Nuovo cinema paraculo – The detachment, ossia il distacco della corteccia frontale che ti auspichi dopo venti minuti che sei entrato in sala

Volete fare un brutto film che però poi la gente vi dice che è bello? Volete fare un film buttato là che manco i discorsi che fate alla piazzola autostradale il 25 agosto ma poi la gente vi dice che è un film riflessivo? Fate Detachment. Vi basta aver confezionato un film tagliato con l’accetta e moralisteggiante come American History X e trovare uno sceneggiatore appena uscito da qualche corso universitario di semiotica che chiama il suo protagonista Henry Barthes (“Sì pronuncia Barth, la s non si sente”, come ha il coraggio di recitare la battuta con cui si presenta) e insieme a sto sceneggiatore, Carl Lund (memento!) create il personaggio di un insegnante tristissimo che piagne sempre, senza senso dell’umorismo ma zero proprio (come ammette lui a un certo punto), poi gli mettete vicino una serie di colleghi ancora più tristi e sfigati – una specie di accolita tipo anonima docenti, e ambientate il tutto in una scuola piena di ragazzi difficili.

Cosmopolis: il mondo in una limousine

Pubblichiamo una recensione di Christian Caliandro, uscita in forma ridotta su «Artribune», su «Cosmopolis» di David Cronenberg.

L’anticinema di Cosmopolis non è certo per tutti: moltissimi, anzi, non sanno proprio che farsene; lo ritengono irritante, didascalico, sconnesso, e in ultima analisi indigesto. Ma il film di David Cronenberg, tratto dal romanzo del 2003 di Don DeLillo, riesce laddove moltissimi avevano finora fallito miseramente. Cronenberg mette infatti linguaggio e stile al servizio di una meditazione sulle “magnifiche sorti e progressive” dell’ipercapitalismo odierno: più che la fine del mondo, Cosmopolis mette in scena la fine di un mondo – e l’inizio di un altro.

La limousine di Eric Packer (Robert Pattinson), in viaggio nel cuore di una Manhattan (ricreata ‘per sottrazione’ a Toronto) stravolta dalle poteste e dagli scontri non è solo il teatro delle conversazioni tra il protagonista e i personaggi collaterali, portatori di sfumature sulla storia e sulle sue coloriture cultural-psicologiche. La limousine è una vera e propria capsula spazio-temporale, in grado di isolare lo spirito di un’intera epoca. Le qualità più sfuggenti e sottili e invisibili del presente – quel contemporaneo che ci sembra a volte così indecifrabile e misterioso, proprio per la sua mutevolezza e la sua apparente stupidità.

Hitler, Lenin, Hirohito – Aleksandr Sokurov e i corpi del potere

Ci voleva un conservatore venuto dell’est, un fiero erede di Turner e di Tarkovskij per restituire ai corpi l’importanza fondativa che il secolo della virtualizzazione sembra voler negare. Se qualcosa nel bene e nel male ci trascende di continuo, la materia di cui siamo fatti (specie nelle sue disfunzionalità) ne è la spia più attendibile. È questo uno degli “inattuali” insegnamenti con il quale il regista russo Aleksandr Sokurov, trionfatore con Faust all’ultimo Festival di Venezia, ha deciso di sfidare la contemporaneità. Tic, lapsus, rituali ossessivi: cosa meglio di una macchina da presa può indagarli? E che significa quando smarriscono il dominio della fisicità alcuni tra i sedicenti padroni del mondo quali furono Hitler, o Lenin, o Hirohito?

Al padre del nazismo, del comunismo russo e all’imperatore giapponese Sokurov ha dedicato tre film a cui il Faust (vera eminenza grigia della modernità) mette il sigillo. Sull’argomento è da poco uscito uno studio intitolato I corpi del potere. Il cinema di Aleksandr Sokurov (curato da Mario Pezzella e Antonio Tricomi, Jaca Book, pp. 218, 20 euro) nel quale si illustra molto bene come a questi leader corrispondano altrettanti corpi impazziti.

