Dopo le primarie. Al Sud il PD sarà la nuova DC?

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La vittoria di Bersani alle primarie del centro-sinistra, di buon margine su Renzi nelle regioni del centro-nord, è stata invece schiacciante nel mezzogiorno: in Campania il 69%, in Basilicata il 72%, in Puglia il 71%, addirittura il 75% in Calabria per riassestarsi in Sicilia su un 67% che è comunque più di quanto Bersani abbia ottenuto nella regione settentrionale che gli ha dato i maggiori consensi, la Liguria con il 65%.

Per comprendere l’exploit meridionale del segretario del PD bisogna fare un passo indietro, e tornare al confronto dello scorso 12 novembre tra i cinque iniziali aspiranti leader, gettati da SkyTg24 in ciò che sembrava un acquario stile XFactor per poi nella sostanza rivelarsi la più dolce delle acquasantiere. Ci riferiamo ancora al famigerato Pantheon della sinistra che Renzi si è affrettato a delocalizzare (Mandela e l’attivista tunisina Lina Ben Mhenni) e gli altri hanno invece portato più tradizionalmente sull’altra sponda del Tevere, tirando in ballo De Gasperi (Tabacci), la partigiana dell’Azione Cattolica Tina Anselmi (Puppato), un indeterminato papa Giovanni per Bersani (e dunque tutti i ventuno che hanno portato questo nome a dispetto dell’errore di numerazione pontificia), per finire con la più deludente e rivelatoria delle uscite, quella di Vendola.

Il governatore della Puglia, il laureato in lettere con una tesi su Pasolini (“la storia della Chiesa è una storia di potere e di delitti di potere”, tuonano gli Scritti corsari) che poi sarebbe anche stato il mio candidato di riferimento, si è proclamato per un esponente delle alte gerarchie ecclesiastiche dando (volente o no, poco mi interessa) a tutto il popolo meridionale un’indicazione ben precisa. Le parole “Cardinal Martini” – degno completamento del pensiero di Bersani, nonché un suo mezzo assoggettamento ideale – sono tanto più importanti perché celano un altro nome, l’unico (escludendo il Gramsci citato da nessuno) che Vendola avrebbe dovuto fare e non ha fatto: Giuseppe Di Vittorio. È in giochi delle due carte come questo che un emisfero della memoria novecentesca meridionale si oscura mentre l’altro (contagiosissimo, tanto da far passare la soglia elettorale del 70%) si illumina d’incenso e tira un gran sospiro di sollievo: “ah, finalmente è tornata la DC!” Segue la commozione televisiva di Bersani in ricordo del suo parroco di Bettole. Quanto basta, perché l’usignolo della chiesa cattolica risuoni a Trani come a Caserta, a Siderno come a Pisticci. E a Bari, a Napoli, a Reggio Calabria. Forse a Palermo.

Giuseppe Di Vittorio – che era di Cerignola, settanta chilometri da dov’è nato Vendola ­– è stato non il parroco ma il liberatore di almeno due generazioni di lavoratori. Fu lui, il figlio di un bracciante agricolo morto sul lavoro, l’analfabeta istruitosi da sé ai valori di un mondo che non esisteva ancora, a riscattare i contadini del sud dalle condizioni di semischiavitù in cui vivevano anche dopo la II guerra mondiale, e poi – a capo di una CGIL non a caso in durissimo conflitto con il Togliatti troppo nostalgico dell’hotel Lux per biasimare i fatti d’Ungheria – a condurre in modo pacifico le lotte operaie in un paese che prendeva la via del boom.

La cosa singolare è che, al sud, il nome di Di Vittorio fa oggi scattare in piedi per togliersi il cappello anche non pochi piccoli e medi imprenditori con l’età per ricordare. È meno di un rispecchiamento ideologico (si tratta di gente che non di rado ha votato a destra), ma è per questo molto di più. Si tratta cioè dei figli di quegli operai e quei contadini riscattati dai Di Vittorio, i quali figli, trenta o quarant’anni fa, si sono magari inventati una fabbrica di materassi tra i rilievi della Sila, un mobilificio nel Tavoliere, un’industria tessile tra Nola e Marigliano spinti dal boom ma mossi ancora più in profondità proprio dall’idea che un riscatto fosse possibile, che non fosse cioè miseramente realizzabile la sola idea di vivacchiare, ma proprio di sollevarsi (in modo molto percepibile) dalle condizioni di partenza. Insomma: cambiare le cose.

