Stregati: la cinquina

E così, “abbiamo la cinquina”. In ordine di preferenze, i libri finalisti al Premio Strega sono La scuola cattolica (Rizzoli) di Edoardo Albinati, L’uomo del futuro (Mondadori) di Eraldo Affinati, Se avessero (Garzanti) di Vittorio Sermonti, Il cinghiale che uccise Liberty Valance (minimum fax) di Giordano Meacci La femmina nuda (La nave di Teseo) di Elena Stancanelli. Di seguito riproponiamo i pezzi che abbiamo ospitato nelle settimane scorse, ringraziando nuovamente gli autori e le testate (fonte immagine).

La scuola cattolica — recensione di Francesco Piccolo

La prima scelta che bisogna fare nel parlare di La scuola cattolica, il nuovo romanzo di Edoardo Albinati, è se occuparsi del fatto che sia lungo 1300 pagine. Sì, esatto, 1300 pagine. Sono tante? Sono troppe? Per un romanzo, si potrebbe rispondere quasi sempre sì. Se si tratta di un tentativo di capire il mondo, o, come nel caso del libro di Albinati, ancora più precisamente un tentativo di trovare un modo di starci, nel mondo, allora no. Allora sono poche. Sono sempre poche.

L’operazione narrativa che ha fatto Albinati, che pure è autore di libri interessanti e/o importanti comeMaggio selvaggio o Vita e morte di un ingegnere, è quasi disarmante per la sua evidente potenza. Ha preso un nucleo intorno al quale ragionare, e da lì ha fatto scaturire invece che un romanzo, una specie di grappolo di narrazioni che di solito nella storia di uno scrittore occupano la vita intera.

Stregati: “Se avessero” di Vittorio Sermonti

Per la serie dedicata ai dodici libri candidati al Premio Strega, è la volta di Se avessero di Vittorio Sermonti, Garzanti. Il pezzo che segue è uscito sul Corriere della Sera, che ringraziamo.

di Cristina Taglietti

Lo definisce «opera ultima», Vittorio Sermonti, il romanzo autobiografico intitolato Se avessero (Garzanti). A 86 anni, questo attore, traduttore, dantista, drammaturgo, romanziere che, nella scrittura come nella pratica culturale, ha attraversato tutti i generi mantenendo sempre integra e riconoscibile la sua voce, fa i conti con se stesso senza rinunciare, ancora una volta, a sperimentare. Il vizio di scrivere si intitolava il volume uscito lo scorso anno da Rizzoli con cui Sermonti riordinava tutte le declinazioni del suo ingegno, che fossero libretti d’opera, versi, lezioni di metrica, o interviste a Giulio Cesare. Con Se avessero siamo decisamente nel regno del memoir e non dell’ucronia come potrebbe far pensare il titolo che, fin dalla prima pagina, viene svolto chiaramente: se tre giovani partigiani entrati con il mitra nel vano d’ingresso del villino al numero 41 di via Domenichino (zona Fiera) di Milano, i primi di maggio 1945 avessero sparato a mio fratello…

Sermonti non immagina realmente un’altra possibilità, anche perché, come conclude nelle ultime righe, quella svolta eventuale avrebbe potuto cambiare il mondo ma nessuno se ne sarebbe accorto. L’episodio assomiglia di più al bandolo di un gomitolo che serve per srotolare i ricordi «in un disordine fazioso e devastato», soggetto agli intermittenti «soprusi della memoria» e l’episodio che riguarda il fratello maggiore, frater maximus (FM nel libro) è una specie di ricorrenza che torna ogni volta che le vie del ricordo sembrano frantumarsi nei tanti sentieri narrativi in cui solo apparentemente lo scrittore si perde.