“Carbonio” e “Fraternité”, a teatro due cosmogonie del lutto

di Mario De Santis

Pier Lorenzo Pisano, regista e autore di cinema e teatro, ha scritto e dirige “Carbonio”, opera che è tornata in scena al Piccolo Teatro fino al 26 febbraio (dopo aver esordito sempre alla Sala Melato, lo scorso anno ma con vari ritardi e problemi covid) e sarà poi a Napoli dall’11 al 23 aprile al Teatro Bellini). Si tratta di un testo per due personaggi e una “voce” narrante che si spartiscono in alternanza la scena. La “voce” sta ai bordi (è un terzo non-personaggio, performato dallo stesso Pisano). Si tratta di un’opera ambiziosa e composita, sicuramente stimolante del giovane autore (nato nel 1991) che mescola due nuclei: uno di ascendenza sci fi e l’altro da divulgazione scientifico-storica, partendo dalla missione della sonda Voyager lanciata nel 1977.

“Carbonio” sembra ibrido tra il novel-saggio e una performance, comunque ben sostenuta dalla  sempre molto brava Federica Fracassi con l’ottimo Mario Pirrello. I due interpretano “A” e “B” una donna inquirente e uomo che è entrato in contatto con gli alieni. La donna (personaggio A) vuole scoprire cosa è accaduto, cercando e scavando nella memoria incerta di B,  che ha anche postato l’evento  sui social e ora si confonde tra memoria digitale e reale. La donna punta a scoprire – tra seduta terapeutica e interrogatorio – un quid essenziale dell’incontro. Lo incalza, l’uomo è confuso e prostrato, aveva in precedenza perso in un incidente la figlia, ma afferma ad un certo punto che per lui la bambina è viva. Per la donna, gli scienziati e le generiche autorità che stanno “dietro” quel colloquio blindato, il contatto ravvicinato è determinante: la nostra civiltà è “in pericolo..se non riusciamo a identificarci in loro, e non sappiamo cosa vogliono da noi” dice la donna.

C’è una connessione, nell’invenzione di Pisano, tra l’ alterazione della realtà e del tempo che l’uomo vive rispetto alla morte della figlia e gli alieni. Il ping-pong di domande, attorno a un tavolo rotondo che ruota, dentro un  cilindro di luce, esso stesso sorta di tubo sparato nel buio spaziale: il tavolo trema, il dialogo serrato, la tensione, accentuata da questo ring circolare con variazioni luminose –  scenografia di Marco Rossi e le luci di Gianni Staropoli – al centro dello spazio circolare della Sala Melato. Un match interrotto come per la boxe, dall’altro nucleo drammaturgico, fatto da quadri  scenici (con tanto di immagini) in cui Pisano, la “voce”, mostra e racconta il  materiale informativo, iconico e simbolico e musicale che fu caricato nei “Golden Records” installati a bordo del Voyager a dialogare con eventuali forme di vita intelligenti. Pisano descrive con ironia le effettive scelte bislacche della Nasa per rappresentare “l’umano” agli alieni, mettendone in luce, nell’ottimismo pacchiano nell’entreprise spaziale, che il presente planetario è molto più incerto e gli umani rischiano l’estinzione.

Il titolo dello spettacolo fa riferimento alla scienza, alla fisica e chimica, e al suo dato semplice e sconfinato: siamo fatti della stessa sostanza della materia dell’universo, come scrive Mario Tozzi nella prefazione al testo di Pisano edito dal Saggiatore, sia essa organica o inorganica ovvero fondamentalmente di Carbonio. Non siamo superiori o speciali come Sapiens, anzi l’Homo Deus ha trasformato la sua intelligenza in distruzione della Natura e di sé stesso, nella breve epoca dell’Antropocene (se comparata con i miliardi di età del pianeta e della vita).