La sinistra che ha vinto le primarie avrebbe potuto opporre alla new left con troppa poca storia alle spalle di Renzi la sua migliore tradizione: quella eretica. Con papa Giovanni e il cardinal Martini da una parte, e – per dirne un’altra – la devozione di Rosario Crocetta ben ventilata nella campagna elettorale per la Regione Sicilia dall’altra (tutti troppo cattolici per essere anche cristiani, questi del PD), è passato un messaggio più vicino all’apparato, che il resto d’Italia non ha disdegnato ma che in un sud strangolato dalla crisi e tradizionalmente più incline a credere nei salvataggi dell’ultimo momento (coi De Mita e i cardinali) che nei cambiamenti (coi Di Vittorio), ha fatto letteralmente presa.

“Non vi faremo perdere quel poco che vi è rimasto, saremo degli ottimi curatori fallimentari, fidatevi di noi!”, è stato il messaggio percepito. Meglio un uovo oggi…

La sicurezza in luogo del ribaltamento. E un buon senso troppo sornione per non giocare sulla parete con le ombre di una qualche Balena Bianca. Per questo i più lontani dalla realtà sono quelli del «Giornale», che dopo le primarie hanno titolato in prima pagina: “Restano comunisti”. “Tornano democristiani” sarebbe stata una più innocente evasione da via Negri. Speriamo solo che il PD non sia più papista dei fantasmi di piazza del Gesù. E che da eventuale presidente del consiglio, Pier Luigi Bersani, parafrasando il De Gasperi cui la ragion di stato diede il coraggio per scontentare Pio XII, un giorno possa dire: “proprio a me, un povero comunista della Bassa, è toccato di dire di no al papa sull’IMU!”

Commenti
17 Commenti a “Dopo le primarie. Al Sud il PD sarà la nuova DC?”
  1. Vaniuska ha detto:

    parole sante (per restare in tema)

  2. Federica ha detto:

    “…le innocenti evasioni da via Negri..” è di una perfidia nei confronti di Sallusti che solo uno scrittore poteva avere così…

  3. lupo ha detto:

    democristiani, giusto: è che a loro interessa vincere come fine, non come mezzo

  4. Federico Platania ha detto:

    Mi sembra limitante vedere in Carlo Maria Martini solo un “esponente delle alte gerarchie ecclesiastiche” e non anche (e in modo prevalente, secondo me) un elemento di forte dissenso, un portatore di scissione, nell’ambito di quelle stesse gerarchie.
    Che è proprio il motivo, per come la vedo io, per cui Vendola lo ha citato come figura principale del suo pantheon.

  5. Francesca ha detto:

    teoricamente, l’unico candidato un po’ più vicino al mio sentire che avrei potuto votare alle primarie è Vendola. nella pratica, non me la son sentita di andare a votare.
    ripenso ai tempi della primavera pugliese. correva l’anno 2005. e tra i riferimenti ideali di Nichi c’era Di Vittorio.
    ora, sembra una vita e mezza fa.

  6. Vaniuska ha detto:

    Federico il fatto che Martini abbia significato “dissenso”, e sia stato un portatore di scissione, nell’ambito delle gerarchie ecclesiastiche lo rende sicuramente una figura di riferimento per un possibile dialogo con i cattolici. Ma non un punto di riferimento per la sinistra: che sia arrivato a tematizzare questioni come l’aborto, l’eutanasia, a nominare perfino la possibilità del matrimonio fra omosessuali me lo rende simpatico ma oggi francamente nel mio pantheon (e lasciamo perdere la domanda in sè) preferirei trovarci Gianni Rodari, Mario Lodi, Franco Basaglia, che ne so Rossi Doria, non necessariamente un politico ma neanche un prete

  7. Mario ha detto:

    Va bene anche il cristianesimo. Ma appunto non necessariamente il cattolicesimo. E comunque: poteva dire San Francesco, no?

