Ciao Gabo

Ricordiamo Gabriel García Márquez riproponendo una parte della lunga intervista rilasciata a Peter Stone nell’inverno del 1981 per la “Paris Review”.

Come ha cominciato a scrivere?

Disegnando. Disegnando vignette. Prima ancora di imparare a leggere e a scrivere disegnavo fumetti a scuola e a casa. La cosa curiosa è che ora mi rendo conto che quando ero alle superiori avevo la fama di essere uno scrittore, sebbene in realtà non avessi mai scritto niente. Se c’era un pamphlet da scrivere o una lettera di petizione, io ero quello che doveva farlo perché ero apparentemente “lo scrittore”. Quando cominciai l’università avevo in generale un ottimo background letterario, considerevolmente al di sopra della media dei miei amici. All’università di Bogotà iniziai a fare nuove amicizie e conoscenze, persone che mi introdussero agli scrittori contemporanei. Una sera un amico mi prestò un libro di racconti di Kafka.

Intervista a Emmanuel Carrère

Pubblichiamo un’intervista di Valentina Della Seta a Emmanuel Carrère uscita sul Venerdì di Repubblica. Ringraziamo l’autrice e la testata.

di Valentina Della Seta

Non c’è traccia di Russia nella casa parigina di Emmanuel Carrère, così francese per la luce, i pavimenti di legno, l’eleganza e il disordine. Ma c’è qualcosa nei suoi lineamenti e nel taglio degli occhi che fa capire perché, negli ultimi anni, abbia scritto due libri che hanno a che fare con l’ex-Unione Sovietica.

Carrère ha ereditato la Russia dalla madre Hélène, storica e accademica di Francia, che da bambina si chiamava, di cognome, Zurabisvili: «Georges Zurabisvili è nato a Tiflis», racconta lo scrittore a proposito del nonno materno in La vita come un romanzo russo, del 2007: «Suo padre, Ivan, è giureconsulto; sua madre, Nino, ha tradotto George Sand in georgiano. Le fotografie mostrano baffi e turbanti, tra le dita s’indovinano rosari d’ambra». Di Georges, in casa, non si parla: «Per un po’ fa il taxista», siamo negli anni Venti, quando la famiglia in fuga ha trovato riparo a Parigi, «ed è una delle rare cose che a mia madre piaccia raccontare di lui, una delle rare cose che da bambino io abbia saputo di mio nonno».

Ancora su “I buoni” di Luca Rastello

Questo articolo è uscito sul “Domenicale” del “Sole 24 Ore”.

di Vittorio Giacopini

Quando Aza – la ragazza dell’Est – lascia i “cunicoli” e il suo popolo degli abissi di sbandati – l’ingresso nel mondo dei “buoni” ha le stimmate di una rinascita totale, però obbligata. Ai piedi delle colline,  tra gli scheletri d’acciaio di templi del lavoro ora in disuso, la città che era stata operaia la riceve distrattamente, e è già qualcosa, ma un inciampo della sorte le muta il destino.  Grazie a Andrea e Mauro – un operatore umanitario e un fotografo prestato al ‘terzo settore’ – la ragazza selvaggia è accolta nel benedicente regno di don Silvano.  Per l’esule la comunità In Punta di Piedi adesso coincide con l’intero orizzonte,  e non ha confini.  Attorno all’uomo di Dio – sguardo stanco, capelli lunghi e un po’ unti, maglione liso – ruota adorante tutta una corte angelica di mediocri bontà, spente esistenze, trattenute ambizioni, sante parole.  Ma gli angeli decaduti non sono altro che diavoli, com’è noto, e in questo libro ferocissimo e spietato  – dunque vero – Luca Rastello ci mette in guardia da subito, non cincischia. Bisogna guardarsi da quell’uomo di chiesa, e dal suo fascino. È questione di tempra morale e visioni dei rapporti di forza, di linguaggio. Il soccorritore degli ultimi – e grande amico dei Potenti, dei famosi – incarna la “forma del mondo”, e va temuto. Il carisma – equivoco – del prete è l’incantesimo del capo di una setta, cerimoniosa.

Il M5S, Minervini, Vittorini, il cancro, e la difficoltà di chiedere scusa che riguarda tutti noi

Il fatto

I primi giorni di aprile, sul sito facebook del Movimento 5 Stelle Attivisti di Lecce, compare un post contro Guglielmo Minervini, assessore alle Politiche Giovanili della Regione Puglia. Con una grafica che richiama la trasmissione “Chi l’ha visto” (seguendo cioè una diffusa pratica di doppio occultamento che mi pare più istintiva che consapevole: piegare l’estetica dello show-biz televisivo in chiave sarcastica, nascondendo dietro la retorica del diritto di satira l’invito al linciaggio pedagogico) si rimprovera a Minervini il 20% di assenze in consiglio regionale. Non ci sarebbe andato, negli ultimi tempi, due volte su dieci.

