Tempo di imparare
Questo pezzo è uscito sulla rivista Gli Asini di Federica Lucchesini A volte per i libri non è sbagliato parlare di “uso”. Ce ne sono così tanti, buoni e meno, che chiedersi di uno quali pensieri e intenzioni ci lasci formulare e quali discorsi ci lasci mettere in opera, può essere un criterio critico non […]
Le tragicomiche disillusioni infantili secondo Simone Lenzi
“Mali minori” di Simone Lenzi, catalogo di tragicomiche disillusioni infantili in forma di racconto, crea con il lettore una complicità addirittura equivoca, incestuosa. Colpisce con tanta esattezza che sembra quelle storie zen, quelle in cui l’arco, l’arciere la freccia e i bersaglio sono tutti la stessa cosa. E questo nonostante la professione di distanza premessa dallo scrittore. “La maggior parte delle storie qui raccolte”, scrive nell’avvertenza, “trae spunto da testimonianze che nel corso degli anni mi sono stare rese dalle persone più varie… Poche, invece, dai miei ricordi di infanzia.”. Non sono io Madame Bovary, chiaro? Nè Silviamorelli, A minuscola, Francesco, Milo, Boddissimo… D’accordo. Niente auto-biografismo, nessuna melensa lagna sentimentale.
Da Pascoli a Busi, critica in contropiede
Questo articolo è uscito, in forma abbreviata, sul quotidiano Europa.
Da alcuni anni a questa parte, il trentaquattrenne Matteo Marchesini, conosciuto anche come poeta e narratore, si è imposto come una delle voci più acute e stimolanti della nostra critica letteraria. Impresa tutt’altro che facile in un mondo in cui la critica ha ormai perso la propria tradizionale autorevolezza e lo spazio dedicato alla letteratura nelle pagine culturali dei quotidiani è sempre più esiguo. Oggi i critici acquistano una qualche visibilità soltanto quando sono coinvolti in qualche (più o meno oziosa) polemica, per esempio quella innescata recentemente da un discusso articolo di Franco Cordelli.
Se l’umanità fosse capace di fare un sogno collettivo, sognerebbe Moosbrugger
Forse solo un impero sull’orlo del collasso poteva concepire un’opera così piena di futuro come L’uomo senza qualità di Robert Musil. E forse solo il fantasma di un continente alla comica ricerca della propria identità, com’è l’Europa di questi anni, può compiere il miracolo di calzarlo, simile all’animale fantastico partorito dai deliri di un insonne che trovi finalmente una pozza in cui specchiarsi. Di là il punto d’arrivo, di qua la garanzia che c’è vita oltre la morte, quindi magari anche una risurrezione. E tuttavia non nel segno per adesso di Giovanni ma di Cacania. Soldati che diventano maialini da latte? Vecchi dittatori trasformati in insegne luminose? E cos’è quel fiore, se non il destino di Grete Trakl?
Discorsi sul metodo – 6: Maylis de Kerangal
Maylis de Kerangal è nata a Le Havre nel 1967. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Nascita di un ponte (Feltrinelli 2013)
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Quante ore lavori al giorno e quante battute esigi da una sessione di scrittura?
Nei periodi di scrittura intensa quando sono “sotto” scrivo otto ore al giorno anche nove. Nei periodi di “messa in moto” tengo un ritmo più lasso, faccio anche altre cose, lascio che l’idea del libro cresca.
Non ho un limite minimo o massimo di battute, ma la verità è che in una giornata standard se non ho fatto almento tre pagine – nel formato che uso 4500 battute – non sono per niente contenta. Quando poi, dopo 4-5 mesi della suddetta “messa in moto” entro veramente nella produzione del libro, quando, come si dice “il cavallo sente la stalla”, allora devo fare dalle 8000 alle 10‘000 battute al giorno, e ne farei di più, a volte vado avanti anche tutta la notte ma ho imparato anche a interrompere deliberatamente per ripartire più forte il giorno dopo.
