I libri dell’anno di minima&moralia

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Come una grande festa, ognuno con un tris di libri. Per la prima volta minima&moralia e i suoi collaboratori raccontano le letture predilette dell’anno, libri amati ma non necessariamente pubblicati nel 2016. Per l’occasione, segnaliamo che il nostro blog sarà regolarmente aggiornato nei giorni delle feste natalizie, e che dal prossimo anno partirà una newsletter nuova di zecca, a cui ci si può iscrivere qui. Di seguito pubblichiamo la prima lista: seguiranno diverse puntate, che potrete leggere nei prossimi giorni.

Cosimo Argentina

I libri sono Addio a tutto questo di Robert Graves (traduzione di Annalisa Carena, Adelphi), Stivali di gomma svedesi di Henning Mankell (traduzione di Andrea Stringhetti e Laura Cangemi, Marsilio) e Le belve di Don Winslow (traduzione di Alfredo Colitto, Einaudi).
Addio a tutto questo è un libro pazzesco. Come nel film Il cacciatore di Michael Cimino inizia con scene di vita quotidiana. Siamo in Inghilterra e Graves ci mostra la nobiltà londinese, le origini della sua famiglia, i legami parentali. Poi. Dopo pagina cento ci cala in trincea, 1914, battaglie lungo la Somme, Francia settentrionale. E lì Graves non ha bisogno di scatenare l’inferno perché l’inferno è a portata di mano, deve solo raccontarlo. Quanto a Mankell, be’, è il suo libro di commiato, non il solito giallo svedese, ma qualcosa di più, un saluto, la fine della sua vita, vita che se ne va come se ne vanno le pagine della storia. Per finire Don Winslow, un nuovo James Ellroy, meno turbato ma altrettanto efficace nel dipingere gli scenari di San Diego, i narcos messicani e il mondo che va a rotoli avvolto in una nube di marijuana.

Marianna Crasto

A marzo ho letto Quaderni giapponesi di Igort (Coconino press). Davanti ai disegni ho provato la sensazione di muovermi nella liquidità densa della memoria dell’autore. Il ritmo della narrazione è pacato e morbido: sembra di star sognando.
Ad agosto ho letto Le cose che non facciamo di Andrés Neuman (traduzione di Silvia Sichel, SUR). Non ho idea di quanti siano i brevissimi racconti di questa raccolta. Sono tanti, tutti molto diversi tra loro per voce, punti di vista, stile, ambientazione. Nessuno svanisce nell’altro o vi si sovrappone, ognuno è forte di un’identità precisa. Mi sono emozionata leggendo di un uomo che racconta il parto della moglie senza che io sia né uomo, né padre, né moglie partoriente.
A novembre ho letto Sylvia di Leonard Michaels (traduzione di Vincenzo Vergiani, Adelphi). Ispirato alla vera storia della prima moglie dell’autore, Sylvia è un romanzo elegantissimo e terrificante, capace di trascinare in una quotidianità che l’amore rende, a giorni alterni, sia normale che senza senso. L’ultima mezza pagina è un piccolo capolavoro di tristezza.

Gianluca Didino

Ci sono romanzi che ruotano intorno alla trama o ai personaggi e altri, una specie più rara, costruiti sulle atmosfere. The Loney di A.M. Hurley (Tartarus Pres) è uno di questi: ambientato tra le maree della Morecambe Bay, il vincitore del premio Costa 2015 è un racconto spettrale sospeso tra horror e nature writing, un libro minore unico nel suo genere. Per la nonfiction Known and Strange Things di Teju Cole (Faber & Faber) è la dimostrazione più lampante che in Italia dovremmo pubblicare più raccolte di saggi: spaziando dall’autobiografia alla recensione letteraria, inseguendo le tracce di Sebald e quelle di Saul Leiter, l’autore di Città aperta avvince dalla prima all’ultima pagina. Infine un grande classico da recuperare: nel 2017 saranno cinquant’anni dalla pubblicazione di Il senso della fine di Frank Kermode, un’analisi raffinatissima su come diamo senso al tempo tramite la narrazione della fine dei tempi, un libro fondamentale in questi tempi millenaristici.