Il problema è che Minervini ha il cancro. Si è ammalato la prima volta anni fa, ha avuto una ricaduta di recente, e di questo non ha fatto mistero. Ha rilasciato interviste. Sui giornali, su facebook, la notizia ha molto circolato. Come se non bastasse, lo scorso dicembre, a Bari, Minervini è stato investito per strada da un’automobile condotta da una ragazza che guidava in stato d’ebbrezza. Ricovero in ospedale. Piove sul bagnato. Anche di questo si è parlato sui giornali. Se ne è discusso sui social network. Chiunque in Puglia si interessi di politica, è insomma al corrente della situazione. Così come – al di là della statistica delle presenze – è noto che Minervini continui a lavorare come assessore in modo intenso nonostante la malattia.

Intervista a Teresa Ciabatti

Piaccia o non piaccia, il regista Paolo Sorrentino ha uno stile filmico riconoscibile ed è bravissimo a raccontare la sgradevolezza e il putridume “cafonal” di una certa Italia. Ebbene, Teresa Ciabatti, alla sua terza prova romanzesca, è senza dubbio il suo corrispettivo femminile e letterario. Con una scrittura che è ancora più inconfondibile e feroce – e che non scivola mai nel grottesco, e tanto meno si arrocca dietro il giudizio morale – Teresa Ciabatti ha scritto, con un misto di affetto e crudeltà, il libro definitivo sul “generone” romano. “Il mio paradiso è deserto” (Rizzoli, 17 euro, 285 pagine) è la storia di una famiglia, i Bonifazi, milionari grazie al business della spazzatura. Nella foto – ritoccatissima – apparsa su “Class”, li vediamo seduti sul divano bianco nella loro villa sfarzosa alle porte della Capitale. Marta Bonifazi, la figlia ventiduenne, è l’unica che stona in quell’atmosfera stucchevole che gli americani chiamerebbero semplicemente cheesy. Perché Marta è obesa. Il suo corpo, grasso e deforme, porta con sé tutte le ipocrisie della sua finta famiglia felice, un corpo che Marta odia e che tenta di prosciugare con la liposuzione, un corpo che nasconde ormai da tre anni, perché sono tre anni che Marta non mette piede fuori di casa. Ricco di colpi di scena e sorretto da una trama sorprendentemente tesa e misurata, il libro piacerà molto ai lettori di Alice Munro e Joyce Carol Oates, ma anche a quelli di Stephen King.

Intervista a Robert Ward

Questa intervista è uscita su Repubblica Sera.

Viene da Baltimora, nel Maryland, una di quelle città che sembra cantata da Bruce Springsteen in The River, dove nasci, cresci e farai il lavoro di tuo padre. Ma per Robert Ward, classe 1943, non è andata così, ora vive a Los Angeles, dopo essere stato a New York e aver scoperto che tutto è possibile, dopo aver attraversato gli Stati Uniti da hippy negli anni 60 e cambiato vita molte volte: insegnante, giornalista, scrittore, sceneggiatore per la televisione e per il cinema.

Ha firmato puntate di serie come Miami Vice e Hill Street Blues, e dal suo secondo romanzo Cattle Annie and Little Britches (1977) è stato tratto il film Branco selvaggio (1981) con Burt Lancaster e Diane Lane, ma c’è un personaggio in particolare che ha segnato la sua carriera: Red Baker, operaio trentanovenne di Baltimora che perde il lavoro e deve sopravvivere. È il protagonista di Io sono Red Baker, del 1985, subito premio Pen West come miglior romanzo americano dell’anno, amato da scrittori come Robert Stone, Richard Price, Michael Connelly, Christopher Hitchens, James Crumley, Laura Lippman. Una storia che ancora oggi ha molto da dire, che parla di crisi economica e che viene proposta in Italia, per la prima volta, dal piccolo e raffinato editore  senese Barney Edizioni, in una collana diretta dal traduttore Nicola Manuppelli e intitolata “I Fuorilegge”, dedicata agli autori americani meno noti (in Italia), ma non per questo meno interessanti. E infatti tra i primi estimatori di Ward c’è stato Tom Wolfe, che in qualche modo l’ha salvato da una vita che non gli piaceva, e l’ha lanciato alla ricerca del successo.