Borges e i mondi paralleli del Don Chisciotte
di Lisa Orlando
Pierre Menard (autore del Don Quijote de la Mancha) è un racconto scritto da Borges nel 1944. Lo scrittore argentino immaginò, in rispondenza a quella sua singolare idea di prolificazione del possibile e dell’impossibile, di un fantomatico scrittore francese (chiamato Pierre Menard) che, a un certo punto, iniziò a riscrivere parte del Don Chisciotte. Borges, si premurò di precisare che Menard non voleva copiare l’opera di Cervantes, ovvero trascriverla in modo meccanico, ma produrre, per mirabile ambizione, “delle pagine che coincidessero, parola per parola e linea per linea“ con l’opera originale. Assolutamente non un altro Chisciotte; come spiegò Borges, Menard volle comporre il Chisciotte.
Il discorso di Telemaco
Ieri al Parlamento europeo Matteo Renzi ha pronunciato il discorso d’apertura del semestre italiano richiamandosi al mito di Telemaco. L’anno scorso Massimo Recalcati in Patria senza padri provava a spiegare perché vedeva in questo mito una chiave per comprendere il rapporto che vive oggi tra le generazioni politiche.
I giovani di oggi assomigliano a Telemaco. Telemaco è il mio personale sviluppo del bambino della Strada. Telemaco che guarda il mare e che si aspetta che qualcosa dal mare torni. Certo, Telemaco si aspetta che dal mare tornino le vele gloriose della flotta invincibile del padre, che dal mare, insomma, torni il padre eroe, sovrano, guerriero e carismatico. E invece Ulisse tornerà dal mare irriconoscibile, come un immigrato, un mendicante, un povero, un vecchio… Telemaco, in un primo momento, infatti, non lo riconosce. Ma è anche questa la sua lezione. Si può riconoscere il padre anche nel sorriso timido di un sindaco. Le nuove generazioni, insomma, sono alla ricerca non tanto di un padre-eroe, quanto di un padre-testimone. Di un padre cioè capace di mostrare, nella propria esistenza singolare, la possibilità concreta di tenere ancora insieme la Legge e il desiderio.
Le mille voci dei detective selvaggi
Questo pezzo è uscito su Il Mucchio.
Per definire in poche parole I detective selvaggi, il romanzo di Roberto Bolaño pubblicato nel 1998, tradotto prima da Maria Nicola nel 2003 per Sellerio e adesso da Adelphi nella versione di Ilide Carmignani; un romanzo torrenziale e composto da mille voci sovrapposte di poeti, studenti, letterati, cameriere, balordi e truffatori, popolato da fantasmi e allucinazioni e visioni profetiche che non portano a nulla – oppure a epifanie che si dissolvono repentine; per definirlo in poche parole, si direbbe che I detective selvaggi sia un romanzo in cui tutto, lentamente, va in malora. Con passo folle e obliquo, poggiandosi su continui cambi di voce e prospettiva, il mondo costruito da Bolaño si erge con la potenza di un incubo o di un sogno – per sfasciarsi subito dopo con la stessa spettacolarità, o per terminare in un vicolo cieco dove sembra di poter udire la risatina beffarda di uno dei pellegrini del sottosuolo che ci ha portato lì. Qualche buontempone è già lì a concionare, in riferimento a Bolaño, come si trattasse di un fenomeno al tramonto, un fenomeno letterario costruito da misteriosi tessitori dell’Ordine Editoriale Mondiale… finirebbero inghiottiti anche loro nella corrente dei Detective, che tutto ingloba al suo interno.
Il lungo sguardo di Elizabeth Jane Howard sulla vita a due
Pubblichiamo un articolo di Annalena Benini apparso su Il Foglio ringraziando l’autrice e la testata.
di Annalena Benini
Sua madre, che buttava via tutte le lettere della figlia ma conservava quelle dei fratelli maschi, e che non la mandò a scuola perché non la considerava abbastanza intelligente, le disse due cose soltanto, due insegnamenti per l’età adulta: “Non rifiutare mai tuo marito” e “Quando avrai un bambino, non devi fare rumore”. Non fare rumore per ventiquattr’ore quasi uccise Elizabeth Jane Howard, quando nacque la figlia Nicola e lei aveva vent’anni, sposata con il primo che passava per fuggire dal padre che a quindici anni la baciò alla francese, dalla madre che le ripeteva quanto fosse insignificante, stupida, bruttina (era già una scrittrice importante, premiata, famosa, un suo romanzo era diventato una serie televisiva, quando la madre rispose al fratello che ne lodava la scrittura: “Peccato che Jane non abbia niente da scrivere”).
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Stato dell’arte e proposta teorica