Rocco Fischetti

La scuola cattolica, Edoardo Albinati (Rizzoli). Questo libro mi ha convinto di una cosa: cioè che l’italiano è letterario quando ha questa andatura (media, aperta). Il risultato è che ora l’italiano con le frasi brevi, con le frasi dense e definitive, mi sembra una lingua inespressiva e mi è venuta voglia di vederlo scritto sempre per giri larghissimi e calmi. E, a differenza di altre lingue, in prima persona singolare.
Kaputt, Curzio Malaparte (Adelphi). Quindi ho ripreso in mano questo secondo libro, dove tutto è ripetuto e riscritto e inconcludente – fino alla noia, fino alla provocazione, forse fino al tanto per – ma è chiamato per nome nella mia lingua. Ci ho ritrovato delle descrizioni bellissime, a volte non ci potevo credere a questa immaginazione così sterminata, quasi in delirio però anche semplice, e che usava i nomi dei colori come non ho visto fare da nessuna altra parte.
The schooldays of Jesus, J.M. Coetzee (Viking). Questo terzo libro è l’equivalente di K che arriva una sera al villaggio e ci trova un figlio. Da quel momento il castello non esiste più: tutto ciò che K vuole è riuscire a essere un buon padre.

Marco Missiroli

Era un libro atteso in tutta Europa, un po’ meno in Italia, io l’ho trovato magnifico: Un giorno di festa di Graham Swift (traduzione di Luca Briasco, Neri Pozza) ha il magnetismo sottile dei grandi libri che non finiscono quando hai smesso di leggerli e che sembra decidano i destini dei loro personaggi mentre vengono letti. È quello che accade in Vite minuscole di Pierre Michon (traduzione di Leopoldo Carra, Adelphi), autore vivente di culto in Francia, che ha scritto una costellazione di esistenze apparentemente minori ma che una lingua pazzesca rende capolavori. E poi c’è Candore, di Mario Desiati, romanzo che ha richiesto anni per essere scritto e che sembra scritto in un attimo tanto è bello e ossessivo e poetico.

Matteo Nucci

Innanzitutto il quartetto di Alessandria (1957-60). Capolavoro assoluto di Lawrence Durrell che Einaudi sta ripubblicando. E meno male perché incomprensibile è la sua assenza in libreria. I primi due volumi sono tornati in nuove edizioni (Justine, traduzione di Silvano Sabbadini e Balthazar, traduzione di Giuseppe Sertoli). Gli altri due (Mountolive e Clea) sono introvabili anche all’usato. Un delitto contro il godimento della lettura. Tutt’altro genere di godimento lo ha portato BigSur con Warlock di Oakley Hall (1958) nella superba traduzione di Tommaso Pincio. L’Iliade western, l’epica totale delle inesauribili sfide morali. La più bella sfida al lettore tra i libri originali del 2016 arriva invece da Roberto Calasso. Il cacciatore celeste è un altro strepitoso tassello (precisamente l’ottavo e uno dei migliori) di un lavoro in corso in cui saggio, mito, romanzo, filosofia e storia si fondono nell’opera suprema di uno dei migliori scrittori dei nostri tempi.
(Ghost track: nell’anno del Nobel a Dylan l’infinito godimento letterario dell’autobiografia di Bruce Springsteen: Born to Run – traduzione di Michele Piumini, Mondadori)

Elena Stancanelli

Louise Erdrich, di cui Feltrinelli ha pubblicato la trilogia ambientata in una riserva indiana del Nord Dakota. Ultimo LaRose, ma più potenti ancora La casa tonda e Il giorno dei colombi (tutti tradotti da Vincenzo Mantovani).
Edna O’Brien, irlandese, magnifica, autrice di moltissimi romanzi a partire da Ragazze di campagna (traduzione di Cosetta Cavallante, Elliot) e di una raccolta di racconti uscita quest’anno per Einaudi Stile Libero. In Oggetto d’amore (traduzione di Giovanna Granato) c’è tutto quello che desideriamo da un libro e anche quello che non immaginavamo. Sublime.
Ben Lerner, anche se Nel mondo a venire (traduzione di Martina Testa, Sellerio) è uscito nel 2015, lo metto nella lista perché è una scoperta. Mi pare un autore eccellente, divertente e paranoico, di cui non si è parlato abbastanza. E aggiungo Un uomo di passaggio (traduzione di Laura Prandino, Neri Pozza), sempre Ben Lerner, sempre eccellente.

Fabio Stassi

La vegeteriana di Han Kang (traduzione di Milena Zemira Ciccimarra, Adelphi) e Un bene al mondo di Andrea Bajani (Einaudi), perché esplorano le zone del dolore e dello sconforto, le ferite della comprensione e dello stupore, e Il punto cieco di Javier Cercas (traduzione di Bruno Arpaia, Guanda), per la riflessione sulla propria opera e sulla storia della letteratura e per questa definizione di romanzo: “è un genere che si prefigge di proteggere le domande dalle risposte”.

