Buon 2014 da minima&moralia

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Care lettrici e cari lettori di minima&moralia,

questa è la nostra lettera di ringraziamento per averci seguito durante il 2013 con un’assiduità e una costanza che ci hanno ripagato molte volte delle energie spese quotidianamente in questo blog. In un modo per noi davvero inaspettato, avete fatto sì che minima&moralia diventasse non solo un importante punto di riferimento per il dibattito culturale in rete, ma addirittura uno dei primi quindici blog italiani più seguiti in assoluto.

Sono successe delle cose, quest’anno, che noi stessi avremmo faticato a immaginare persino usando (per una volta) l’ottimismo della ragione. È ad esempio accaduto che un unico post collezionasse in poche ore oltre 30mila contatti unici, che i redattori di minima&moralia si trovassero a chiacchierare (fuori dalla Rete) con lettori fino a quel momento sconosciuti a proposito del contenuto di un post, che un paio di post (anzi ben quattro) collezionassero in poche ore oltre quaranta insulti da parte dei commentatori che meno li avevano graditi, che un importante quotidiano italiano decidesse (per la prima volta) di aprire le sue pagine culturali con un pezzo pubblicato su minima&moralia, che insospettabili rappresentanti del mondo istituzionale ci confidassero o addirittura dichiarassero di essere lettori affezionati di questo blog, che ci arrivassero più proposte di collaborazione di quelle che potremmo accogliere se l’anno fosse fatto di quattrocento giorni, che un post decisamente critico nei confronti di una potente istituzione culturale e politica italiana scatenasse una curiosa e per noi divertentissima reprimenda da parte della consorte della persona fisica interessata regalandoci un meraviglioso Pascale-moment (Francesca, non certo Antonio), che di giorno in giorno ci disperassimo perché, se da una parte tenere in piedi il blog in modo sempre più soddisfacente riduceva le ore di cui era composta la singola giornata e poi la settimana e poi il semestre, dall’altra questo ci toglieva energie per consentire (al blog) di fare il vero e decisivo salto di qualità attraverso ciò che effettivamente ancora manca: un vero finanziatore.

Vi ringraziamo per l’affetto, vi ringraziamo per i consigli, vi ringraziamo per le critiche, e in fin dei conti sappiamo che anche gli insulti fanno parte del gioco. Ma soprattutto vi ringraziamo per l’affetto, i consigli e le critiche.

Consideriamo poi una vera fortuna il fatto che minima&moralia ci consenta di stare in contatto con le firme del blog, le ringraziamo per la qualità degli interventi e soprattutto ci scusiamo qui pubblicamente per ogni volta che l’organizzazione generale del blog (che è più faticosa di quanto a volte potrebbe sembrare) non ci ha consentito di rispondere alle sollecitazioni con la dovuta tempestività e altrettanta qualità.

Per tornare al pessimismo della ragione, care lettrici e cari lettori, sinceramente non sappiamo se riusciremo a fare un 2014 all’altezza del 2013. Sono successe troppe cose belle a questo blog negli ultimi 12 mesi per pensare con realismo di far andare le cose meglio di così. O di non farle andare peggio. In fondo, alle discontinuità in negativo questo lustro ci ha abituati un po’ tutti. Proprio perché tuttavia l’abitudine a questa discontinuità non avrebbe fatto fare a minima&moralia il percorso che ha fatto in circa quattro anni (da quando, diciamolo, uno dei fondatori di m&m, quando il blog non se lo filava nessuno, in una precisa estate durante la quale il suddetto co-fondatore si trovava in un’isola poco distante dal Venezuela, si svegliava ogni mattina e attraversava due chilometri e mezzo di foresta pluviale per raggiungere il primo internet point e aggiornare il blog quasi quotidianamente), cercheremo di fare meglio di quanto accaduto sin qua.

Buon 2014, e ancora grazie.

Valentina Aversano, Alessandro Grazioli, Nicola Lagioia, Christian Raimo

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Pubblichiamo un racconto di Donald Barthelme tratto dalla raccolta Ritorna, dottor Caligari. Traduzione di Claudio Gorlier.

