“I libri di Jakub”, il grande viaggio di Olga Tokarczuk

«Se consideri il mondo buono, allora il male diventa un’eccezione, una mancanza, un errore, e non ti torna nulla. Ma se assumiamo il contrario, che il mondo è malvagio e il bene è un’eccezione, tutto ti torna bello e sensato. Perché non vogliamo vedere ciò che è evidente?»

Cominciare dalla fine, o considerare la fine l’inizio, o non dare alcuna importanza alla fine e all’inizio perché tutto sta in mezzo, tutto si attraversa, tutto è un passaggio, un viaggio, tutto comincia ogni volta, tutto finisce per ricominciare in altra forma, spazio, tempo. Un libro che comincia da pagina 1000 (più o meno) fa pensare dapprima a un errore di stampa, poco dopo a un principio ribaltato, dopo un centinaio di pagine all’inevitabilità. La mia copia di Pastorale americana (Einaudi, traduzione di Vincenzo Mantovani) presenta un errore di stampa. Avrei potuto tornare in libreria al tempo e farmela sostituire con un’altra copia, ma non l’ho fatto. Da pagina 316 a pagina 362, il libro è stampato al contrario, per andare a leggere la pagina 317 bisogna voltare il romanzo, andare avanti di 46 pagine e leggere a ritroso fino alla 362. Finito il romanzo ho sempre considerato questa errata impaginazione come un segno del destino. L’ordine sovvertito delle pagine corrisponde idealmente all’ordine che sovverte Roth nelle storie che racconta.

L’ordine invertito delle pagine di I libri di Jakub di Olga Tokarzczuk (Bompiani, 2023 traduzione di Barbara Delfino e di Ludmyla Riba) non rappresenta un errore di stampa, ma rimanda comunque a un’idea di sovversione, al ribaltamento di una delle regole base della stesura di un romanzo: si comincia da pagina 1 e si finisce a pagina X. Nel caso di questo grande romanzo di Tokarzczuk che è suddiviso in tanti sottoromanzi, i libri di Jakub appunto, non si comincia da 1 e quell’ultima pagina da cui si parte non è l’ultima è solo uno dei possibili inizi diversamente numerato. La scrittrice polacca, premio Nobel, non vuole che le sue storie (e quindi le lettrici e i lettori) vadano dalla A alla Zeta ma che procedano in circolo e che si tocchino e si allontanino mentre ci parlano sempre di un’unica cosa: il viaggio. Il viaggio che segna il tempo, il movimento, le epoche, gli incontri, le guerre, la pace, le religioni, le epoche, i rinascimenti, i giorni bui, i miracoli e gli incubi. In poche parole, Tokarzczuk si occupa e fa – costantemente – letteratura.

[…] a Varsavia tutti siano presi da sé stessi e vani. Ognuno fa finta di essere qualcuno che in realtà non è. E la città stessa finge di essere diversa, più grande, più bella e più vasta, mentre è una comune cittadina dalle stradine fangose.

I libri che fanno questo libro, o se preferiamo le parti del romanzo sono: della nebbia, della sabbia, della strada, della cometa, del metallo e dello zolfo, del paese lontano, dei nomi. Non sono già una storia, già un romanzo questi sette titoli? Non accendono già memorie e fantasie solo elencandoli? Non mettono da subito in moto la nostra macchina dell’immaginazione? La risposta è sì, tutte e tre volte è sì.

Jakub Frank è un ragazzo, un giovane ebreo, le sue origini non sono chiare, pare arrivare da un’oscurità. Un giorno decide di partire dal suo villaggio polacco perché ha questa idea di cambiare il mondo, non male come prospettiva.

