Steve Ditko: l’eroe segreto di Spider-Man

Riprendiamo un articolo, che fa parte di uno speciale per i 50 anni di Spider-Man (qui tutti i post) uscito sul blog «Conversazioni sul fumetto», scritto da Reed Tucker e apparso originariamente sulle pagine del New York Post il 2 luglio 2012.

Steve Ditko non ha mai ricevuto quello che si meritava per avere co-creato il leggendario supereroe. E mentre «The Amazing Spider-Man» sbanca i botteghini, l’84enne vuole essere solo lasciato solo nel suo ufficio di Midtown, sudando su scarabocchi ispirati a Ayn Rand.

I venditori ambulanti sui marciapiedi di Times Square vendono economiche targhe di metallo con l’immagine di Spider-Man, senza dubbio inconsapevoli che il co-creatore del supereroe passa proprio davanti a loro ogni giorno, completamente ignorato. D’altra parte, solo una manciata di persone al mondo riconoscerebbe Steve Ditko, il misterioso artista ottantaquattrenne che, insieme allo scrittore Stan Lee, si inventò l’arrampicatore di muri nel lontano 1962.

L’arte del racconto – tradizione e innovazioni, da J.D. Salinger ad Alice Munro

Questo pezzo è uscito su Repubblica.

Nella prima pagina di Un giorno ideale per i pescibanana – probabilmente il miglior racconto di J.D. Salinger – una ragazza di nome Muriel Glass alza la cornetta del telefono in una camera d’albergo dopo essersi passata lo smalto sulle unghie. Dall’altra parte del filo c’è sua madre, una pedante signora middle class la quale per tutta la conversazione ventila l’ipotesi che Seymour, il giovane marito di Muriel congedato dall’esercito dopo la fine della II guerra mondiale, sia un soggetto poco raccomandabile. “Muriel, te lo chiedo per l’ultima volta: stai bene?” “Mamma – disse la ragazza – per la novantaseiesima volta: sì”. “E non vuoi tornare a casa?” “Mamma, no“.

The Ketchup in Rye

L’eremita J.D Salinger amava gli hamburger di Burger King, girava l’America in pullman e seguiva il tennis in televisione. Frequentava cene, teatri, gallerie d’arte, e chiese. La leggendaria figura dello scrittore isolato e misantropo costruita intorno alla sua reclusione va dunque rivista: la sua vita era molto meno protetta e schiva di come la si è sempre immaginata. A rivelarlo è il contenuto di cinquanta lettere e di quattro cartoline che Salinger scrisse ad un suo amico inglese, Donald Hartog, tra il 1986 e il 2002.
In queste lettere, Salinger racconta la sua vita privata, le sue abitudini e le sue piccole passioni. L’autore del Giovane Holden non viveva soltanto rinchiuso a Cornish, ma saliva beatamente sui pullman e scorrazzava per l’America. Amava particolarmente andare alle cascate del Niagara e al Grand Canyon, due luoghi metafisici, vertiginosi e tendenti al sublime, oppure andava sull’isola di Nantucke, a sud di Cape Cod. Altrettanto da intenditore, è la scelta degli hamburger di Burger King che confrontava, facendoli vincere, con le polpette proposte dalla altre catene di fast-food. Neanche il silenzio ovattato dalla neve del New Hampshire in cui lo immaginiamo, corrisponde alla realtà. J.D. Salinger aveva una passione per i “tre Tenori”, Placido Domingo, Josè Carreras e Luciano Pavarotti.

Il giovane Holden

Questa recensione del Giovane Holden, pubblicata da Manganelli in l’Illustrazione italiana, marzo 1962, è poi stata inserita in De America, saggi e divagazioni sulla cultura americana (Marcos y Marcos, 1999). di Giorgio Manganelli Questa nuova traduzione dell’ormai classico The Catcher in the Rye di J.D. Salinger si fregia in copertina di un disegno di Ben […]