Marie, Marie, tieniti stretta

di Donald Barthelme

Mercoledì 26 aprile Henry Mackie, Edward Asher e Howard Ettle sfidarono un temporale per dimostrare contro la condizione umana (e, Marie, avresti dovuto usare vernice impermeabile; dopo mezz’ora le scritte dei cartelli erano un guazzabuglio). Cominciarono a San Giovanni il Precursore sulla Sessantanovesima Strada all’una e trenta del pomeriggio formando picchetti con cartelli che recavano gli slogan l’uomo muore! il corpo è disgustoso! cogito ergo niente! abbandonate l’amore! e distribuendo inviti per la conferenza di Henry Mackie ai Playmor Lanes la sera dopo. Ci fu molto interesse tra gli astanti nei paraggi della chiesa. Un uomo che disse di chiamarsi William Rochester venne a incoraggiarli: “È così che si fa!”, disse. All’una e cinquanta circa un sacrestano grasso e ben vestito venne fuori dalla chiesa per discutere il nostro diritto di picchettaggio. Aveva un doppio mento che si agitava sgradevolmente e, mi duole dirlo, non sembrava un brav’uomo.

“Va bene”, disse, “ora sgombrate, dovete sgombrare, non potete picchettarci!” Disse che non c’erano mai stati picchetti attorno alla chiesa, che non si potevano fare senza il loro permesso, che il marciapiede era di proprietà della chiesa, e che avrebbe chiamato la polizia. Henry Mackie, Edward Asher e Howard Ettle avevano già ottenuto il permesso della polizia per la dimostrazione grazie a un fortunato senso di previdenza, e lo confermammo mostrandogli il foglio che avevamo ottenuto al comando di polizia. La cosa irritò vivamente il sacrestano, che rientrò brontolando in chiesa per riferire a qualche superiore. Henry Mackie disse: “Be’, preparate il parafulmine!”, e Edward Asher e Howard Ettle risero.

Fra i passanti della Sessantanovesima crebbe l’interesse per la dimostrazione e parecchia gente accettò i nostri volantini e cominciò a fare ai picchettatori domande come “Che volete dire?”, e “Voi giovanotti siete stati educati in seno alla chiesa?” I picchettatori rispondevano a queste domande con tranquillità ma con fermezza e fornivano tutti i particolari che si poteva immaginare interessassero a chi si trovava a passare di lì per caso. Alcuni dei passanti facevano osservazioni sarcastiche – una che ricordo è “cogito ergo andatevelo a prendere in culo” – ma il contegno dei picchettatori fu esemplare in ogni momento, anche più tardi quando la situazione cominciò, secondo l’espressione di Henry Mackie, “a farsi un po’ tesa”. (Marie, tu saresti stata fiera di noi.) La gente cui stanno a cuore i diritti di chi fa picchetti dovrebbe rendersi conto che questi diritti vengono minacciati per lo più non dalla polizia, che generalmente non vi molesta se seguite l’opportuna trafila burocratica vale a dire vi procurate il permesso, ma da individui che vi si avvicinano e tentano di strapparvi il cartello dalle mani o, in un singolo caso, vi sputacchiano. L’individuo che fece questo era, per strano che possa sembrare, molto ben vestito. Che cosa mai poteva avere in mente un tipo simile? Non ci fece neppure domande riguardo alla natura o allo scopo della dimostrazione, sputò soltanto e se ne andò. Non disse una parola. Ci domandammo chi diavolo fosse.

Alle due circa un dignitario assai importante in abito talare nero venne fuori dalla chiesa e ci chiese se avevamo mai sentito parlare di Kierkegaard. Gli pioveva addosso proprio come stava piovendo sui picchettatori ma sembrava non farci caso. “Questa dimostrazione rivela uno spirito kierkegaardiano che io capisco”, disse, e poi ci chiese di trasferire le nostre operazioni in qualche altro posto. Henry Mackie ebbe con questo dignitario una discussione molto interessante di una decina di minuti durante la quale vennero scattate fotografie dal New York Post, da Newsweek e dalla cbs, che Henry Mackie aveva avvisato prima della dimostrazione. I fotografi resero un po’ nervoso l’ecclesiastico ma, bisogna dargliene atto, egli mantenne il suo ipocrita atteggiamento di cortese interesse fino all’ultimo. Disse parecchie cose banalissime tipo “La condizione umana è qualcosa di dato, quello che conta è cosa ne facciamo” e “Il corpo è semplicemente il tempio nel quale dimora l’anima”, che Henry Mackie controbatté con la sua famosa domanda: “Perché deve essere così?”, che ha fatto ammutolire tanti bigotti e pensatori ortodossi e con la quale egli ci aveva conquistati (noi dei picchetti) alla sua causa prima di ogni altra cosa.

“Perché?”, esclamò l’ecclesiastico. Era chiaro che era stato colto alla sprovvista. “Perché è così. Dovete affrontare le cose come sono. Affrontare la realtà”.