Nell’invenzione di Pisano che mescola in modo suggestivo la scienza e certe sue ipotesi che sconfinano con la Sci Fi, il Carbonio è il punto di contatto ravvicinato tra il nostro sentire psichico, la nostra intelligenza emotiva e la materia. Su questo gli alieni sarebbero capaci di intervenire. Gli umani sono in una strana posizione: stanno comprendendo che i Sapiens scompariranno, che il Carbonio – come dice la Voce in scena,  “vuole restare” e fare il “salto, trasferire la coscienza dalle forme organiche a quelle inorganiche” sognando il silicio e l’intelligenza artificiale, ma non riescono a invertire la tendenza. Lo stanno testimoniando anche in questi giorni i dibattiti su ChatGpt, ed è quello che è in gioco negli studi di  quantistica, neuroscienze e programmazione dell’Intelligenza Artificiale.

Pisano condensa tutto ciò nel fatto che per B gli alieni possano rendere reversibile il lutto. Gli alieni hanno modificato il suo sentire ed essere, a partire da questo dolore, come collocandolo in più dimensioni, rendendo concrete quelle che ancora sono controverse ipotesi teoriche tra i fisici quantistici: che ci siano moltimondi paralleli (e in uno di questo la figlia sarebbe viva, come il gatto di Schroedinger era insieme vivo e morto). La donna A è interessata a questa possibilità di modificare lo spaziotempo e riparare così la realtà che è su più livelli paralleli, ma solo se ci consegniamo a loro. Non solo il lutto personale, ma anche quello che sembra il destino irreversibile di distruzione della civiltà umana.

C’è una continuità, va notato, da parte del Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa, sotto la direzione di Claudio Longhi, e che ha prodotto “Carbonio”, così come sta scommettendo su nuove autorialità giovani,  nel costruire un percorso di opere teatrali attente a proporre una riflessione artistica sui destini dell’ambiente e del rischio per il Pianeta,  a partire dall’invenzione narrativa. Ricordiamo dalla scorsa stagione ad esempio “Uno spettacolo per chi vive in tempi di estinzione” su testo dell’inglese Miranda Rose Hall reinterpretato dalla compagnia lacasadargilla con la regia di Lisa Ferlazzo Natoli e soprattutto un mese fa Fraternité, un conte fantastique con la regia di Caroline Guiela Nguyen, spettacolo (con un eccezionale gruppo di attori e forse una regia un po’  disarticolata, ma interessante)  che ruotava attorno a temi simili (produzione Festival d’Avignon, Les Hommes Approximatifs con numerosi co-produzioni di teatri europei).

Nel testo della autrice franco-vietnamita, c’è egualmente al centro la perdita di affetti, come per il personaggio B di Pisano, creando in tutte e due la scintilla di come creare un nuovo senso dell’abitare nell’universo, che chiamerei una cosmogonia del lutto: Nguyen infatti immagina un gruppo di superstiti ad una terrificante eclissi che ha fatto scomparire nel nulla metà della popolazione,  che in un centro di assistenza psicologica curano questo tempo sospeso tra presenza e assenza definitiva dei cari (forse vivi, nello spaziotempo) mandando loro videomessaggi. Non solo: la pulsazione del loro dolore, misurata nei battiti del cuore è connessa proprio alla possibilità che il tempo si espanda ancora e l’universo non collassi nel buco nero del loro lutto. Nel centro di supporto alle vittime della sparizione si alternano storie, drammi, nostalgie, attese per chi potrebbe tornare.

Se in Pisano gli Alieni arrivano, nel testo di Nguyen gli Scomparsi sono dipartiti in attesa che ritornino, intanto compaiono come fantasmi digitali su uno schermo in funzione di voci che narrano la storia. Nguyen immagina la possibilità per gli umani di poter rimettere in moto l’universo, anche qui passando dal dolore e dal lutto, riparato cancellandolo con un fantascientifico cardio-rilevatore.

