Questo giorno che incombe: il nuovo romanzo di Antonella Lattanzi

Questo pezzo è uscito su Tuttolibri de La Stampa, che ringraziamo

di Nicola Lagioia

L’Overlook Hotel era stato costruito su un cimitero indiano, dunque sulla storia rimossa della terra che lo ospitava, il vero trauma infantile di un paese giovane come gli Stati Uniti. Ma cosa succede se, nel Vecchio Continente, un moderno condominio viene costruito sul vuoto e sull’assenza? Quasi totale vuoto storico (un reticolo di strade che – in mancanza di un ancoraggio più profondo con il passato – portano il nome di personaggi dello spettacolo del secondo Novecento) e quasi totale vuoto spaziale (un’area non meglio definita oltre la Cristoforo Colombo e l’Eur, un non-luogo poco distante dal luogo storico per eccellenza). È in questo condominio ridente sin dal nome – Giardino di Roma – e alleggerito in apparenza da ogni ombra, che vengono ad abitare Francesca e Massimo, appena trasferitisi da Milano insieme alle loro figliolette, Angela ed Emma. I vicini di casa sono cordiali, il clima sereno, i conflitti quasi inesistenti, la vita scorre placida e felice. Ma poiché più neghiamo i nostri lati oscuri più diamo loro l’opportunità di sopraffarci, nel giro di poco tempo la situazione si rovescia nell’incubo.

Sono queste le atmosfere che permeano Questo giorno che incombe, quarto romanzo di Antonella Lattanzi che non a caso – oltre al Giulio Cesare di Shakespeare che dà il titolo al libro – porta in epigrafe proprio Shining di Stephen King. Anche qui c’è una famiglia appena arrivata da lontano, solo che Francesca e Massimo, a differenza dei Torrance, non vanno a vivere in un albergo deserto. Il Giardino di Roma, al contrario, è affollato da un’umanità così compatta nella propria ostentazione di positività nonché nella pretesa piuttosto inquietante di abitare il migliore dei mondi possibili da portare Francesca (vera protagonista del romanzo) sulle soglie dello squilibrio mentale. Ma è proprio lì, da tradizione – dove il senno vacilla, dove realtà e allucinazione iniziano a confondersi, –, che si vedono le cose. Forse il Giardino di Roma nasconde un orribile segreto che soltanto Francesca riesce a percepire. Forse dietro le buone maniere dei condòmini si nascondono le regole del branco, e forse la cordialità è solo uno dei travestimenti che il mondo moderno ha escogitato per celare il puro e semplice maleficio. Il senso di minaccia che il lettore sente sempre più insistente è dunque reale? O tutto accade solo nella testa di Francesca?

Con abilità narrativa, una scrittura mobile e senso della suspense, Antonella Lattanzi rivisita i generi (non solo letterari) alla ricerca dell’orrore perfetto. Di Shining abbiamo detto. Ma oltre che con l’Overlook Hotel, il Giardino di Roma è imparentato con il Dakota Building di Rosemarie’s Baby (il tema dei vicini infernali) e con Il condominio di James Ballard (la malvagità di certe soluzioni abitative). La tensione e l’ambiguità dialogano poi con uno dei capostipiti delle moderne storie di fantasmi, cioè Giro di vite. Leggendo, ho ripensato perfino a Bianca di Nanni Moretti, sottovalutato racconto dell’orrore tutto montato sul vuoto: via Massimo Troisi, via Mia Martini, via Domenico Modugno e gli altri nomi di cantanti e attori che dominano la topografia del Giardino di Roma flirtano insidiosamente con la “Marilyn Monroe”, l’improbabile scuola dove insegna Michele Apicella nel film, perfetta cornice per lo scatenamento della sua follia.

Per non rovinare la sorpresa mi limiterò a dire che qualcosa di orribile a un certo punto nel Giardino di Roma succede davvero, che ha a che fare con i bambini che popolano il condominio, ma che questo, anziché risolvere il mistero, lo renderà ancora più angosciante e inafferrabile fino alle pagine finali.

Non bisogna credere che Antonella Lattanzi si limiti a giocare con i generi. L’angoscia che le sue pagine trasmettono è reale, non potrebbe arrivare in quel modo se non fosse l’autrice per prima a sentirla così bene, e se non spingesse noi lettori nell’angolo buio di certe domande fondamentali. Cos’è il male? È una forma di possessione? I posseduti sanno di essere tali? Se non ne sono consapevoli, come facciamo a sapere di volta in volta – persuasi di operare sempre per il bene – di non essere proprio noi, di quel male, gli agenti più efficaci?

Questo giorno che incombe delinea infine una figura femminile come non se ne vedevano da tempo. Si tratta di Francesca, trascurata dal marito, resa quasi pazza dall’accudimento delle figlie – compito in cui è lasciata completamente sola –, capace di fare delle proprie difficoltà e paure un’occasione di riscatto, del desiderio sessuale (questo concetto latitante in molte narrazioni femminili) uno strumento conoscitivo. Francesca capisce prima di tutti, poi si smarrisce, imbocca strade sbagliate, si fa contaminare dal male e dall’errore, si scopre infine addosso gli strumenti per rialzarsi e diventare, forse, proprio lei la portatrice della trasformazione, del cambiamento. Non un bambino ma una donna, questa volta, è la veggente e la chiave di volta.

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