Mostar 1992-2017

Questa intervista fa parte di un reportage uscito lunedì sul Messaggero.

Dzenana Dedić è nata a Mostar cinquantuno anni fa. Durante la guerra le hanno bruciato la casa, che era situata a pochi passi dall’ufficio in cui lavora, ed è stata espulsa nella parte est della città, ma non l’ha mai lasciata. Ricorda la fila delle macchine che nel 1992 abbandonarono in fretta e furia Mostar all’arrivo dei carri armati dell’Armata popolare jugoslava. E poi l’inferno che ha distrutto la città, la cosiddetta seconda guerra di Mostar, nel 1993 quando è deflagrato lo scontro tra bosgnacchi e croati. «Non mi abituerò mai alla spartizione su base etnica di un luogo che rappresentava ante litteram il multiculturalismo, la conversazione tra diversi – dice Dedić –. Eravamo una storia cosmopolita plurisecolare culturalmente rilevante, stiamo riscrivendo tante piccole storie insignificanti».

Nel biennio 1994-’96, fondamentale per la ricostruzione, Dedić è stata una figura di raccordo nei dipartimenti dell’European Administration for Mostar e ora guida la Local Agency for Democracy. Proprio nel 1996 si tennero le prime elezioni. A ventidue anni dalla fine della guerra Mostar vive uno stato di democrazia formale, una democratura l’avrebbe definita Predrag Matvejević.