“Malacqua”, la bellezza senza tempo del romanzo di Nicola Pugliese

«L’acqua scendeva scendeva fuggiva lontano, e da qualche parte si sarebbe pure fermata, con ogni probabilità, ma la cosa non riguardava tutti, no: riguardava soltanto quelli che si sarebbero trovati nel punto dove l’acqua si sarebbe fermata: ma in definitiva: si sarebbe mai fermata per davvero quest’acqua che veniva e veniva?»

In una poesia ho scritto che ogni tanto rileggo Malacqua perché ho bisogno del vuoto, del mistero, di vedere con la grammatica di Nicola Pugliese la linea invisibile che attraversa Napoli. Linea che scava dentro me e mi trova. Perciò il romanzo di Nicola Pugliese da qualche giorno ripubblicato da Bompiani è un libro che trova il lettore e lo porta dove è già stato o dove non è mai stato e le due cose coincidono, ma Malacqua cos’è, che storia ha, da dove arriva? Intanto la parola, che significa acqua cattiva, ma forse malefica, ma forse maledetta, la si può trovare come risposta alle domande: Che si dice Come va? E sarà, ogni tanto: «Uagliò, è malacqua». Le cose non vanno bene.

All’elenco dei grandi misteri dell’editoria italiana va aggiunto di diritto Malacqua di Nicola Pugliese, che faceva il giornalista. Il libro uscì nel 1977 per Einaudi, dietro spinta di Calvino che intuì la bellezza e la novità della scrittura di Pugliese. La storia dice che il romanzo andò a ruba e si esaurì in poco tempo e venne pubblicato poi nel 1978 nella collana Coralli, poi più nulla. Si dice anche che il molto orgoglioso e riservato Pugliese si fece violenza chiedendone a Einaudi la ristampa. Ristampa che non ci fu mai. In tutti questi anni si racconta di ricerche di appassionati tra i librai del centro storico di Napoli, di fotocopie vendute a caro prezzo, di offerte economiche molto elevate per acquistarne una singola copia. Anni di silenzio, fino alla morte di Pugliese (2012). Suo fratello Armando ricevette precise disposizioni dallo scrittore affinché il libro fosse ripubblicato da Tullio Pironti (di recente scomparso, lasciando un altro vuoto in città) cosa che è avvenuta tra lo stupore dell’editore e la gioia di molti, nel 2013. Da quell’anno in avanti, il romanzo di Pugliese è diventato un sacco di cose, è passato di bocca in bocca, è andato in scena in teatro, è stato tradotto all’estero, ha cominciato a essere (o è ritornato a essere) il caso letterario, il romanzo di cui parlare, il linguaggio con cui avere a che fare. La notizia della nuova pubblicazione è sintomo di felicità come lo era l’odore delle alghe ghiacciate per Brodskij. Ogni lettore dovrebbe essere felice di questa notizia, è felice chi – come chi scrive oggi – ha tutte le edizioni, speriamo (e crediamo) sia molto felice chi arriverà a queste pagine per la prima volta.

E dopo il pomeriggio e dopo le prime ore della sera, giunse per lui la notte, con strisce d’inchiostro e squarci improvvisi, il vento che tira su via Marittima, ad angolo con Piazza Municipio, ed oltre, ed oltre, fin dentro il porto ed in salita verso la collina. Questo vento freddo che riporta in alto il fuoco dei bracieri, che ricama nell’ombra della strada.

Malacqua è il racconto di quattro giorni ininterrotti di pioggia nella città di Napoli. Quattro giorni in cui l’acqua, il destino, la paura, le congetture, l’attesa per un accadimento straordinario, la morte e le vite si intrecciano e si sospendono nel vuoto. Vuoto sopra il quale Napoli è costruita e si mantiene. A Napoli, però, non può piovere soltanto. L’accadimento, già di per sé straordinario, non basta, a Napoli c’è sempre qualcosa di più. L’attesa atavica della gente per qualcosa che deve arrivare a salvare o a distruggere. Il vuoto, sul quale la città è costruita, è ricoperto da una fitta trama di aspettative e fatalità. Il tessuto è ugualmente ripartito tra miracolo (qualcosa che venga a salvare) e distruzione (un vulcano che erutti, una guerra, un terremoto). L’acqua che scende ininterrottamente diventa per forza di cose, quasi per necessità, un presagio. La scrittura di Pugliese è stata inserita nel solco della grande letteratura del Novecento, accostata a Kafka, a Joyce, a Garcia Marquez, a Gadda. Paragoni impressionanti ma non fuori luogo.

Come si fa, infine, a raccontare l’ansia che si arrampica deforme, e rantola, e geme, e questa voce che naviga e vola e percorre l’asfalto: sulle mani adesso è scesa a premere la provvisorietà di un sinistro presagio inconcludente che non si spezza nel fulmine improvviso, che non si spezza, e che trascina tuttavia decorazioni rutilanti giù nel liquame dell’ansia. Si continua adesso, si continua, a disegnare assensi sulla vergogna, sulla paura incerta.