Raffaele Alberto Ventura

Valerio Mattioli, Superonda (Baldini e Castoldi). Attraverso il prisma della musica (da Morricone a Battiato, da Mario Schifano al Piper) Valerio Mattioli racconta vent’anni di cultura italiana quando la cultura italiana era una strana incredibile avanguardia popolare in cui convergevano alto e basso, creatività e tecnologia, gioia e rivoluzione. Una summa che però si legge, “ehm” (cit.), come una conversazione al bar.
Chester Brown, Mary Wept Over the Feet of Jesus (Drawn and Quarterly). Dopo avere dedicato un libro intero alla sua propensione a fare sesso soltanto con prostitute, il fumettista canadese (cristiano protestante) indaga l’annosa questione nell’Antico e Nuovo Testamento. Restando sempre fedele alla lettera biblica e illustrandola nella maniera più scarna possibile, Brown restituisce alcune celebri storie e parabole nella loro irriducibile ambiguità. E offre un’ipotesi teologica dirompente: “Dio non considera le proprie leggi come assolute”.
Stefano MassiniQualcosa sui Lehman (Mondadori). Saga familiare, poema epico, opera da tre fantastiliardi di dollari, carillon di trovate brillantissime, grande-romanzo-americano™, farsa apocalittica, liste liste liste, grande tragedia del capitalismo. Il drammaturgo Stefano Massini riscrive e amplia la sua Lehman Trilogy, che già nel 2014 era più bella da leggere che da guardare a teatro. Raccomandazione per adattamenti futuri: meno Ronconi, più Baz Luhrmann.

Giuseppe Zucco

Allora, due libri nuovi e un classico. Il primo parla di arte della falconeria, addestramento di rapaci e di come tenere a bada un dolore insopportabile. Io e Mabel, di Helen Macdonald (traduzione di Anna Rusconi, Einaudi), rivela cos’è la natura, e come noi ne facciamo parte, e com’è possibile iscrivere il nostro respiro in un respiro più ampio, che ci sovrasta, ci precede e ci comprende. Il secondo parla di deserti americani, città fantasma, laghi fossili, cimiteri di aeroplani. Absolutely nothing, di Giorgio Vasta, insegna che l’amore è tutto quanto c’è, e che ogni cosa, nel pullulare fitto dei suoi atomi roventi, rivela ciò che più ci manca e ci costituisce. Il terzo parla di un ragazzo che fa un viaggio lì dove la Statua della Libertà impugna una spada invece di una fiaccola. America, di Franz Kafka (traduzione di G. Agabio, Garzanti), dimostra che, nonostante le incredibili avversità cui andremo incontro, è possibile essere buoni, e riordinare con gesti minuti il mondo che ci tocca in sorte, e arrivare in un posto in cui «tutti sono i benvenuti». Questo è un augurio.

Commenti
8 Commenti a “I libri dell’anno di minima&moralia”
  1. francesco pecoraro ha detto:

    Incredibile che nessuno abbia letto Works, di Vitaliano Trevisan, Einaudi Stile Libero 2016.

  2. minima&moralia ha detto:

    Caro Francesco, questa è solo la prima puntata della lista: ne seguiranno altre nei prossimi giorni. 🙂

  3. francesco pecoraro ha detto:

    E’ vero. Com’è vero che con quel libro Trevisan mi è sembrato assurgere all’empireo della letteratura italiana contemporanea. Può darsi sia una mia fissa. Ma se non l’avete letto, provateci. ateci. teci. eci. ci. i. E in ogni caso auguri a tutti.

  4. RAV ha detto:

    Io l’ho letto ma mi ha deluso. Non mi ha convinto nel tono. Pesava troppo l’alone da success story, lo scrittore che fa i conti con il passato da cui il successo editoriale lo ha salvato.

  5. Lalo Cura ha detto:

    : si chiama zeitgeist:

    : il buon “vecchio” tashtego avrebbe sbertucciato chiunque avesse scritto, di un autore o di un libro, che gli sembrava assurgere all’empireo della letteratura italiana contemporanea:

    : il buon “vecchio” francesco pecoraro lo scrive così, senza ripensamenti di sorta (: e quella fissa d’antan, più che scalfire la certezza, rende il giudizio ancora più patetico):

    : potenza del “ruolo” (geist + zeit): una volta assurto al rango dei più rinomati critisci lisceali, puoi permetterti questo & altro…

    auguri

    l.c.

  6. francesco pecoraro ha detto:

    Non sbertuccio nessuno. Solo mi sembra strano che un libro della qualità di Works non compaia nelle vostre preferenze annuali.

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