    Lo stesso principio per cui è assurdo dare il Nobel per la pace a pur stimabili personalità come Obama. E’ proprio un sensato gioco delle parti. Quando diventi un uomo di potere, per quanto rispettabile, non puoi anche essere per forza di cose un grande modello culturale. Devi ispirarti, a grandi modelli culturali.

    Ci sono eccezioni e sono pochissime, come quella di Gandhi. Ma lì siamo proprio in odore di santità, è un’altra faccenda ancora…

  8. LM ha detto:

    Lagioia, la faccenda a mio modesto avviso è un po’ più complicata di come la metti tu. I riferimenti secondo me non casuali a Giovanni XXIII e a Martini sono da ricondurre alla oramai secolare lotta chiesa massoneria, se vuoi alle dinamiche conservazione-progresso.Tutti e due i prelati, infatti, vengono ritenuti vicini agli ideali massonici: il primo viene considerato dai clericali più estremisti addirittura un antipapa, per via del Concilio Vaticano II, assai osteggiato a tutt’oggi, nella chiesa, perché ritenuto progressista e funzionale agli interessi materiali-massonici che avrebbero portato a un’eccessiva secolarizzazione (a partire dal teologo restauratore Joseph Ratzinger, che anche recentemente si è espresso così: “Nei decenni trascorsi dal Concilio Vaticano II è avanzata una progressiva desertificazione spirituale”); il secondo, per il suo rigore critico di laicista, di sostenitore della separazione dei poteri Stato-Chiesa, che lo manteneva in una posizione quanto più lontana dall’esercizio del potere temporale della chiesa, nonché dei suoi satelliti (comunione e liberazione, per intendersi). Sicché è capacissimo abbiano voluto mandare, a tanti snodi di potere che agiscono nell’ombra, messaggini rassicuranti, inside e outside, circa i loro intenti politici anticlericali, strizzando certo l’occhio anche al popolino, che in fondo la scheda nell’urna ce la deve mettere lui…

    Oh, può darsi anche che la questione sia più terra terra… però ho capito che la politica è un’arte strana, dove sembrare cretini conviene, ma esserlo è totalmente deleterio (al contrario delle arti classiche, dove essere cretini, oramai, dovendo render conto solo al popolino dagli schermi della tv, ti dota di un certo vantaggio)

  9. sergio garufi ha detto:

    totalmente d’accordo con lagioia

  10. girolamo de michele ha detto:

    Nicola, come sempre fotografi uno spicchio di Puglia per parlare del Paese intero. Te la butto lì come fosse una sciocchezza, e invece è la cosa per me più importante: possiamo accettare una politica dove conviene fingersi ingenui, cioè fingere di non vedere l’uso iagolesco (da Iago, l’antagonista di Otello) delle parole e dei linguaggi raccontandoci che è “a fin di bene”? Possiamo non essere parresiasti per non passare per “quelli capaci solo di dire no”? Possiamo, in altre parole, far finta che il Governatore Vendola sia lo stesso Vendola che avevamo sperato governatore, nelle cui promesse avevamo creduto? E continuare a dirci che è un’alternativa a questa politica?

  11. Nicola Lagioia ha detto:

    …non so. A volte mi viene solo da pensare che il contesto della politica italiana sia talmente simile a un abisso di superficialità da schiacciare (come le sonde sottomarine oltre un certo limite) le paratie interiori di chi se ne avventura. Non inizi a parlare per bocca del compromesso (nel senso deteriore, essendoci anche compromessi salvifici, in politica) perché ti sei venduto esplicitamente a qualcosa o per aver contratto chissà che patto segreto, ma per una semplice questione di struttura personale. Se non è fortissima quella (considerata, per rimanere nella metafora, la “pressione” di un ambiente insalubre come quello della nostra politica) allora ti incrini e cedi. Bisogna forse ambire a essere dei santi o dei cretini (CB) non tanto per resistere ma per essere già definitivamente qualcuno prima di entrare in politica. Attraversata quella soglia, se non avevi un’identità già risolta da prima (e quella di un santo o di un “cretino” va bene) inizi a perdere colpi, e poi parlare per bocca delle tue precedenti debolezze o tic o nevrosi o frustrazioni, e poi non sei perduto a meno di non rischiare (ma davvero) di distruggerti nel tentativo di ritrovarti.

