C’è chi dice sì e seduce il mondo

Pubblichiamo una recensione di Giorgio Vasta, uscita su Repubblica, su Mabel dice sì di Luca Ricci (Einaudi). (Immagine: Henri Cartier-Bresson.)

«Non lo sai che la parola NO è la parola più selvaggia che affidiamo al Linguaggio?», scriveva in una lettera Emily Dickinson nel 1878. Per Molly Bloom, invece, il senso delle cose si raduna e si esprime nel molteplice e crescente che chiude l’Ulisse di James Joyce. Hermann Melville fonda (e sprofonda) il suo Bartleby sul mitissimo implacabile «Preferirei di no» mentre, ancora, è l’affermazione che scandisce le scelte della voce narrante di Gli esordi di Antonio Moresco (e a ogni sì segue uno scarto, una deviazione, un vuoto).

La sensazione è che nella dialettica sì-no, nella loro fertile contrapposizione, si annidi un senso, la coscienza che tutto ciò che c’è esiste in frizione, in contrasto, e che affermare, negare, consentire e dissentire non sono pure e semplici contingenze bensì prospettive sul mondo. Attitudini. Posture.

La postura di Mabel, protagonista defilata e silenziosa di Mabel dice sì di Luca Ricci (Einaudi 2012), non è semplicemente, come già segnalato dal titolo, affermativa. Mabel non si limita ad acconsentire; lei è, in tutta se stessa e con tutta se stessa, l’incarnazione di chi accoglie.

La consapevolezza di una simile predisposizione oblativa genera stupore, fascinazione e sospetto nel narratore della storia, una figura che sembra esistere all’incrocio tra due diverse esistenze: la prima coincide con un pianoforte (con il suo studio, con il sogno di una carriera da concertista) al quale toccherà di scomparire, venduto, nelle profondità di un vano scale; la seconda esistenza comincia invece presso la reception di un hotel, in un impiego come portiere di notte, sporadiche sortite nel turno diurno, una dimestichezza crescente, da entomologo, con la varia incerta umanità – le chiacchiere dei colleghi, l’arbitrio dei turisti – che si muove tra le camere e la hall.

All’interno di questa microsocietà Mabel risalta come una lacuna, un frammento di vita irrisolvibile che in breve si trasforma in una lieve costante provocazione. Di lei – «Bruna, dall’incarnato chiaro, curve trascurabili. Poco seno, pochi fianchi, nessuno slancio», un candore «così inattaccabile da diventare urticante» – si sa ben poco. Come spesso accade nelle piccole comunità, quello che non si sa lo si immagina o si spia. Nonostante l’anamnesi Mabel resta però indecifrabile, un perturbante che tramite le sue molteplici relazioni erotico-sentimentali agisce come strumento di contrasto. Perché se Mabel – alla lettera «colei che è amabile» – attrae a sé il mondo, la voce narrante si limita invece a osservarlo, il mondo, e a tenerlo a bada. Se Mabel, fisiologicamente, , per il narratore l’unica esperienza disponibile, al limite, è perdere. E dunque, quando il «morbo di Mabel» – una specie di malattia salutare – si sarà definitivamente impossessato di lui, al narratore non resterà che accettare l’idea che l’altro – gli altri – è sempre, nonostante quanto a volte siamo indotti a credere, un nodo insolubile.

Ciò che rende prezioso il romanzo di Ricci facendone qualcosa che si colloca tra l’esplorazione, in forma narrativa, di una specifica etimologia e un vero e proprio apologo sulla enigmaticità costitutiva dei legami, si rivela ancora una volta – come nei racconti di L’amore e altre forme d’odio (Einaudi 2006) e in La persecuzione del rigorista (Einaudi 2008) – nel modo in cui lo sguardo diventa lingua. Mabel dice sì è una narrazione costruita su una voce che ha la forma di un mirino. Leggendo si accosta l’occhio all’oculare di questo mirino, si studiano i fenomeni che inquadra, li si vede risaltare in un nitore acutissimo. La lettura dunque connette piani diversi: la scrittura all’occhio, l’occhio al cervello, retrocedendo verso il nucleo più segreto della nostra coscienza, verso quel minuscolo spazio oscuro in cui i sì e i no – la disponibilità a esserci, l’orgoglio del rifiuto – combattono quello scontro quotidiano che con buona approssimazione chiamiamo la nostra vita.

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