“Nessuno è come qualcun altro”, epifanie e stupore nei racconti di Amy Hempel

“Questa era seduzione. Questa era la storia che raccontò, fra tutte le storie da ragazzo di campagna che poteva raccontare.”

C’è un racconto nella nuova raccolta di Amy Hempel (Sem, 2019, traduzione di Silvia Pareschi) – gioiello in una lunga serie di piccoli gioielli – che è anche un manuale di scrittura in miniatura. Si intitola L’agnello orfano ed è lungo soltanto mezza pagina. Tutto il talento della scrittrice statunitense esplode in poche righe e regala al lettore un condensato di perle narrative, vertici impossibili da raggiungere e non imitabili. Nel testo si tengono insieme due livelli di storia, apparentemente distanti. Nel primo una voce racconta dell’azione di qualcuno che scuoia un agnello, gesti rapidi, secchi, violenti; nelle frasi successive la pelle dell’agnello viene legata al corpo dell’orfano, in modo che la pecora in lutto avverta l’odore e lasci che l’orfano si avvicini per poppare. Stacco. La voce fuori campo cambia registro, tono, tempo e luogo, solo con una frase: O almeno così disse.

Il fuoco dentro “Jesus’ Son” di Denis Johnson

Nella copertina della nuova traduzione italiana di Jesus’ Son, a cura di Silvia Pareschi, le dita di una mano reggono un fiammifero acceso, sul punto di spegnersi. L’incendio però è già divampato ed è dentro le cento pagine che compongono questa raccolta di racconti spietata e di bellezza accecante, scritta da Denis Johnson all’inizio degli anni Novanta. Troveremo uomini derelitti e donne sbandate, figure ai margini, persone che frequentano i bordi delle città, piccole o grandi città che siano, e violenza e amore, territori che in letteratura abbiamo incrociato altre volte – nella fermata a Brooklyn di Hubert Selby Jr, ad esempio – o che possiamo scorgere tra le pieghe della nostra società, aprendo bene gli occhi. I personaggi di Jesus’ Son sono dentro e sono fuori le loro storie.

Quanto piace la guerra ai National Book Award

di Matteo Bolzonella

Qualche mese fa, quando ho appreso la notizia che il National Book Award 2014 l’aveva vinto una raccolta di racconti sulla guerra in Iraq, sarò sincero, ho avuto paura. Ho avuto paura che il libro in questione potesse avvicinarsi allo spettro del banale,che potesse assomigliare ad un miscuglio ben scritto (si parla sempre e comunque di un vincitore dell’N.B.A.) di cliché alla American Sniper, proseguendo su una tradizione che fa del patriottismo vecchio stile americano e del lato umano del buon soldato statunitense costretto a malincuore ad obbedire agli ordini di superiori spietati, le sue teste d’ariete per far breccia nel cuore dello statunitense medio (e del botteghino medio).Timori del tutto immotivati, legati a sensazioni personali e forse dovuti a un po’ di malizioso pregiudizio, timori che mi hanno fatto rimandare la lettura di Redemployment fino all’uscita della traduzione italiana di Silvia Pareschi uscita per Einaudi lo scorso maggio.

Il migliore libro dell’anno

Come vi avevamo promesso – dopo avervi fatto leggere a Pasquetta un suo racconto, dopo avervi seganalato un’introduzione capillare e amorosa alla sua opera su Rivistastudio a cura di Cristiano De Majo (qui) e una  lunga, bellissima, intima intervista di Martina Testa che potete trovare invece qui – torniamo a parlare di David Means, con questo pezzo uscito su Europa.

di Christian Raimo

È inutile, probabilmente fastidioso, affermare che un libro è il migliore di quelli pubblicati in Italia quest’anno. Il miglior libro dell’anno, non è una recensione, è uno status su Facebook. Ma il motivo per cui mi veniva da lanciare un giudizio definitivo di questo tipo è che questo libro, Il punto, scritto da David Means passerà quasi sicuramente inosservato, ed è invece un’assoluta meraviglia.

Se conosco come vanno le cose nell’editoria, se so che un libro di racconti pubblicato originariamente nel 2010 negli States e tradotto ora mirabilmente da Silvia Pareschi per Einaudi, un libro di uno scrittore poco famoso e abbastanza schivo che ha scritto soltanto racconti – una cinquantina in tutto, divisi in quattro raccolte per la precisione – bene che andranno le cose, potrà vendere 1500 copie, mi sale un sentimento di rabbia, e non m’interessa dover moderare i giudizi, evitare i superlativi: Il punto di David Means è il migliore libro dell’anno, e ci sono le prove.

Quello che spero io (un piccolo regalo per Pasquetta)

Uno dei migliori scrittori americani viventi è David Means. Jonathan Franzen gli dedicò Le correzioni. Gli attestati di ammirazione dei suoi colleghi scrittori sono negli anni cresciuti a dismisura. In questi giorni Einaudi ha mandato in libreria la sua ultima straordinaria racconta di racconti, Il punto (The spot), uscita negli Stati Uniti nel 2010, tradotta […]

Intervista a Silvia Pareschi, traduttrice di Jonathan Franzen

Silvia Pareschi racconta l’esperienza di tradurre Jonathan Franzen. Estratto di un’intervista pubblicata su Studio, bimestrale di approfondimento culturale, fresco di uscita.

di Fabio Guarnaccia

Lo scorso settembre, sulla scia delle prime critiche a Freedom, ho sentito il bisogno di rileggere Le correzioni. Nonostante lo avessi amato moltissimo, non mi era più capitato di leggere Franzen, fatta eccezione per qualche saggio. A parte confermare l’entusiasmo provato anni prima, la rilettura aveva messo in moto altro.

Le maestre ritrovate (I e II)

Questo articolo è apparso sul blog di Paolo Cognetti, Capitano mio Capitano. Cognetti, in occasione della riscoperta da parte della nostra editoria di due importanti autrici americane, ci racconta della sua grande passione per la letteratura d’oltreocenao. Sotto richiesta dell’autore vi chiediamo di commentare il testo, se volete farlo, direttamente sul suo blog. Sono tortuose […]