  12. Nicola Lagioia ha detto:

    volevo in coda ovviamente scrivere “sei perduto”

  13. Vaniuska ha detto:

    non so, mi sa che hai ragione, io per dire sono entrata in politica con un’identità già risolta quantomeno in ambito #pantheondiriferimento eppure l’ (auto) distruzione è dietro l’angolo di ogni passo ammnistrativo, ma allora davvero che fare? cfr.

  14. Eva ha detto:

    Va però detto che Nichi Vendola non ha mai fatto mistero neanche in precedenza dell’influenza cattolica sul suo pensiero: ha sempre rivendicato con orgoglio il fatto di aver avuto per maestro don Tonino Bello, ad esempio. Certo, sul piano mediatico, ora è più “cool” richiamarsi al cardinal Martini, ma questo non cambia la situazione di fondo: l’humus culturale su cui è cresciuto il giovane Nichi, un misto di comunismo e cattolicesimo, era noto a tutti coloro che lo hanno votato (me compresa), ma forse è anche in virtù di questo che a molti è apparso come un’alternativa più credibile, ad esempio, di Boccia, l’antagonista che D’Alema volle a tutti i costi piazzargli di fronte nelle primarie pugliesi. Questo “dualismo” della formazione di Vendola appare a molti come l’unica alternativa possibile alla totale deriva a destra della “new left” renziana, ma anche, ahimè a una certa mancanza di spessore di Bersani. E poi, inutile nascondercelo: va recuperato il consenso di quell’elettorato cattolico allo sbando dopo la deflagrazione delle destre e ancora incapace di guardare a sinistra, per timore di quei mostri che mangiano i bambini.
    Poi, certo, resta ancora da capire fino a che punto Vendola sia disposto al compromesso e, soprattutto, a che tipo di compromesso.

  15. girolamo de michele ha detto:

    Però, Eva: come fanno a stare insieme il cattolicesimo del cardinal Martini, e la “visione cristiana della vita” che Vendola non solo riconosceva a Emilio Riva nel 2010, ma sulla quale dichiarava di fondare una “stima reciproca”? E a quell’elettorato che votava a destra e oggi è allo sbando (ma siamo sicuri che si allo sbando, e non sia già pronto all’incasso presso un nuovo venditore), che cosa gli diamo di quello che, legittimamente, richiederà? Una ben confezionata menzogna sulla compatibilità di salute e lavoro, a Siderlandia, cioè a Taranto? E allora cos’è che fa la differenza? Che gli uni mentono, e gli altri sono “diversamente sinceri”? Ma facendo così, non saremmo noi a mentire per primi, a noi stessi? E se noi siamo i primi a mentire, con che diritto chiediamo una politica “diversa”?

  16. Eva ha detto:

    Credo che ci siamo capiti, Girolamo. Abbiamo scommesso su Vendola perché rispondeva meglio, tanto meglio di altri alle istanze di rinnovamento di cui era affamata la Puglia (non era troppo difficile, del resto, di fronte a uno scenario che includeva il dalemiano Boccia prima e l’improponibile Fitto poi). Pur rimaneva quell’ombra di matrice cattolica che lasciava perplessi i più “estremisti”. Nel momento in cui abbiamo votato per lui, in parte abbiamo accettato di correre il rischio che questa doppia sensibilità che incarnava potesse sconfinare in qualcosa di più magmatico, piuttosto che costituire una risorsa. Ora che le ambiguità della sua gestione si stanno moltiplicando, non posso fare a meno di chiedermi se di tutto questo, per forza di cose, non sono già un po’ complice per il semplice fatto di aver voluto scommettere. è pur vero che il quadro alternativo a Vendola era ben più desolante e il problema rimane anche su scala nazionale: ti guardi intorno e non puoi fare a meno di chiederti quali grandi colpe puoi aver commesso nelle vite precedenti per trovarti ora in questo girone infernale, tutto italiano, che non sembra prevedere vie di uscita, mentre le avances dell’astensionismo si fanno sempre più suadenti e gli argomenti per respingerle sempre più risicati.

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  1. male impotence ha detto:

    male impotence…

    Dopo le primarie. Al Sud il PD sarà la nuova DC? : minima&moralia…



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