Lontano dal paradiso (fiscale)

Questo pezzo è uscito su Studio.

Le regine stanno finendo. Dopo il capostipite The Queen, poi Diana, si scende di rango per arrivare alle altezze serenissime; ecco dunque questa Grace di Monaco, che ha inaugurato Cannes e esce oggi in sala, regia di Olivier Dahan; le regnanti con un minimo di iconicità e educazioni sentimentali variegate e (possibilmente) morti tragiche stanno velocemente venendo meno; dunque, consigli disinteressati: perché non metter su subito un bel biopic su Paola del Belgio, che nasce romana, dunque con facilitazioni per doppiaggi a Cinecittà, e molto scapestrata, con contaminazioni pop (la canzone Dolce Paola, di Adamo, hit tra minatori italiani in Belgio, dunque anche con rimandi sociali importanti); oppure, scendendo, anche la granduchessa del Liechtenstein, cubana, parente di Batista, dunque con topoi guevariani già pronti – del resto il direttore della fotografia di questo Grace, Eric Gautier, è anche quello dei Diari della motocicletta); ma il Liechtenstein avrebbe senso perché questo Grace è soprattutto un tenero, ribaldo, sincero manifesto pro-paradisi fiscali.

Il più grande artista del nostro tempo

Oggi George Lucas compie settant’anni. Lo omaggiamo con un famoso cortometraggio a lui dedicato, George Lucas in love diretto da Jon Nussbaum, e con un articolo di Camille Paglia uscito sul “Chronicle Review”.

di Camille Paglia

Chi è il più grande artista del nostro tempo? Siamo abituati a rivolgerci alla letteratura e alle belle arti per emettere un giudizio del genere. Ma il matrimonio felice tra Pop Art e mass media commerciali ha segnato la fine di un’era. I più grandi artisti della metà del secolo post-Jackson Pollock non sono stati pittori, ma degli innovatori che si sono serviti della tecnologia, il regista Ingmar Bergman o il cantante-cantautore Bob Dylan… Nel corso dei decenni a cavallo tra il ventesimo e il ventunesimo secolo, mentre le belle arti hanno perso progressivamente visibilità e importanza, soltanto una figura culturale ha avuto l’audacia pioneristica e l’impatto globale che noi associamo con i primi maestri delle avanguardie moderniste: George Lucas, un regista che ha trasformato la nuova stupefacente tecnologia in un genere espressivo personale.

Alla ricerca di Franco Citti per un film (in preparazione) su Carmelo Bene

Giuseppe Sansonna sta preparando un film su Carmelo Bene. Un film che nasce da una sfida paradossale. La voce di Bene, autentica e inedita, entrerà in collisione con un immaginario filmico interamente ricostruito, impostato sulla soggettiva beniana. Sullo schermo scorrerà l’ipotesi di ciò che Bene ha visto o creduto di vedere. Si susseguiranno lunghi carrelli, piani sequenza di ampio respiro, ricchi di movimenti interni. Affollati di volti e luoghi salentini, rimasti immutati nel tempo, molto simili a quelli che hanno popolato l’infanzia beniana. Il linguaggio filmico tenderà a mimare il processo mnemonico. Una memoria attiva, evocativa,  dichiaratamente aperta a deformazioni immaginifiche, sospesa tra lirismo e ineluttabilità del grottesco.
Potrebbe intitolarsi “Ventriloquio”, come un film di Carmelo Bene, mandato inavvertitamente al macero dalla Rai.
Franco Citti è il primo personaggio incontrato da Sansonna per questo suo progetto. Il primo corpo di cui Carmelo Bene è diventato ventriloquo. minima&moralia vi terrà aggiornati sullo stato di lavorazione di questo film. Speriamo – con Giuseppe – di darvi presto belle notizie.

Intanto vi proponiamo questo articolo che, con foto inedite, è contenuto nel numero 18 di “Il Reportage”, attualmente in libreria. Ringraziamo il direttore Riccardo De Gennaro e vi invitiamo ad acquistare la rivista (sempre più interessante e bella da sfogliare) e a visitare il sito: www.ilreportage.eu. (L’immagine è di Claudio Abate)

Due anni fa, in una fase dadaista della mia esistenza, fui scaraventato nel centro storico di Cave, un piccolo borgo a sud di Roma. Vivevo in via Prenestina Vecchia, all’ombra dell’arco sconnesso e pieno d’edera che delimitava la fine del paese. “Una casa pasoliniana” raccontai a me stesso, per indorare la miseria. Il malfermo appartamentino, al secondo e ultimo piano di una casupola in pietra scura era impreziosito da un bagno abusivo, innestato sulla parete esterna, come una palafitta di metallo bianco. Affacciandomi alla finestra, scoprii l’unico pregio della  casa: una vista sconfinata sulla vallata, lussureggiante di castagni.

Intervista a Steven Knight

Questo pezzo è uscito sul Venerdì di Repubblica.

Presentato fuori concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia e accolto come uno dei migliori film del festival, esce il 30 aprile nelle sale italiane per la Good Films Locke, scritto e diretto da Steven Knight. Già sceneggiatore per Stephen Frears (Piccoli affari sporchi) e David Cronenberg (La promessa dell’assassino), Knight ha esordito alla regia lo scorso anno con il thriller Redemption – Identità nascoste, interpretato da Jason Statham. Interamente girata dentro una BMW che da Birmingham si dirige a Londra, la sua opera seconda prende il titolo dal cognome dell’uomo che è dentro l’auto, Ivan Locke, interpretato dall’attore inglese Tom Hardy.

