Il palcoscenico ostinato e contrario. Intervista a Claudio Remondi (di Rem&Cap)

Questo pezzo è uscito sul numero di marzo dei Quaderni del Teatro di Roma. (Immagine: foto: IlRossetti/AGF.)

A febbraio è scomparso un grande protagonista del teatro italiano dell’area della cosiddetta ricerca: Claudio Remondi. Assieme a Riccardo Caporossi ha dato vita a una compagnia dal taglio particolarissimo, dalle atmofere pittoriche e rarefatte che ha animato per oltre quarant’anni la scena contemporanea. Rem&Cap sono stati uno degli ensemble artistici di punta della straordinaria stagione del teatro d’innovazione italiano della seconda metà del Novecento.

Per ricordarlo abbiamo deciso di pubblicare un lungo stralcio di un’intervista rilasciata a “Carta” nel 2006, dove Claudio Remondi raccontava come fosse nata la sua passione per il teatro, coltivata con la forza dell’ostinazione. Rispetto al rapporto con il potere e le istituzioni, ad esempio, oltre a bacchettare la politica, ne aveva anche per gli artisti: «In tanti, appena girava il vento, si sono messi a fare i teatranti ‘di cassetta’ – osservava –. Per me, se uno prende una strada di ricerca dovrebbe portarla fino in fondo». Questo che vi riproponiamo è dunque un prezioso racconto delle proprie radici, condotto però con un occhio al presente e al futuro.

Teatri e Agis: se i talenti non sono figli di papà

Questo pezzo è uscito su PaeseSera. (Immagine: Santasangre – Harawi.)

Pietro Longhi, direttore dell’Agis Lazio, ha diramato un comunicato stampa in cui si scaglia contro le realtà degli spazi occupati romani. Il succo del discorso è che mentre tante sale lavorano nella legalità, pagando affitti e Siae, gli spazi occupati bypassano tutti questi oneri facendosi belli di collaborazioni prestigiose che si offrono gratuitamente a causa del sostegno politico. In sostanza, fanno concorrenza sleale (anche perché i biglietti sono a prezzi sensibilmente più bassi dei teatri associati all’Agis).

Angelo Mai, ultimo atto di una desertificazione culturale

Pubblichiamo un commento di Graziano Graziani, uscito su Paese Sera, sulla sospensione delle attività del centro sociale Angelo Mai di Roma.

La chiusura del bar dell’Angelo Mai, e la conseguente sospensione delle attività da parte del collettivo che lo gestisce, è l’ultimo atto di un processo che ha cambiato profondamente la geografia culturale di Roma. E che la rende oggi, di fatto, una città desertificata. I centri culturali scaturiti dall’esperienza dei centri sociali hanno avuto alterne fortune, ma di fatto sono stati l’unica polarità per la sperimentazione, i nuovi linguaggi, le nuove generazioni e – cosa non secondaria – dei punti di incontro e discussione. E garantendo un certa, per quanto precaria, continuità. Tutto quello che le istituzioni culturali di questa città – ricca di eventi, ma solo da “consumare” – riescono a fornire poco e male.

Ingiustamente bruno, ovvero: analizzare “L’isola e le rose”, l’ultimo romanzo di Walter Veltroni

Qualche giorno fa è uscito l’ultimo romanzo di Walter Veltroni, L’isola e le rose. Ne hanno parlato già in molti prima che uscisse o appena il libro è stato disponibile. Il Tg1 delle 20, per esempio. Pierluigi Battista  sul Corriere, per esempio. Aldo Cazzullo su Sette, l’inserto del Corriere, per esempio. Luisella Costamagna e Edoardo Nesi alla Festa dell’Unità, per esempio. Sempre Edoardo Nesi su Repubblica, per esempio.

Una geografia allo sfascio. Cosa resta del teatro contemporaneo

Pubblichiamo un articolo di Graziano Graziani, uscito sull’ultimo numero dei «Quaderni del Teatro di Roma», sui problemi che sta vivendo il teatro.

