sono correlati fra loro. Stabilire la correlazione è il problema facile. Pertanto dobbiamo ridurre entrambi i fenomeni ai corrispettivi meccanismi, in modo da poter, successivamente, ricondurre questi meccanismi a un denominatore comune che non violi le leggi della fisica. Questo è il problema difficile”. Per quanto però si possa provare a procedere scientificamente, è chiaro che la nostra realtà deriva dalla percezione che ne abbiamo con i nostri, limitati, strumenti: non possiamo dunque sapere quanto questa visione sia parziale e limitata. Scrive a proposito Solms: “Se tutti noi fossimo dotati solo del senso dell’udito, potremmo pensare che la realtà consista in qualcosa di impalpabile come le onde sonore, e non avremmo alcuna idea del mondo visibile e tangibile”. E prosegue: “Le cose potrebbero essere così, ma è altrettanto vero che i fatti che non conosciamo potrebbero rivelarsi più deprimenti di quelli su cui abbiamo convinzioni errate”. Se dunque, come uno dei tanti pazienti studiati da Solms nel corso della sua carriera, fossimo impossibilitati o ci mancasse qualcosa, non ce ne renderemmo conto.

A questo punto Solms fa un passaggio ulteriore: arriva a ipotizzare che la coscienza, per come la sperimentiamo dentro di noi, non richieda necessariamente una struttura anatomica corrispondente alla nostra per esistere, ma bensì che sia sufficiente avere qualcosa che ne riproduca le funzioni. Arriva così ad una delle domande cruciali del nostro tempo, che ha ispirato scienza e fantascienza e ha invaso come una tempesta l’immaginario collettivo: la coscienza risiede nella sostanza della materia o nel suo funzionamento? La coscienza può dunque consistere “solo” in un procedimento?

C’è un aspetto, nel libro di Solms, che mi sembra però venga tralasciato: ed è quello che chiameremmo, per sintesi, “irrazionalità”: non sempre le azioni degli uomini agiscono per sopravvivere, e un comportamento volto a “contenere l’entropia” non è una regola unanime. A volte gli esseri umani agiscono invece nella direzione opposta: perseguendo un apparente moto di autodistruzione. Viene da chiedersi, leggendo Solms, se questo istinto alla sopravvivenza e all’autoconservazione sia davvero quel dato innato e inestirpabile comune a tutti gli uomini.

Solms si domanda se la sostituzione di un neurone naturale con un neurone artificiale farà qualche differenza in quello che prova il cervello. Io non credo che la prova del nove per verificare la “tenuta” di una mente artificiale – soprattutto se si vogliono considerare le implicazioni problematiche che solleva una coscienza – non sia il fatto di provare sensazioni, quanto piuttosto la capacità di una libertà “irrazionale, capace di superare proprio il principio di autoconservazione (e, viceversa, di sceglierlo “liberamente”).

Le domande non sono esaurite, e le risposte non sono ancora esaustive. Siamo ancora qui a chiederci, nonostante tutto, da quale parte della nostra esistenza materica – che è poi l’unica che abbiamo – vengano tutti quegli impulsi e quelle azioni che non assecondano il principio dell’entropia e non puntano alla sopravvivenza della specie. “Niente è perfetto. La vita è caotica. Le relazioni sono complesse. I risultati sono incerti. Le persone sono irrazionali”, dice lo psicologo Hugh Mackay. E per tornare dove abbiamo iniziato, ecco forse l’anello che non tiene nell’indagine di Solms – il punto cieco dell’indagine, il cortocircuito inafferrabile dove ritroviamo la disperante affermazione di Nietzsche: “In ogni cosa soltanto questo è impossibile: la razionalità.”

 

1 Sull’argomento: Michel Pollan, Come cambiare la tua mente, 2018 (Adelphi)

2 Dal big bang ai buchi neri, Rizzoli, 2015

3 In biologia, l’attitudine propria degli organismi viventi a conservare le proprie caratteristiche al variare delle condizioni esterne dell’ambiente tramite meccanismi di autoregolazione ( dispositivi omeostatici).

___________________________________________

Mark Solms, neuroscienziato e psicoanalista, presenterà La fonte nascosta il 13 luglio alle ore 18 in Triennale a Milano. Interverranno Paolo Migone, Andrea Clarici, Vittorio Lingiardi, Rosa Spagnolo. L’introduzione sarà a cura di Stefano Boeri, Presidente Triennale Milano.
Aggiungi un commento