Amici realvisceralisti…

Qualche mese fa, al Salone dell’Editoria Sociale, si tenne un bel convegno su Roberto Bolaño organizzato da Goffredo Fofi. Parteciparono il sottoscritto, Ilide Carmignani (traduttrice di Bolaño, presto in libreria per Adelphi Edizioni la sua versione de “I detective selvaggi”), Jaime Riera Rehren (scrittore cileno trapiantato in Italia, studioso, traduttore di libri indimenticabili come “Sopra eroi e tombe” di Ernesto Sabato, nonché amico di Bolaño) e Fabrizio Gifuni, che fece delle letture strabilianti da celebri passi del nostro.

Intervista a Michael Chabon

È in edicola il nuovo numero di IL, il magazine del Sole 24 Ore. Pubblichiamo un’intervista di Francesco Pacifico a Michael Chabon uscita su IL a settembre 2013. (Immagine: Getty Images)

Intervista ai tavolini di legno e vetro di un albergo di Capri, a venti metri dalla piscina, intorno il via vai pomeridiano assonnato degli altri ospiti del festival Le Conversazioni. Chabon interverrà in serata insieme alla moglie Ayelet Waldman.

Mi sembri un maniaco della scrittura, qual è il tuo metodo di lavoro?

Varia da libro a libro. A volte, raramente, un’idea mi arriva praticamente tutta formata, la vedo tutta insieme, e sento già come i diversi elementi faranno parte della storia e devo appuntarmeli rapidamente per non scordarli. E mi dico: e questo, e quest’altro, e poi succederà anche questo. Mi è successo solo due volte. Con Wonder Boys, il mio terzo libro. E con il libro che sto scrivendo adesso… Ma è troppo presto per parlarne in dettaglio… Altre volte mi viene un aspetto, un elemento, all’inizio, di cui sono sicuro di voler parlare.

Intervista a Chuck Rosenthal

Questa intervista è uscita su Repubblica Sera.

Le vie della letteratura sono infinite. E Chuck Rosenthal, 63 anni, prolifico scrittore outsider americano, da tempo percorre una strada personale, quella del “giornalismo magico”, che racconta la società contemporanea attraverso narrazioni metaforiche. Una strada che lo ha portato in Italia, dove finora era stato tradotto solo il suo Elena delle stelle (1997). È infatti uscito per l’editore Mattioli 1885 A ovest dell’Eden (West of Eden, trad. it. di Nicola Manuppelli, pp. 245, € 17,90), una storia travolgente, difficile da riassumere, che esplode in tante direzioni tra humour, tragedia e risate. Il protagonista è Shark Rosenthal, scrittore, personaggio in parte autobiografico, con una moglie poetessa, Diosa, e una figlia di nome Gesù convinta di essere davvero il figlio di Dio in versione femminile, il che crea problemi al padre Shark, che si muove tra Hollywood, Malibou, Topanga Canyon e guida il lettore nella Los Angeles del ventunesimo secolo, fra business del cinema e letterario, poeti e santoni, hippies e fanatici di Scientology, con attori in crisi di nervi che ricorrono alla New Age. Persone sconosciute e vip stile Robert Downey jr., Mel Gibson e Sting si rincorrono in (dis)avventure di ogni tipo, di cui l’aggettivo “surreali” esprime bene la follia.

“La collina” di Delogu e Cedrola

di Mimmo Cangiano

Molto si è parlato (e si parlerà ancora) del romanzo La Collina, pubblicato circa un mese fa da Andrea Delogu e Andrea Cedrola. La materia trattata (la comunità di San Patrignano e le ‘tecniche’ in essa in atto) hanno convogliato l’attenzione dei media verso un materiale che, inevitabilmente, si presenta ancora infuocato (fra feroci detrattori e strenui difensori) e vivo nel quadro di un problema che, dentro e fuori i tribunali, è ben lungi dall’essere chiuso.

Qui, invece, anche stimolato dall’epigrafe che apre il romanzo (tratta dal bellissimoAd avere occhi per vedere di Leonardo Pica Ciamarra), vorrei riflettere un attimo su quest’opera proprio in quanto romanzo, vale a dire sulle strategie narrative e tematiche che i due autori hanno messo in atto per raccontare questa storia che, a mio giudizio, è anzitutto una disanima di ciò che ha permesso ‘San Patrignano’, e, di conseguenza, un’analisi storica dei rapporti di potere e persuasione che hanno caratterizzato, almeno, uno scorcio del secolo scorso.