Qualche tempo fa ho sognato Nicola Pugliese. L’ho sognato proprio come se fossimo dentro Malacqua, perché eravamo a Napoli e pioveva a dirotto, da ore, forse da giorni, fatto sta che io e Pugliese ci trovavamo a via Foria, sotto lo stesso ombrello. Pugliese mi diceva: «Tienilo tu, che sei più alto». Ma a me non sembrava, infatti ci bagnavamo moltissimo, poi io con gli ombrelli sono impacciato, ma Pugliese questo non poteva saperlo. Pugliese mi diceva: «Mi ricordo tuo nonno, un essere straordinario, una volta che venne a piovere così, mi porto sulla sua bicicletta, mi diede un passaggio. Tuo nonno pedalava velocissimo, sotto la pioggia, io gli dicevo di andare piano, ma lui niente, correva correva. Mi diceva Nicola, Nicola, nun te preoccupa’, c’avimma leva’ ‘a miezz’ all’acqua, pioveva tantissimo come oggi. Tuo nonno mi diceva che dovevamo andare in tutta fretta all’Ospedale delle bambole che stava crollando». Gli domandavo: «Signor Pugliese, e poi che succedeva? E mica lo sapevo che conoscevate mio nonno». «E niente, non arrivavamo in tempo, ma tuo nonno mi regalava una coppola». A questo punto mi sono svegliato, è solo un sogno, ma dice molto su quanto si possa restare impressionati da un libro, quanto di una storia scritta da uno sconosciuto possa arrivare ad appartenerci, a consolarci.

E fermi questi occhi come occhi di bambola con l’impressione della profondità. Come qualcosa andasse in lontananza, fuggire, fuggire.

Il romanzo segnò all’epoca una rottura con tutto ciò che aveva rappresentato Napoli, ma allo stesso tempo ne seppe cogliere ogni sfumatura.  Se si vuol giocare al gioco degli accostamenti, potremmo mettere Malacqua molto vicino a Le intermittenze della morte, e quindi Pugliese accanto a Saramago. Molto simili, infatti, sono le costruzioni dei periodi. Quelle fantastiche catene di frasi incidentali tipiche di Saramago, che così bene si intersecano al senso primario del discorso e allo stesso tempo evocano, ritmano e inseriscono altro, si ritrovano nella scrittura di Pugliese ed è quello uno dei grandi elementi di novità. L’altro aspetto molto interessante è quello della dislocazione dei personaggi e degli stati d’animo, durante l’arco delle quattro giornate di pioggia. Nel primo giorno troviamo lo stupore e le maledizioni per la pioggia, per i danni e per i morti, c’è questo accenno al mistero, all’accadimento straordinario. Nel secondo giorno, sotto la pioggia incessante, si tirano le somme, si fanno congetture, si rafforzano le preoccupazioni, si trovano le bambole. I personaggi vengono sempre indicati prima per cognome e poi per nome, particolare divertente ma che in realtà manifesta la volontà dell’autore di mantenere un certo distacco. I personaggi contano ma non sono i veri protagonisti. La star è Napoli dall’inizio alla fine. Bellissime sono le pagine che, tra il terzo e il quarto giorno di pioggia, tratteggiano le vite di alcuni cittadini, di come queste nella loro normalità o eccezionalità, si intersecano all’acqua che scende e all’attesa. Vite che non si conoscono ma, inevitabilmente, legate. Pugliese, che era nato a Milano, sapeva Napoli meglio di altri, conosceva il vuoto sulla quale si regge, l’aveva capito da subito. Il fatto che questo romanzo circoli di nuovo è, per restare in tema, una specie di miracolo, soprattutto è una questione importante che riguarda la letteratura.

L’augurio è che tutti si innamorino di questa Napoli grigia e misteriosa, che sentano l’inconfondibile musica che nasce dalla prosa di Pugliese, e che è fatta di rumore di passi, di suoni vuoti, di crepitii, voci notturne, voci che non esistono. Una musica fatta di poche parole, di sguardi. Una musica che corre e rimbalza dentro le voragini. Una musica che è essa stessa Napoli.

«Fu appunto in quel terzo giorno di pioggia, il 25 di ottobre, che le monetine da cinque lire presero a suonare».

 

Commenti
3 Commenti a ““Malacqua”, la bellezza senza tempo del romanzo di Nicola Pugliese”
  1. Francesco ha detto:

    ….ma è un libro introvabile o sta per essere ripubblicato?

  2. Francesco ha detto:

    …chiedo venia, correrò presto in libreria ad acquistarlo, visto che ne avevo già sentito parlare come di un’opera unica..

  3. Claudio della Rocca ha detto:

    Stupendo! quel vuoto su cui Napoli poggia.. se Pugliese avesse pubblicato il libro dopo la ipocrita festa di popolo per la recente vittoria dello scudetto ottenuta da una squadra senza napoletani quel vuoto lo avrebbe visto ancora piú profondo e squallido e ci avrebbe forse regalato altre pagine ancor piú ”toste” a voler esser benevoli.

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