“Ma perché deve essere così?”, ripeté Henry Mackie, che è poi la tecnica della domanda alla quale se usata in questo modo non si riesce a rispondere. Una vampata d’ira e di frustrazione percorse il viso dell’ecclesiastico (probabilmente non si è vista sullo schermo del tuo televisore, Marie, ma io c’ero e la vidi, e fu bellissimo).

“La condizione umana è un dato fondamentale”, dichiarò l’ecclesiastico. “È immutabile, fissa e permanente. Sostenere qualcosa di diverso…”

“È precisamente questo”, disse Henry Mackie, “il motivo per cui va messa in discussione”.

“Ma”, disse l’ecclesiastico, “è la volontà di Dio”. “Sì”, disse Henry Mackie in tono eloquente. Allora l’ecclesiastico si ritirò in chiesa, borbottando e scuotendo il capo. La pioggia aveva un poco danneggiato i nostri cartelli, ma gli slogan erano ancora leggibili e comunque ne avevamo degli altri nascosti nell’auto di Edward Asher. Un certo numero di innocenti attraversarono la linea del picchetto per prendere parte a qualche funzione nella chiesa, compresi parecchi che dall’aspetto avrebbero potuto appartenere all’Fbi. I membri del picchetto, all’atto di preparare i loro piani, si erano resi conto del pericolo di essere presi per comunisti. Alla fine si era provveduto per mezzo di volantini ciclostilati che spiegavano accuratamente che i picchettatori non erano comunisti e citavano il passato militare di Edward Asher e di Howard Ettle, compreso il Nastrino al Merito di Asher. “Noi, come voi, siamo cittadini americani rispettosi della legge, che sostengono la Costituzione e pagano le tasse”, diceva il volantino. “Noi ci opponiamo semplicemente al modo spietato in cui la condizione umana è stata imposta a organismi che non hanno fatto nulla di male per meritarla e che non sono in grado di sottrarvisi. Perché dev’essere così?” Il volantino prosegue discutendo, con linguaggio semplice, i vari infelici aspetti della condizione umana compresa la morte, le indecenti e degradanti funzioni corporali, le limitazioni dell’intelletto umano e la chimera dell’amore. Il volantino conclude con la parte intitolata “Che fare?”, che Henry Mackie dice essere una famosa parola d’ordine rivoluzionaria e che delinea, in linguaggio chiaro e semplice, il programma di Henry Mackie per la reificazione della condizione umana fin dalle radici.

Una signora negra si avvicinò, prese uno dei manifestini, lo lesse attentamente e poi disse: “A me sembrano comunisti!” Edward Asher osservò che per quanto chiaramente si spieghino le cose alla gente, la gente si ostina a credere che siete comunisti. Disse che quando una volta a Miami dimostrò contro la vivisezione di animali inermi fu accusato di essere nazicomunista, il che era, spiegò, una contraddizione in termini. Disse che le donne erano in genere le peggiori.

Intanto la grande folla che si era radunata all’arrivo della troupe televisiva si era diradata a poco a poco. Allora i picchettatori spostarono la sede della dimostrazione alla Rockefeller Plaza nel Rockefeller Center servendosi dell’auto di Edward Asher. Qui c’era molta gente che bighellonava, digeriva il pranzo, ecc., e noi usammo i cartelli di riserva che recavano nuovi messaggi fra cui:

perché state fermi dove state?

l’anima non esiste!

basta con l’arte la cultura l’amore

ricordate che siete polvere!

Era cessato di piovere e i fiori mandavano un profumo meraviglioso. I picchettatori presero posizione vicino a un ristorante (vorrei che ci fossi stata anche tu, Marie, perché mi rammentava qualcosa, qualcosa che tu dicesti la sera che andammo da Bloomingdale’s e comprammo un costume da bagno nuovo color ciliegia: “Il colore di un neonato”, tu dicesti, e i fiori erano così, almeno alcuni). Gente con la macchina fotografica a tracolla ci faceva fotografie come se non avesse mai visto una dimostrazione. I componenti del picchetto osservarono tra sé che era divertente pensare ai turisti con le foto della nostra dimostrazione raccolte nel loro album in California, nello Iowa, nel Michigan, gente che non conoscevamo e non ci conosceva e a cui non importava niente della dimostrazione o, se è per quello, della condizione umana vera e propria, nella quale erano così immersi da non potersi sollevare per guardarla e conoscerla quale realmente era. “È una situazione paradigmatica”, disse Henry Mackie, “che esemplifica la distanza tra i conoscitori potenziali che hanno una visione ordinaria del mondo, e la vera conoscenza, che a costoro sfugge mentre perseguono la loro esistenza mondana”.

