Vecchi libri per quest’epoca incerta

Questo pezzo è uscito in versione ridotta sul Corriere della Sera. A luglio Valentino Ronchi ha vinto il premio Carducci 2013 con «Anna e Mélanie». (Fonte immagine)

Il primo romanzo di Valentino Ronchi (dopo due bei libri di poesia, autoprodotti) si chiude all’incirca come si apriva 84 Charing Cross Road di Helene Hanff (la suggestione non è mia, ma di una lettrice non comune alla quale, preso dall’entusiasmo, sottoposi la lettura del romanzo di Ronchi). «Gentili Signori – esordiva nel ’70 l’epistolario della scrittrice e sceneggiatrice di Philadelphia – leggo dalla vostra inserzione sul “Saturday Review of Literature” che siete specializzati in libri fuori stampa. L’intestazione “librai antiquari” mi spaventa un poco, perché per me “antico” equivale a dispendioso. Sono una scrittrice senza soldi che ama i libri d’antiquariato, ma da queste parti è impossibile reperire le opere che desidererei avere se non in edizioni molto costose e rare, o in copie scolastiche, sudicie e scribacchiate, della libreria Barnes & Noble. Allego un elenco delle mie necessità più pressanti […]».

Piccioni e misticismo. Due poesie rare di Roberto Amato

Questo pezzo è uscito su GenerAzione. (Immagine: Jackson Pollock.)

Nel 2003, a cinquant’anni suonati, Roberto Amato vinse il premio Viareggio-Répaci per la poesia. Fu con Le cucine celesti, edito da Diabasis di Reggio Emilia, per cui uscì tre anni dopo anche L’agenzia di viaggi, finalista al premio Baghetta con Patrizia Cavalli e Valentino Ronchi (vincitore del premio: un rifornimento di pane per un anno. Quando si dice che la poesia non dà il pane…). L’agenzia di viaggi fu un altro libro memorabile, mozzafiato, forse il più immediato tra i cinque fin qui pubblicati (sei, se si conta anche Gli sposi, del 2005, una strenna natalizia uscita sempre per Diabasis, tanto raro quanto mirabile – per capire il gioco di rapporti fate un tentativo di ricerca…). La qualità non è mai venuta meno, lungo il percorso bibliografico del poeta, eppure le luci su di lui si sono pian piano abbassate, si è parlato sempre meno di questo autore così lontano dai suoi “simili”, così eccentrico pur nella sua linearità, così poco letto nonostante la sua lingua tanto piana e chiara.

Il male ingombrante. Note su Gli impiegati vanno di fretta di Silvio Perego

Pubblichiamo una recensione di Andrea Cirolla su Gli impiegati vanno di fretta di Silvio Perego (Lampi di Stampa). Foto di Francesca Woodman.

Ultimamente mi sono svegliato presto la mattina. E non c’entra niente Proust, è solo che per delle cure termali, cui ho dovuto sottopormi in una località appena fuori Bergamo al centro della bassa val Cavallina, ogni giorno per due settimane sono uscito di casa all’alba, rompendo un’abitudine sonnacchiosa dettata dalle sere e dalle notti tirate lunghe sui libri e nel lavoro. Nel percorso da casa alle terme e dalle terme a casa, in auto ho ascoltato giorno dopo giorno rassegne stampa su rassegne stampa, dai notiziari Rai a quelli di Radio24, procurandomi ulcere se non allo stomaco (ma ci manca poco) sicuramente al cervello e all’area deputata all’indignazione. Dal recente Laziogate e il circo grottesco di fine berlusconismo annesso, nutrito di ostriche e Champagne, ben rappresentato da feste dei porci e feste della merda; alle lamentele di politici passati e presenti sulla scandalosa magrezza dei loro stipendi da ennemila euro – ho ingollato tutto schivando fughe e distrazione, infliggendomi un bagno in un’attualità paradossale, avanguardia perpetua su schema consolidato, un male certo e disarmante. Un male ingombrante, che brucia la possibilità del bene, anzi la fagocita, almeno e sicuramente in ambito politico. E dove il bene si scherma dietro uno sguardo a distanza di sicurezza, là può pian piano opacizzarsi fino a non vedere più oppure conservarsi incorrotto, ma inerte e incattivito.