Siamo circa a metà del ‘700, un secolo di grandi mutazioni, cambiamenti sociali, economici, è tempo di nuove idee, di rivoluzioni, di ampliamenti di prospettive che si aprono davanti agli occhi di chi è curioso e che spalancano a forza quelli di chi teme il nuovo. A Jakub interessano le persone e alle persone interessa lui. Passa da un luogo all’altro, attraversa imperi, come l’asburgico e l’ottomano. Jakub è un seduttore, sa usare corpo e parola, si offre, si dà, ammalia, conquista, la gente pende dalle sue labbra. Sembra il nuovo messia, forse è un impostore, di certo è un curioso, di sicuro è un viaggiatore, un vagabondo – figura che tornerà sempre in Tokarzczuk – con le orecchie attente e gli occhi catapultati sugli incontri. Per lui le persone cambiano vita, dal nome alla religione, dalla casa all’identità. Si annullano per farsi altro.

I carri sono così pieni, così stipati che per fare anche la minima salita molti sono costretti a scendere. I piedi sollevano la polvere perché è un settembre di torrida calura, l’erba ai cigli delle strade è bruciata dal sole. I più numerosi, tuttavia, sono i viaggiatori a piedi; ogni poche miglia si riposano all’ombra dei noci e lì, tra le foglie secche cadute, tutti gli adulti e i bambini si mettono a cercarne i frutti, grandi come mezzo pugno.

Jakub passa rapidamente da capo amato a tiranno, si fa manipolatore, ma in realtà ha sempre manipolato, acquisendo potere usa questa capacità per scopi meno nobili, o per quelli che in fondo ha sempre avuto ma che non conosceva. Il ragazzo vivrà ogni esperienza possibile: lusso, gloria, prigionia, malattia, dominio, solitudine, sconforto, esaltazione, magnificenza. Ogni cosa. Non si negherà mai niente, non cederà di un millimetro, continuerà sempre il suo viaggio che è fatto delle persone che incontra e cambia, della terra che calpesta, del gioco che mette in piedi. Nel vortice di Jakub verranno trascinati tutti, la sua famiglia, il popolo che ha formato via via. Ognuno, che si tratti di un innocente o di un opportunista, di un reietto o di un borghese, resterà con lui fino alla fine del viaggio, anche se dovesse diventare un incubo, anche se alla fine non dovesse che esserci la morte.

Debilitato ed esausto al punto da non riuscire nemmeno a stare seduto, detta lettere alla machna di Varsavia, la sua amatissima comunità. Li esorta a essere forti come un albero che, nonostante i venti ne scuotano i rami, rimane sempre fermo. Devono rafforzare i loro cuori e rimanere coraggiosi. Termina la lettera con le parole “Non abbiate timore di nulla”.

Jakub Frank è esistito davvero ma tra le mani di Olga Tokarzczuk diventa un meraviglioso personaggio, e soprattutto un oggetto letterario, uno strumento per raccontare un’epoca di transizione. Tokarzczuk individua Jakub perché è il viaggiatore che può andare incontro al coro, che le consentirà di mettere in scena una grande commedia umana che ondeggia dal fatto piccolo a quello straordinario, in cui anche la piccola comparsa non avrà mai un ruolo marginale. In Tokarzczuk vince il linguaggio, l’uso della parola nello spazio, e pare che i fatti accadano perché le parole li fanno accadere; non raccontano la vicenda ma la decidono. Tokarzczuk è una grande indagatrice dell’animo umano, le interessano – le sono sempre interessati – gli scarti, le transizioni, gli attraversamenti, le storie che fanno la Storia, i confini che sono mobili, dapprima insormontabile e l’attimo dopo destinati a cadere. I libri di Jakub è il suo primo romanzo e con questo modo di scrivere tanto affascinante, così ricco di figure, parole e silenzi, pare dirci che il futuro è il viaggio, e che pure lo è sempre stato, bisogna sempre contare i passi dall’inizio per capire dove andare, per seguire Jakub o abbandonarlo lungo la strada.

 

Commenti
Un commento a ““I libri di Jakub”, il grande viaggio di Olga Tokarczuk”
  1. alberto ha detto:

    Grazie della bella recensione, penetrante, ben scritta. Ma, per una svista, senz’altro, dici alla fine “è il suo primo romanzo”. Certo intendevi altro.

Aggiungi un commento