Sia Pisano che Nguyen scrivono una sorta di conte philosophique di ascendenza illuminista,  che solleciti la consapevolezza sulla necessità di cambiare i paradigmi con cui ci raccontiamo la  realtà e agiamo in essa. Nguyen costruisce una complessità che, come  per “Carbonio”, non aiuta per la fluidità. L’opera di Pisano chiama anche in causa un’ “archeologia della speranza cosmica” novecentesca che dagli anni 60 delle missioni Apollo era ancora viva nel 1977 (oltretutto l’anno di Close Encounters of the Third Kind di Spielberg). Sono tuttavia spettacoli che offrono, nel destino sconclusionato del Voyager, ora nomade alla deriva nello spazio, così come nel destino degli Scomparsi che vagano come naufraghi in “Fraternité”,  un interessante nodo tra memoria e nostalgia personale, destino umano, destino planetario – e non a caso dal punto di vista del teatro, fanno molto leva sull’empatia dell’ottima prova degli attori in entrambi i casi. Oggi, mentre il Voyager, dimenticato e nomade vaga a 23 miliardi di chilometri, rottame in forma di Stele di Rosetta spaziale, siamo  alle prese con la distruzione del pianeta Terra e alla “guerra dei mondi “ si è sostituita quella interna, la Guerra del Carbonio (a ridicolizzare la vecchia fantascienza ottimistica a un certo punto in “Carbonio” compare anche un alieno con la più ovvia e quasi vintage forma di rettile).

In particolare, “Carbonio” benché testo dalla geometria non lineare (inevitabile)  punta a una chiave simbolica: l’incontro con l’alieno è per noi come l’incontro con la scienza: le scoperte ci sembrano spiazzanti, ma in realtà adottandone le conseguenze ci sono possibilità reali e non solo fantastico-psicologiche, di modificare la visione della realtà, oltre il pur necessario  “racconto che cura”.

Sembra di stare in quella zona concettuale che fu anche del film A.I. (regia di Spielberg che terminò il lavoro di Stanley Kubrick) verso la fine del film, quando compaiono i “Mecha” creature evolute dalla robotizzazione e AI stessa, che ritornano sul pianeta distrutto 8sono passati migliaia di anni) esseri-non umani, ma pura intelligenza, interessati ad entrare in contatto col bambino-non-umano  che però conserva   le tracce di qualcosa irripetibile e che interessa moltissimo ai Macha: i ricordi, le emozioni che “provava” ( Come è noto di recente un ingegnere di Google ha sostenuto, lanciando un allarme, dopo il quale la Alphabet lo ha licenziato, che l’intelligenza artificiale a cui stava lavorando era diventata “un soggetto” autonomo).

La stessa chiave emotiva  (il dolore che gli uomini provano) che in “Fraternité “ regolava l’espansione dell’Universo e il fluire del tempo. Non è un caso che – come scrive nel suo fondamentale “Sentire ed essere” (Adelphi) di Antonio Damasio – nonostante i progressi delle neuroscienze, ciò che ci fa sentire di essere il “noi stessi”, anche prima di dire o razionalizzare un “io sono” linguistico, il sentire che siamo nella pulsione del “bisogno di chiederselo” ed questo ancora un punto ignoto, studiato e carico di conseguenze anche proprio la AI che ha un punto ancora debole: può rispondere a tutte le domande, ma non “si fa domande”, non è spinto a chiedersi quel che potremmo sintetizzare in “cosa ci faccio qui” ma che costituisce, detto in soldoni, proprio quel “salto” del Sapiens dentro il pensiero astratto e mitopoietico (vedi il libro di Ferrara “Il salto”, Feltrinelli) e che ha fatto di questa specie una paradossale specie unica ma anche fragilissima in questa capacità di sapere e illudersi di dominare la natura.

Tuttavia c’è in questa pulsione e sentire come un rinnovarsi del ricordo di un futuro possibile, di una creazione a venire, connessione regressiva e insieme propulsiva che appartiene alla specie Sapiens, che è prioria del Carbonio, così come è propria della specie dannata da una domanda da Homo Deus, la domanda che ci ha portato sia a scoprire che ad alterare la Natura, che ci ha portato a chiedersi sempre e  “ancora” (parola finale del testo di Pisano) la stessa questione: “che cosa è questo?”.  E forse gli alieni sono venuti animati da una loro curiosità a capire come facciamo a chiedercelo e perché.

 

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