di Graziano Graziani

Benedetta la città che fonda un teatro, recita il sottotitolo di questa rivista riprendendo una frase del drammaturgo inglese Edward Bond. E quella che lo chiude? La domanda se l’è posta Azzurra d’Agostino, poetessa che da anni compie volentieri incursioni nel mondo del teatro e vi lavora come operatrice, all’indomani della chiusura del Teatro San Martino di Bologna, uno dei pochi spazi del capoluogo emiliano dedicati alla scena contemporanea con entusiasmo e raziocinio, seguendo il filo di un progetto preciso. Persino in una delle ragioni storicamente più attente alle sorti della scena, dunque, si arranca sotto il segno di una crisi che una volta di più si delinea come culturale, prima ancora che economica. I luoghi non sono neutri, soprattutto quando si parla di arte. Essi vivono quando li abita una comunità, e prosperano quando questa comunità produce qualcosa di sensato. Non qualcosa di tangibile, mercificabile come un oggetto; e neppure semplicemente quando aggrega un gran numero di persone pronto subito dopo a disperdersi, secondo la logica dei grandi eventi tanto cara alle nostre amministrazioni. Quel “senso” a cui si fa riferimento è il modo di vivere e far vivere quei luoghi, l’atto di “abitarli” e trasformare attraverso questa pura azione la faccia della città.

Morire per delle idee. Hunger di Steve McQueen

Oggi, 5 maggio, è il trentunesimo anniversario della morte di Bobby Sands. A partire dal 1° marzo Sands iniziò uno sciopero della fame a oltranza che lo condusse alla morte dopo 66 giorni. In questo lasso di tempo, il 9 aprile, fu eletto membro del parlamento britannico, nel corso di elezioni suppletive. Subito dopo la legge fu cambiata, impedendo ai detenuti di candidarsi se non dopo cinque anni dal termine della pena. La morte di Sands e di altri nove detenuti dopo di lui suscitò un’ondata di sdegno in tutto il mondo nei confronti dell’intransigenza del governo Thatcher. Era, tra l’altro, la prima volta che un parlamentare veniva lasciato morire di inedia in una nazione occidentale. Pubblichiamo una recensione di Graziano Graziani su «Hunger» di Steve McQueen.

Dotato di grande impatto visivo, «Hunger» del regista londinese Steve McQueen si muove lungo un crinale complesso, in bilico tra una crudezza affilata che a tratti rischia di diventare persino estetizzante. Evitiamo fraintendimenti: non c’è nessuna indulgenza o compiacenza, neppure in negativo, quando si affonda nel torbido della sofferenza fisica che è il tema centrale di questa pellicola. Semplicemente l’opera prima di McQueen (che data 2008 ed è arrivata solo ora in Italia, sull’onda del successo dell’opera seconda «Shame») non è un film politico in senso tradizionale. C’è da chiedersi d’altronde se avrebbe avuto senso a trent’anni di distanza – era il 1981 – parlare della vicenda di Bobby Sands in chiave di denuncia.

Storia cadaverica d’Italia. Daniele Timpano e le retoriche italiche

Pubblichiamo la recensione di Graziano Graziani, uscita sui Quaderno dei Teatri di Roma, sullo spettacolo «Aldo Morto. Tragedia» di Daniele Timpano, in scena al Palladium di Roma fino al 15 aprile. 

Il poeta della beat praghese Egon Bondy apriva il suo unico romanzo – oggetto di culto circolato per anni illegalmente e in edizioni “samizdat”, cioè autoprodotte – con il ritrovamento di un cadavere: era il cadavere del mondo. Nel suo futuro distopico, l’utopia socialista si è ridotta a un cadavere che butta fango dai cui miasmi bisogna il più possibile girare alla larga.

Daniele Timpano, autore e attore della scena contemporanea, ha invece disegnato nell’arco di tre spettacoli quello che potremmo definire il “cadavere d’Italia”, ovvero ciò che ne resta della costruzione dell’identità nazionale in un paese che non ha mai avuto un mito fondativo davvero condiviso – al pari di nazioni come la Francia o gli Stati Uniti – e agonizza ancora oggi tra aspirazioni autonomiste, recriminazioni e luoghi comuni all’ombra del proprio campanile. Il cadavere come metafora della decadenza di un’italietta – nel senso descritto da Pasolini – che cerca di raccontarsi come nazione eroica, ma che inevitabilmente inciampa in una prosopopea che si sgonfia ricadendogli addosso, in una retorica già in via di decomposizione.

Benedetta la città che fonda un teatro

Abbiamo estratto due articoli dall’ultimo numero dei Quaderni del Teatro di Roma, un mensile che si pone come osservatorio della scena teatrale romana e che risulta un ottimo strumento per orientarsi nella nutrita offerta di spettacoli che anima le serate capitoline. Iniziamo con l’editoriale di Attilio Scarpellini su alcune buone pratiche della non-scuola romana e proseguiamo con un pezzo di Graziano Graziani su Lucia Calamaro, artista e drammaturga fuori formato, che ha saputo unire scrittura scenica a scrittura letteraria, aprendo nuovi e intensi scenari sul teatro d’autore contemporaneo. Il titolo del pezzo è una citazione di Edward Bond.