A questo punto (le due e quarantacinque) i dimostranti furono avvicinati da un gruppo di giovani grosso modo tra i sedici e i ventun anni. Indossavano giubbotti con il cappuccio, magliette, pantaloni attillati, ecc. ed erano molto chiaramente dei traviati che venivano da cattivi ambienti e da famiglie divise ove non avevano ricevuto amore. Circondarono il picchetto con fare minaccioso. Erano più o meno in sette. Il capo (e, Marie, non era il più vecchio; era più giovane di alcuni degli altri, alto, con una faccia particolare, vuota e intelligente allo stesso tempo) si aggirava attorno ai nostri cartelli con ostentata curiosità. “E voi chi siete?”, disse alla fine, “una specie di rompiballe o roba del genere?”

Henry Mackie rispose con calma che i picchettatori erano cittadini americani che esercitavano il loro diritto di dimostrare pacificamente secondo la Costituzione.

Il capo osservò Henry Mackie: “Siete dei finocchi, voialtri. Eh?”, disse. Poi strappò dalle mani di Edward Asher una manciata di volantini, e quando Edward Asher tentò di recuperarli, si allontanò con un balzo e si mise a ballonzolare fuori della sua portata mentre altri due gli sbarravano la strada. “Voi finocchi che cosa credete di fare?”, disse. “Che roba è ’sta merda?”

“Non avete alcun diritto…”, cominciò a dire Henry Mackie, ma il capo dei giovani gli si fece allora molto vicino.

“Che significa, che non credete in Dio?”, disse. Anche altri si fecero sotto.

“Non è questo il problema”, disse Henry Mackie. “Non è in discussione il credere o il non credere. La situazione rimane la stessa, che voi crediate o meno. La condizione umana è…”

“Stai a sentire”, disse il capo, “pensavo che voialtri andaste in chiesa tutti i giorni. Ora mi vieni a dire che i finocchi non credono in Dio. Mi stai prendendo in giro?”

Henry Mackie ripeté che non era questione di fede, disse che era piuttosto il problema dell’impotenza dell’uomo rispetto a una definizione di se stesso che non era stato lui a fissare, che non poteva essere alterata dall’azione umana, e che era in conflitto fondamentale con ogni nozione umana di ciò cui si dovrebbe aspirare. I picchettatori non facevano altro che mettere radicalmente in discussione questo stato di cose, disse.

“Mi stai prendendo in giro”, disse il giovanotto, e tentò di colpire Henry Mackie con un calcio all’inguine, ma Mackie lo schivò in tempo. Comunque gli altri giovani balzarono sui picchettatori, proprio in mezzo al Rockefeller Center. Henry Mackie fu buttato sul marciapiede e preso ripetutamente a calci in testa, a Edward Asher venne strappato di dosso il soprabito e ricevette molti colpi nelle reni e altrove, e Howard Ettle si ritrovò una costola rotta da un giovane chiamato “Cutter” che lo sbatté contro un muro e lo colpì con malvagità nonostante che i presenti tentassero di intervenire (alcuni di essi). Tutto questo accadde molto rapidamente. I cartelli dei picchettatori furono spezzati e fracassati e i volantini sparsi dappertutto. Un poliziotto chiamato dai presenti tentò di catturare i giovani ma quelli fuggirono attraverso l’atrio dell’edificio della Associated Press e lui ritornò a mani vuote. Fu richiesta assistenza medica per i membri del picchetto. Furono scattate fotografie.

“Violenza insensata”, disse più tardi Edward Asher. “Non hanno capito che…”

“Al contrario”, disse Henry Mackie, “quelli capiscono meglio di qualunque altro”.

La sera dopo, alle otto, Henry Mackie tenne la sua conferenza nella sala riunioni al primo piano dei Playmor Lanes, come era stato annunciato nei volantini. Il pubblico era poco numeroso ma attento e interessato. Henry Mackie aveva la testa fasciata con una benda bianca. Tenne la sua conferenza intitolata “Che fare?” con buona dizione e a voce alta. Fu molto eloquente. E l’eloquenza, dice Henry Mackie, è veramente il massimo che ognuno di noi possa sperare di possedere.

 

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Il titolo è la traduzione letterale della prima parte del verso sedicesimo della Terra desolata di T.S. Eliot. [n.d.t.]

Commenti
Un commento a “Buon 2014 da minima&moralia”
  1. monica ha detto:

    Io vi voglio bene, cari minimi e cari morali. Continuate così. Anche un po’ peggio di così sarebbe comunque un blog eccellente. Ma so di potermi aspettare addirittura di meglio, nel 2014. Grazie e buon anno a tutti voi da una lettrice affezionata.

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