The Whale o dell’amore

Qualsiasi cosa si provi alla fine dei suoi centodiciassette minuti, “The Whale” di Darren Aronofsky è una delle esperienze di visione più intense di questa stagione cinematografica. Un’intensità fisica, energetica, irradiante. E se, come spiega la Treccani, l’intensità è il rapporto tra la potenza che fluisce attraverso un elemento e l’area di tale elemento, è facile capire il perché.

Onirica, ovvero, del cinema “altro”

Questo pezzo è stato pubblicato sul n. 19 di “Artribune”.

Adam è Dante. E Onirica-Field of Dogs è cinema dantesco, in un senso non didascalico né pedante.

La discesa agli inferi di Adam e dell’intera Polonia contemporanea è autentica, e visionaria al tempo stesso. Come la Divina Commedia, il testo visivo di Lech Majewski (terzo passaggio di quella trilogia dedicata all’arte di tutti i tempi, inaugurata con Il giardino delle delizie, 2004, ispirato al dipinto omonimo di Hieronymus Bosch, e proseguita con I colori della passione, 2011, ispirato alla Salita al Calvario di Pieter Bruegel il Vecchio) viene attivato dal sonno del protagonista – dai suoi addormentamenti, che sono passaggi da uno stato mentale e di vita all’altro: “Tant’era pieno di sonno a quel punto / che la verace via abbandonai” (Inferno, I, 11-12); “E caddi come l’uomo che ‘l sonno piglia” (III, 136); “Ruppemi l’alto sonno nella testa / un greve truono, sì ch’io mi riscossi, / come persona ch’è per forza desta” (IV, 1-3); “E caddi come corpo morto cade” (V, 142).