La tossicità della condiscendenza

Pubblichiamo una recensione di Luca Alvino su «Melancholia» di Lars von Trier

Esiste una rotta privata dell’esistenza, dalla quale sarebbe opportuno non allontanarsi mai. È la rotta che transita lungo il corso degli eventi senza metterne in discussione il senso e la necessità. Se tale rotta viene smarrita, l’equilibrio di una persona può essere seriamente compromesso, e le si prospettano dinanzi due possibilità: l’inizio di un percorso di maturazione o la resa alla deriva dello smarrimento. Il percorso di maturazione deve consentire all’individuo di costruire certezze autonome, diverse da quelle ricevute in eredità, e basate su scelte individuali; e deve rafforzare in lui la facoltà di riscoprire ogni giorno il significato dell’esistenza, giacché non ne esiste più uno preconfezionato al quale ricorrere meccanicamente. Se tuttavia non si possiedono le risorse per compiere questo itinerario faticoso – o si è perduta la capacità di sospendere la propria incredulità quel tanto che serve per conferire nuovamente alle cose un significato accettabile – c’è il rischio di cadere nella malinconia. La malinconia è una forma grave di depressione che consiste in un doloroso abbattimento fisico e psichico, e nella perdita di interesse nei confronti di sé stessi e delle vicende del mondo esterno. E Melancholia è anche il titolo dell’ultimo lavoro di Lars von Trier, un film sull’ingombro della mortalità, sull’ineluttabilità della consunzione e della fine. E sugli stratagemmi dell’uomo per dimenticarsene.

Morire per delle idee. Hunger di Steve McQueen

Oggi, 5 maggio, è il trentunesimo anniversario della morte di Bobby Sands. A partire dal 1° marzo Sands iniziò uno sciopero della fame a oltranza che lo condusse alla morte dopo 66 giorni. In questo lasso di tempo, il 9 aprile, fu eletto membro del parlamento britannico, nel corso di elezioni suppletive. Subito dopo la legge fu cambiata, impedendo ai detenuti di candidarsi se non dopo cinque anni dal termine della pena. La morte di Sands e di altri nove detenuti dopo di lui suscitò un’ondata di sdegno in tutto il mondo nei confronti dell’intransigenza del governo Thatcher. Era, tra l’altro, la prima volta che un parlamentare veniva lasciato morire di inedia in una nazione occidentale. Pubblichiamo una recensione di Graziano Graziani su «Hunger» di Steve McQueen.

Dotato di grande impatto visivo, «Hunger» del regista londinese Steve McQueen si muove lungo un crinale complesso, in bilico tra una crudezza affilata che a tratti rischia di diventare persino estetizzante. Evitiamo fraintendimenti: non c’è nessuna indulgenza o compiacenza, neppure in negativo, quando si affonda nel torbido della sofferenza fisica che è il tema centrale di questa pellicola. Semplicemente l’opera prima di McQueen (che data 2008 ed è arrivata solo ora in Italia, sull’onda del successo dell’opera seconda «Shame») non è un film politico in senso tradizionale. C’è da chiedersi d’altronde se avrebbe avuto senso a trent’anni di distanza – era il 1981 – parlare della vicenda di Bobby Sands in chiave di denuncia.

43 anni dopo: un libro e un film

È uscito da poco nelle sale italiane il nuovo film di Marco Tullio Giordana, «Romanzo di una strage», ispirato (in parte, come si vedrà) al libro di Paolo Cucchiarelli, uscito nel 2009 per Ponte alle Grazie con il titolo «Il segreto di Piazza Fontana»; un film che ha l’ambizioso proposito di ricostruire le vicende italiane accorse nel breve e significativo arco temporale che va dalla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre del 1969, all’uccisione di Luigi Calabresi, il 17 maggio del 1972. Christian Raimo ha definito quest’opera di Giordana un’occasione mancata, argomentandone qui le sensate ragioni. A seguito di questo suo intervento, abbiamo deciso di recuperare e proporvi in lettura l’opinione, apertamente negativa su libro e film, di un testimone e attore di quegli anni, Adriano Sofri, che in questi giorni ha scritto un istant book, scaricabarile gratuitamente, proprio per fare luce sulle importanti inesattezze della ricostruzione della realtà storica operate prima dal libro, poi dal film ispirato. Di seguito la prefazione e le conclusioni di «43 anni. Piazza Fontana, un libro, un film» di Adriano Sofri.