Perché ci piace Wes Anderson

Dio è nei dettagli.

Il dettaglio è sapido, croccante, sfida l’idea astratta che l’immagine sia un blocco compatto e univoco: apre fessure, link, rivelazioni che sfuggono alla composizione dell’insieme. Perciò il dettaglio è idealmente contrario alla saturazione: se ce ne sono troppi rimbalziamo tra uno e l’altro come la pallina del flipper in una specie di nevrotico andirivieni che ci impedisce di fermarci e gustare il piacere di ogni singolo particolare. Questo rimpallo, tuttavia, non è soltanto frustrante: rimanda al piacere della dissipazione, al gusto di fondersi nell’immagine, con l’immagine. È il segreto di pulcinella del barocco: l’oggetto nascosto di un quadro di Bosch (o di una tavola di Jacovitti) è il nostro inconfessato desiderio di perderci e sparire. Anderson appartiene in qualche modo a questa famiglia. Le sue visioni frontali formicolanti di dettagli, le sezioni degli edifici e l’azione contemporanea su diverse porzioni dello schermo, tutte quelle combinazioni simultanee ci trasmettono il piacere bulimico del troppo pieno.

Il modo in cui mi manca, e molto, Angelo Bernabucci

Quando a sedici, a diciassette anni, nelle giornate infinite in cui si poteva cominciare a scegliere a cosa assomigliare, mentre non imparavo a suonare la chitarra, mentre non portavo le cuffie giorno e notte alle orecchie, mentre rimanevo dubbioso se lasciarmi trasportare da coloro che indossavano camicie a quadrettoni o magliette con su scritto Nevermind the bollocks o si facevano crescere i dread, scovai invece, tra i figli del ceto medio arricchito dagli anni ’80 e impoverito dai ’90 di un liceo di periferia, le persone con cui condividere una mitologia privata che mi ero ritagliato, convinto, forse convinto sì, che il mio senso di affratellamento non sarebbe passato dalle urla lanciate insieme di Come as you are o dall’ascolto compulsivo dei Dream Theater, ma dall’amore che nutrivamo per persone come Angelo Bernabucci.

Un film che probabilmente non vedrete (ma vi diciamo dove è possibile vederlo ancora)

di Christian Raimo Questo pezzo parla di un film che molto probabilmente non avete visto e che non vedrete. Ma non è colpa vostra. Nel momento in cui scrivo, Piccola patria di Alessandro Rossetto, uscito nei cinema il 10 aprile, a Roma per esempio non è proiettato in nessuna sala, dopo essere stato una settimana […]

Il Nordest di Alessandro Rossetto

Questo pezzo è uscito sul Venerdì di Repubblica.

Presentato in Orizzonti all’ultima Biennale di Venezia, Piccola patria è un film di particolare bellezza che riesce a raccontare con esattezza e grazia questo nostro Nordest italiano. Primo lungometraggio di finzione del documentarista Alessandro Rossetto, ha come primo merito quello di usare la finzione soltanto come strumento di indagine e descrizione della realtà, non poi così distante come mezzo dal documentario.

Nel film non c’è nulla di artefatto, che sia solo funzionale alla trama o alla definizione dei personaggi, c’è più una sequenza di immagini, accadimenti e dialoghi in grado di esasperare la dimensione emozionale della realtà mostrata. Gli intenti del regista sono in quel suo dichiarare “fisico” l’approccio al film perché nato da improvvisazione, osservazione e ricerca. E fisici sono i corpi statuari e sentimentali, i paesaggi struggenti e rovinati, le inquadrature a piombo di strade e campi geometrici interrotti dalle fabbriche, l’uso del dialetto bellissimo, la musica (i cori alpini soprattutto), i suoni, i silenzi.

Chi sono le ragazze del porno

Questo pezzo è uscito sulla rivista Mezzocielo. (La foto è di Debora Vrizzi)


Le ragazze del porno sono un gruppo di registe, tutte donne, tutte italiane, che da un po’ di tempo lavorano a un progetto di film pornoerotici. L’idea è nata un paio di anni fa, mentre scrivevo di un progetto di porno al femminile messo in piedi in Svezia da una regista indipendente, Mia Engberg, diventato un bellissimo film di corti che si chiama Dirty Diaries e che ha avuto una felice distribuzione ovunque nel mondo tranne che in Italia. Mia Engberg, che per il suo Dirty Diaries ha avuto un finanziamento di 50mila euro dallo Svenska Filminstituten, l’organizzazione che eroga finanziamenti statali per la produzione, distribuzione e proiezione pubblica dei film svedesi, ha anche scritto un manifesto bellissimo.

Nymphomaniac, o della smisurata nostalgia.

Ci sono degli spoiler, leggeri ma ci sono. di Christian Raimo Una donna giace nel cortile interno di un palazzo, è ferita, mezza morta. Arriva un uomo, decide di portarla in casa, le lascia un letto per riposarsi, le offre un tè. Poi le chiede di raccontargli la sua storia. Lei si chiama Joe, lui […]