Nuovo cinema paraculo. Romanzo di uno strascico

Come trasformare un film animatissimo di buone intenzioni in un roba deludente? Basta fidarsi troppo delle buone intenzioni (le strade per l’inferno, si sa, ne sono lastricatissime). Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana è un film che avrebbe potuto essere bello, e non lo è. Per moltissimi motivi. Per primi, certo, quelli legati all’affidabilità della ricostruzione vedono contrapposte tante versioni diverse: il libro-inchiesta di Paolo Cucchiarelli che sostiene la tesi delle due bombe contemporanea (una bombetta-civetta anarchica e una bomba devastante di marca neofascista) e a cui si è ispirato Giordana, viene considerato molto molto discutibile da vari altri, tra cui per esempio Adriano Sofri che in questi giorni ha scritto un istant-book precisamente polemico contro libro e film.

Anvedi l’immaginario romano: da Ciceruacchio a Amore tossico (parte prima)

Qualche settimana fa, in un laboratorio teatrale organizzato da Veronica Cruciani, c’era la contessa Castelli-Gattinara che raccontava un episodio della sua infanzia a Roma (siamo negli anni ’30): lei piccola al braccio della mamma che passa davanti alla statua di Ciceruacchio. La madre le dice: “Questo è un eroe romano”, ma quando la contessina la sera parla con il nonno, questo le dice: “Chi Ciceruacchio? Un traditore”.

Questo per dire che per un bel paio di millenni, l’immaginario romano del potere è stato ovviamente legato alla presenza del Papa. È  più o meno quello che racconta Andrea Giardina nel Mito di Roma. Da Carlo Magno a Mussolini: il papato era il Potere, e l’opposizione al Potere si poteva esprimere contro il Papa e i preti. Per questo gli anni dal 1846 al 1849 sono gli anni cruciali di una definizione di rapporti. Il 1846 è l’anno dell’inizio del pontificato di Pio nono – “Er Papa bono” (e Ciceruacchio si schiera con lui), il 1849 quello della Repubblica Romana (con Pio IX che spara contro le truppe di Garibaldi e Ciceruacchio, il quale nel frattempo ha capito che le intenzioni del Papa erano assai poco rivoluzionarie: da Papa bono finirà a scrivere il Sillabo e emanare il non expedit).

Rise and Fall and Rise of a Star

di Giulia Pezzoli

The Artist è un esercizio di stile perfetto, uno di quei film di cui si parlerà a lungo e che verrà probabilmente citato per le sue incredibili (e anacronistiche) caratteristiche.
La trama è semplice: la storia inizia nel 1927 quando ancora il cinematografo era muto e i suoi protagonisti (seppur non osannati come i divi di oggi) erano artisti completi e personalità pubbliche di rilievo. George Valentine è una di queste: affascinante e brillante uomo di spettacolo, fa impazzire le folle con una gestualità e una mimica perfette (lo interpreta un incredibile Jean Dujardin).

Beautiful Beginners

Questa intervista di Tiziana Lo Porto al regista Mike Mills è stata pubblicata su «D-Repubblica» in occasione dell’uscita nelle sale cinematografiche americane del suo ultimo lavoro, «Beginners».

di Tiziana Lo Porto

Si definisce un “regista designer”, spiegando che lo è nel modo in cui riprende le cose, o al montaggio, dove “sono felicissimo ogni volta che posso inserire un fermo immagine o un disegno”.